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 Il decreto legislativo 103/95 e le autorizzazioni generali

Il decreto legislativo 103/95 e gli Internet Service Provider
di Manlio Cammarata e Andrea Monti - 22.02.96

Introduzione

Abbiamo cercato di contenere le dimensioni di questo studio nei termini di un "intervento", anche se le questioni sollevate dal DLgs 103/95 e dalle successive norme applicative richiederebbero una trattazione ben più ampia. Il problema non è tanto la determinazione di quali realtà rientrino nella previsione legislativa o a quali fattispecie si applichino questo o quel comma di un articolo, quanto la sostanziale estraneità delle norme alla situazione reale che esse dovrebbero regolamentare.
Si deve considerare che la direttiva-matrice dei provvedimenti in esame risale al 1990, quando non si parlava certo di "autostrade dell'informazione", concetto enunciato negli Stati Uniti nella primavera del '93. Con il celebre documento di Clinton e Gore "Techonology for America's Economic Growth, A New Direction to Build Economic Strenght" si diffonde il concetto di "autostrade dell'informazione" come infrastruttura fondamentale di una nascente "società dell'informazione", e nasce l'interesse diffuso per Internet, che può essere considerata a tutti gli effetti come un primo esperimento di "autostrada", intesa come insieme di servizi di informazione a distanza. In Italia questa visione incomincia ad affermarsi in misura significativa solo nel 1994. Ma le prime formulazioni delle norme in discussione risalgono al '92 e da allora non hanno subito modifiche rilevanti. Questo sipega, almeno in parte, le difficoltà interpretative che possono sorgere in una condizione di fatto completamente diversa da quella in cui sono nati i provvedimenti.
La situazione attuale, in velocissima evoluzione, vede addirittura la fine di Internet come strumento di comunicazione per determinate categorie di utenti e la sua trasformazione in in vero e prorio mass medium, uno strumento informativo globale nel quale convergono radio, televisione, accesso a banche dati professionali, transazioni commerciali e via discorrendo.
Inoltre avanza a grandi passi, pur tra mille contrasti, la fine dei monopoli nelle telecomunicazioni, prevista al più tardi per l'inizio del 1998. Questo significa che un grande numero di operatori, grandi e piccoli, si preparano alla competizione su scala nazionale e internazionale nella fornitura degli accessi alle reti, dei servizi di base e dei servizi a valore aggiunto.

In questo contesto il DLgs 103/95 appare come una specie di imprevisto, quasi un incidente di percorso perchè, sotto il pretesto dell'accoglimento delle disposizioni europee in materia di liberalizzazione, nella sostanza impone pesanti vincoli a operatori attivi (in qualche caso da molti anni) in una parte del mercato di fatto già liberalizzata.
Che il decreto in questione sia una sorta di "alieno" capitato nel mondo sbagliato si evince anche dal fatto che lo scenario in esso delineato non è per qualche aspetto riconducibile al Piano regoaltore nazionale delle telecomunicazioni (DM 6 aprile 1990), anch'esso ormai superato sotto alcuni aspetti. In effetti il decreto si rivela come il terreno di scontro tra l'evoluzione delle tecnologie dell'informazione e la visione burocratica delle telecomunicazioni, come si sono sviluppate in Italia nel corso di decenni di monopolio.
Infine, ma certo non da ultimo, c'è da considerare come il diritto e la scienza dell'amministrazione siano in grave ritardo nella formulazione di principi e schemi applicabili alle nuove realtà. Tanto per fare quanche esempio, qual è la natura giuridica di Internet? In che cosa si sostanzia il contratto di accesso alla rete? Fino a che punto sono applicabili le norme nazionali a una realtà globale come la "rete delle reti"? E ancora, quali implicazioni civilistiche e penalistiche sono connesse all'assegnazione e alla gestione delle password (tenendo presente che esse possono essere di diversi livelli nell'ambito dello stesso sistema informativo e possono essere attribuite a utenti interni o esterni all'organizzazione proprietaria del sistema)?
Nell'elaborazione di questo studio ci siamo scontrati con fattispecie tecnologiche di difficile connotazione giuridico-amministrativa. Abbiamo impiegato ore ed ore alle prese con problemi che definivamo, non tanto scherzosamente, come "la manovra nel vicolo cieco" (il subfornitore di un sistema telematico collegato con un circuito diretto al fornitore principale) o "la sindrome del passo carrabile" (il fornitore al pubblico di servizi a valore aggiunto che però non fornisce accessi: si tratta di "servizi di telecomunicazioni" ai sensi del 103/95?).
Questo lavoro si prospetta dunque come un tentativo di conciliare le previsioni normative con le fattispecie reali, con il fine ultimo di fornire agli operatori indicazioni utili per impostare i loro rapporti con la pubblica amministrazione. I risultati sono putroppo caratterizzati dalla persistenza di qualche dubbio. Suggerimenti precisi e definitivi possono giungere solo dal Ministero delle Poste e Telecomunicazioni.

L'ambiguità delle norme per Internet

Il DLgs 103/95 e i provvedimenti successivi (DPR 420/95, DM 05/09/95) suscitano una serie di dubbi sulle modalità di applicazione delle norme in essi contenute ai fornitori di accessi Internet (ISP, Internet Service Provider).
Prima di tutto va chiarito un punto: l'impiego commerciale di Internet rientra a pieno titolo nell'ambito applicativo della regolamentazione.
È pur vero che non esiste una nozione unitaria del concetto di "servizio di telecomunicazioni", al punto che la stessa Direttiva Comunitaria 90/388 (recepita appunto dal DLgs103/95) omette di pronunciarsi sul punto affermando expressis verbis di prendere atto dell'esistenza di peculiarità relative agli ordinamenti di ciascuno degli Stati membri.
È anche vero, tuttavia, che al "considerando" n. 6 la Direttiva afferma testualmente:
considerando che, (omissis) tali restrizioni d'uso e tariffe eccessive rispetto al costo, hanno l'effetto di ostacolare la prestazione, proveniente da altri Stati membri o ad essi diretta, di servizi di telecomunicazioni quali:
- i servizi aventi ad oggetto il miglioramento delle funzioni di telecomunicazione, ad esempio la conversione di protocollo, di codice, di formato o di flusso;
- i servizi basati sull'informazione avente ad oggetto l'accesso a basi di dati;
- i servizi informatici a distanza;
- i servizi di registrazione e di ritrasmissione di messaggi, ad esempio la posta elettronica;
- i servizi di transazione, ad esempio transazioni finanziarie, trasferimento elettronico di dati per uso commerciale, teleacquisto e teleprenotazione;
- i servizi di teleazione, ad esempio telemisura e telecontrollo

È evidente dunque che Internet rientra a pieno titolo fra i servizi di telecomunicazioni e quindi nella sfera di applicazione della statuizione comunitaria e del decreto legislativo che la recepisce. Nell'ambito del Piano regolatore nazionale delle telecomunicazioni si tratta indubbiamente dei "servizi applicativi e/o a valore aggiunto", previsti dall'art. 2, comma 1, lettera d).

Ciò premesso, si pongono ora due problemi.
Il primo è di individuare il più esattamente possibile la natura dell'attività svolta da chi opera professionalmente in Internet e il secondo, di conseguenza, stabilire il corretto regime - dichiaratorio o autorizzatorio - da applicare alle varie modalità di offerta del servizio.
Rispetto all'identificazione della natura del servizio di telecomunicazione che ci interessa, che possiamo definire come "accesso alla rete Internet e funzioni connesse", i punti di riferimento sono costituiti dalle lettere d) e i) dell'art. 1 comma 1 del DLgs. 103/95. L'art. 1 comma 1 lett. d) definisce "servizi di telecomunicazioni", ...i servizi la cui fornitura consiste totalmente o parzialmente nella trasmissione e nell'instradamento di segnali sulla rete pubblica di telecomunicazioni mediante procedimenti di telecomunicazioni, ad eccezione della radiodiffusione e della televisione.
Mentre la successiva lettera i) definisce il "servizio di trasmissione di dati a commutazione di pacchetto o di circuito" come la fornitura al pubblico del trasporto diretto di dati in partenza e a destinazione dei punti terminali della rete pubblica commutata, che consente ad ogni utente di utilizzare l'attrezzatura collegata al suo punto terminale di tale rete per comunicare con un altro punto terminale.
A prima vista entrambe le definizioni sembrerebbero adattarsi ad Internet, il che non aiuta certo a rispondere al quesito di partenza. Una analisi più attenta e il confronto con le realtà concrete evidenziano tuttavia che l'ipotesi della lettera i), la trasmissione dati, non appare riferibile al caso in esame.
Internet non funziona "a commutazione di pacchetto", per lo meno non nella stragrande maggioranza dei casi; ma soprattutto non consente - data la concezione della sua struttura tecnologica - una connessione DIRETTA (nel senso ampiamente chiarito in altri interventi presenti nel Forum) fra due punti terminali di rete.
Resterebbe dunque l'altra alternativa, quella cioè di considerare "The Net" un servizio di telecomunicazioni diverso dalla telefonia vocale... sì, ma quale esattamente?
La tipologia concreta delle modalità di offerta dei servizi Internet consente di affermare che il denominatore comune alle svariate funzionalità è L'ACCESSO alla rete. In altri termini, il ruolo del fornitore di servizio consiste nel mettere a disposizione dell'utente le risorse tecniche necessarie per utilizzare le differenti funzionalità offerte dai vari tipi di server.
A tal proposito va immediatamente chiarita una differenza: una cosa è la FORNITURA DI ACCESSO (che è il SERVIZIO), un'altra è WWW oppure E-MAIL, che sono MODALITA' DI FRUIZIONE DELLO STESSO. Può infatti darsi il primo senza uno dei secondi senza che il servizio venga meno, ma certamente non è possibile il contrario: ogni funzione presuppone un ACCESSO.

Ora è necessario individuare il regime da applicare a questo servizio.
La norma di riferimento è l'art. 3 DLgs 103/95:
1. Quando sono utilizzati collegamenti commutati della rete pubblica, i servizi di cui all'art. 2, comma 1, fatta eccezione per quelli di cui al comma 3 del presente articolo, possono essere offerti al pubblico decorsi sessanta giorni dalla presentazione al Ministero delle poste e delle telecomunicazioni di una dichiarazione con la relazione descrittiva dei servizi e dei collegamenti.
2. Quando sono utilizzati collegamenti diretti della rete pubblica, l'offerta al pubblico dei servizi di cui all'art. 2, comma 1, anche da parte del gestore della rete pubblica, deve essere previamente autorizzata dal Ministero delle poste e delle telecomunicazioni.
3. L'offerta al pubblico di servizi di trasmissione dati a commutazione di pacchetto o di circuito, come definiti dall'art. 1, comma 1, lettera i), nonchè l'offerta al pubblico della semplice rivendita di capacità, come definita dall'art. 1, comma 1, lettera l), devono essere previamente autorizzate dal Ministero delle poste e delle telecomunicazioni
.
La lettura di questo articolo lascia intendere che l'interesse del legislatore sia rivolto tanto al "cosa" passa sui cavi (cioè: servizi diversi dalla telefonia vocale), quanto al "come" ciò avviene (Quando sono utilizzati collegamenti diretti ... l'offerta dei servizi di cui all'art. 2 c 1,... deve...) creando sicuramente qualche difficoltà all'interprete.
Non si capisce, per esempio, come sia possibile assicurare la tutela delle "esigenze fondamentali" di cui all'art. 1 comma 1 lett. f) estese anche alla protezione dei dati, se basta fornire certi servizi - come si vedrà di qui a poco - semplicemente impiegando una tecnologia piuttosto che un'altra per essere soggetti ad un regime di minore invasività.
In ogni caso lo schema è abbastanza chiaro:
I servizi offerti esclusivamente utilizzando la rete commutata indicati nell'art. 2 c. 1, e diversi da quelli di trasmissione dati a commutazione di circuito o di pacchetto (regolati dall'art. 3, comma 3) sono assoggettati alla semplice DICHIARAZIONE.
Gli stessi servizi, se offerti tramite collegamenti diretti alla rete pubblica, cioè su linea dedicata, rientrano nel regime autorizzatorio.
Parimenti ciò accade (ex art. 3 c. 3 DLgs103/95) per la rivendità di capacità e per i servizi di trasmissione dati a commutazione di circuito o di pacchetto.
I dubbi sorgono quando si cerca di qualificare la natura delle varie modalità di offerta di accessi Internet.
Le offerte relative ad Internet posso essere così schematizzate:
1. RIVENDITA DI CAPACITA' DI LINEE DEDICATE effettuata dal gestore pubblico direttamente a privati o a soggetti cha a loro volta cedono l'utilizzo della connettività (cosiddetti Carrier Supplier).
2. OFFERTA DI ACCESSO su LINEA DEDICATA effettuata da soggetti che consentono l'accesso al proprio sito tramite collegamento diretto.
3. OFFERTA DI ACCESSO su LINEA COMMUTATA effettuata da soggetti che utilizzano modem collegati alla rete telefonica commutata.
4. ACCESSO gratuito ad un sito le cui funzionalità sono a pagamento (quest'ultimo è il caso di chi, disponendo di un CDN, non VENDE accessi, ma consente che chiunque raggiunga il proprio sito dove terzi gestiscono a scopo commerciale banche dati, mail-box ecc).
Si evince da quanto sopra che il regime da applicare ai primi due casi è senza dubbio quello dell'AUTORIZZAZIONE, mentre il terzo è soggetto alla sola DICHIARAZIONE.
Di ambigua qualificazione appare invece l'ultimo caso.
Sicuramente non si tratta di rivendita di capacità cioè di fornitura al pubblico, come servizio distinto, della trasmissione di dati su linee affittate in cui la commutazione, il trattamento, I'archiviazione di dati o la conversione di protocollo sono compresi solo nella misura necessaria per la trasmissione in tempo reale in partenza e a destinazione della rete pubblica commutata.
Sembrerebbe allora applicarsi la definizione generale di "fornitura di accessi", a nulla rilevando che non sia previsto un corrispettivo, ma se anche fosse, non cambierebbe granché.
Se abbiamo accettato il principio generale secondo il quale la fornitura di accesso su linea commutata richiede la semplice dichiarazione mentre quella su linea dedicata l'autorizzazione, siamo di fronte ad un tertium genus che non risulta qualificabile, perché chi accede ad un sito con le caratteristiche richiamate, può farlo collegandosi ad un altro fornitore di accessi e da questo rimbalzare sulla destinazione.
Il punto è che non c'è modo di sapere se l'utente esterno sta chiamando con un accesso dial-up (dichiarazione), oppure da una rerte dedicata (nel qual caso sarebbe da richiedersi l'autorizzazione)... Nel dubbio, quid juris?
L'unica risposta possibile, ma non del tutto soddisfacente, è che questo tipo di fornitore non è soggetto alle disposizioni del DLgs 103/95, perché l'accesso alla rete è offerto da un altro operatore. Tuttavia rimane una forma di "messa a disposizione del pubblico" che è molto simile all'offerta.

La linea "a monte" del servizio

Tornando ad aspetti più generali, è stata ventilata un'interpretazione secondo la quale i servizi Internet, anche se offerti al pubblico su linea commutata, sono soggetti alla richiesta di autorizzazione, quando è presente almeno un collegamento su linea dedicata, anche se a monte dell'offerta al pubblico. Questo schema si applica a tutti i servizi Internet, per molti BBS e anche per i servizi "144" "166"e Videotel, che sono offerti con accesso da rete commutata.
Questa posizione non appare condivisibile.
Accogliendo questa tesi si dovrebbe concludere che praticamente tutti - salvo qualche minima eccezione - i fornitori di servizi di telecomunicazioni ricadono nella disciplina autorizzatoria.
Se così fosse, saremmo di fronte ad un completo sovvertimento della ratio ispiratrice della normativa comunitaria che intende deregolamentare progressivamente il settore.
Nel "considerando" n. 1 si legge:
considerando (omissis) che il Consiglio delle Comunità europee ha apportato con la risoluzione del 30 giugno 1988 il suo sostegno agli obiettivi di detto programma, in particolare alla progressiva creazione di un mercato comunitario aperto dei servizi di telecomunicazioni; (omissis) che essa rende inoltre tecnicamente ed economicamente possibile un sistema in cui diversi operatori possano operare in concorrenza;
Mentre in quello n. 12 sono contenute affermazioni del seguente tenore:
considerando che l'articolo 59 del trattato prevede la soppressione di ogni altra restrizione alla libera prestazione dei servizi all'interno della Comunità nei riguardi dei cittadini degli Stati membri stabiliti in uno Stato membro che non sia quello del destinatario della prestazione; che il mantenimento o l'introduzione di qualsivoglia diritto esclusivo o speciale non conforme ai suddetti criteri costituisce di per sé un'infrazione all'articolo 90 in combinato disposto con l'articolo 59;
Il n. 16 dice:
considerando inoltre che i diritti esclusivi o speciali concessi dallo Stato agli organismi di telecomunicazioni per quanto riguarda la fornitura di taluni servizi di telecomunicazioni, hanno l'effetto che detti organismi:
a) escludono i concorrenti dal mercato dei servizi di telecomunicazione o restringono loro l'accesso, limitando così la libera scelta degli utenti, circostanza che può ostacolare il progresso tecnologico a scapito dei consumatori;
b) impongono agli utenti della rete di ricorrere ai servizi che sono oggetto dei diritti esclusivi, subordinando così la conclusione dei contratti d'utenza all'accettazione di prestazioni supplementari che non sono connesse all'oggetto di detti contratti; che ognuno dei suddetti comportamenti costituisce un abuso di posizione dominante distinto che può arrecare un notevole pregiudizio al commercio tra Stati membri; che di fatto tutti i servizi in questione possono, in via di principio, essere offerti da prestatori di servizi di altri Stati membri; che la struttura dalla concorrenza all'interno del mercato comune ne è modificata in misura sostanziale; che in ogni caso i diritti speciali o esclusivi concessi per tali servizi hanno l'effetto di creare una situazione contraria all'obiettivo enunciato dall'articolo 3, lettera f) del trattato che prevede la creazione di un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato comune ed impone quindi, a fortiori che la concorrenza stessa non sia eliminata; che agli Stati membri è fatto obbligo, ai sensi dell'art. 5 del trattato, di astenersi da qualsiasi misura che rischi di compromettere la realizzazione degli scopi del trattato, compreso quello sancito dall'articolo 3, lettera f);

Già solo a livello di premesse, le indicazioni dell'Unione Europea sono chiarissime: se va incoraggiata la concorrenza evitando concentrazioni e abusi di posizioni dominanti, gli Stati membri non possono imporre regolamentazioni che di fatto realizzano queste indebite limitazioni della libertà di iniziativa economica. Ora è chiaro che l'applicazione di un oneroso regime autorizzatorio anche agli operatori più piccoli, i "dettaglianti" dei servizi di telecomunicazioni, è in stridente contrasto con le indicazioni comunitarie.
Rimane un altro dubbio di carattere generale, in merito al "contributo" per le ispezioni tecniche stabilito a carico dei titolari di autorizzazione: forse i servizi su rete commutata (soggetti alla sola dichiarazione) non presentano caratteristiche che rendano necessaria la verifica delle condizioni tecniche della fornitura? Essi non devono essere sottoposti a ispezioni? E che dire dell'incredibile "tecnoburocrazia" che accompagna l'attività degli operatori telematici, fatta di obblighi documentali, autorizzazioni all'installazione, omologazioni e quant'altro?
Collegando questi aspetti al tentativo di far passare tutti o quasi tutti gli operatori nella categoria soggetta a richiesta di autorizzazione, si giunge a un sospetto: che la categoria soggetta a dichiarazione ex art. 2, comma 1 DLgs 103/95 sia stata istituita solo per recepire formalmente le disposizioni europee, ma che di fatto si vogliano imporre obblighi e oneri a tutti i fornitori, fino a rendere impossibile l'attività delle strutture più piccole.
Con tanti saluti alla libera concorrenza nel mercato delle telecomunicazioni.

In pratica...

Cerchiamo ora di rivedere, in forma schematica, i punti fondamentali della questione.

Il DLgs 103/92 e i successivi regolamenti disciplinano l'offerta (e non l'uso) dei servizi di telecomunicazioni diversi dalla telefonia vocale. Questi servizi non sono definiti dai testi normativi in esame, ma si possono così riassumere:
1. Connessioni su circuiti diretti (detti comunemente "linee dedicate"), come CDF, CDN, Frame-Relay ecc.
2. Rivendita di capacità su circuiti diretti, gruppi chiusi di utenza (servizi disciplinati da norme particolari), trasmissione di dati a commutazione di pacchetto o di circuito ecc.
3. Servizi telefonici a valore aggiunto, come Audiotex (166, 144 ecc.) Teletex (televideo) ecc.
4. Servizi telematici comunemente denominati "Accesso a Internet" e "BBS", che comprendono una serie di funzioni, come la posta elettronica (e-mail) la consultazione di banche dati, lo scambio di software, transazioni commerciali (vendite telematiche) e via discorrendo.

I servizi di telematici descritti ai punti 3 e 4 possono essere offerti secondo due modalità diverse:
a) Accesso dell'utente su linea commutata (rete telefonica generale)
b) Accesso dell'utente su linea diretta.

I soggetti che rientrano nell'ambito di applicazione del decreto legislativo devono, a seconda dei casi, presentare al Ministero delle poste e telecomunicazioni una dichiarazione o una richiesta di autorizzazione. È necessario sottolineare che i soggetti interessati sono coloro che "offrono", non coloro che "usano": la differenza è sostanziale, perché se un soggetto prende in affitto un circuito solo per connettersi con un altro, o con più soggetti determinati, non "offre" (a terzi) alcunché. Il circuito in questione è "offerto" dal gestore della rete, e a questo si applicano le disposizioni del decreto.
Ai sensi dell'art. 3, comma 1, i soggetti che offrono servizi con accesso da linea commutata (e cioè, per esempio, tutti i provider del 144 e del 166) devono presentare al Ministero delle poste e telecomunicazioni una dichiarazione (i cui contenuti sono precisati dal DPR del 4 settembre 1995 n. 420) con la relazione descrittiva dei servizi e dei collegamenti.
Ai sensi dell'art. 3, comma 2, i soggetti che offrono servizi con accesso tramite collegamenti diretti della rete pubblica devono presentare richiesta di autorizzazione, con le modalità previste dal DPR 420 e devono pagare i contributi nella misura prevista dal DM 5 settembre '95.

Tutto questo è molto semplice, e si evince dalla lettura superficiale dei primi tre articoli del 103/95. Una seconda lettura fa sorgere un dubbio: il comma 2 dell'art. 3 afferma: Quando sono utilizzati collegamenti diretti della rete pubblica, l'offerta al pubblico dei servizi [...] deve essere previamente autorizzata dal Ministero delle poste e delle telecomunicazioni. Siccome per la realizzazione dei servizi descritti ai punti 1.3 e 1.4 sono di norma utilizzati collegamenti diretti (tra il fornitore dei servizi e il centro servizi di Telecom Italia nel caso di 144, 146 e Videotel, tra il fornitore dei servizi e il nodo di livello superiore nel caso di Internet), qualcuno ha erroneamente concluso che anche questi servizi siano soggetti alla richiesta di autorizzazione ex art. 3, comma 2. Questa conclusione è sbagliata per quattro motivi, sintetizzati qui di seguito.
Il primo motivo si evince da una ancor più attenta lettura dell'art. 3, che si intitola: Offerta di servizi di telecomunicazioni. Il comma 1 inizia con le parole: Quando sono utilizzati collegamenti commutati della rete pubblica, mentre il comma 2 inizia con le parole: Quando sono utilizzati collegamenti diretti della rete pubblica. Cioè, leggendo con senso logico: "Quando per l'offerta sono utilizzati circuiti" ecc. e non "Quando per la produzione dei servizi", che non rientra nell'ambito di applicazione del DLgs 103. Dunque i circuiti diretti che vengono utilizzati (e non, ripetiamo, "offerti") a monte dell'erogazione servizio, non sono soggetti a richiesta di autorizzazione per il servizio stesso.
Il secondo motivo per il quale non può essere accolta l'interpretazione secondo la quale sono soggetti alla richiesta di autorizzazione i servizi di cui ai punti 3 e 4, anche quando sono offerti su circuiti commutati è di ordine logico: non avrebbe senso la distinzione tra la previsione del comma 1 e quella del comma 2 dell'art. 3, dal momento che tutti o quasi tutti i servizi di questo tipo usano qualche collegamento diretto a monte dell'offerta (resterebbe fuori, forse, solo qualche piccolo BBS).

Il terzo, e più grave motivo, è che una soluzione di questo tipo contrasterebbe con lo spirito e la lettera delle disposizioni della direttiva europea 90/388, la cui applicazione in ambito nazionale costituisce appunto l'oggetto del decreto legislativo 103/95.
Infine, se si accettasse l'interpretazione restrittiva dell'art. 3, comma 2, si verificherebbe in molti casi che lo stesso circuito diretto sarebbe soggetto due volte alla disciplina autorizzatoria: per l'offerta da parte del gestore della rete al fornitore di servizi e per l'offerta "al pubblico" da parte del secondo. Si applicherebbero così una doppia richiesta di autorizzazione e un doppio contributo per lo stesso oggetto.
Un'ulteriore interpretazione restrittiva dell'art. 2, che comporterebbe l'obbligo di richiesta di autorizzazione anche per i servizi offerti su circuiti commutati, è fondata sul comma 3, che recita: L'offerta al pubblico di servizi di trasmissione dati a commutazione di pacchetto o di circuito, come definiti dall'art. 1, comma 1, lettera i), nonché l'offerta al pubblico della semplice rivendita di capacità, come definita dall'art. 1, comma 1, lettera l), devono essere previamente autorizzate dal Ministero delle poste e delle telecomunicazioni. Questa interpretazione si fonda su un equivoco e su un grave errore tecnico.
Sul primo punto non è difficile osservare che l'offerta di accesso a Internet non è un servizio di trasmissione dati, come definito dall'art. 1, comma 1, lettera i), perché non consiste nel trasporto diretto di dati in partenza e a destinazione dei punti terminali della rete pubblica commutata, che consente ad ogni utente di utilizzare l'attrezzatura collegata al suo punto terminale di tale rete per comunicare con un altro punto terminale; si tratta invece di un "servizio a valore aggiunto" che prevede una serie di connessioni indirette tra diversi punti della rete mondiale di telecomunicazioni. Per collegamento diretto non si intende, evidentemente, quello che i tecnici definiscono "peer to peer", cioè da un computer all'altro, senza altre apparecchiature interposte, ma quello per il quale un utente si collega a un altro componendo direttamente il numero del terminale di quest'ultimo: (si evince chiaramente dalla definizione di "servizio di telefonia vocale" al punto g) dello stesso comma.
Il secondo motivo addotto per far rientrare i servizi di accesso a Internet nella previsione del comma 3 dell'art. 3 consiste nel fatto che i protocolli TCP/IP utilizzati su Internet, in particolare il PPP e lo SLIP, sono protocolli a commutazione di pacchetto. Un'affermazione di questo tipo può essere espressa solo da chi conosce "per sentito dire" le tecnologie di telecomunicazione, perché la commutazione di pacchetto consiste appunto nel "commutare", cioè nell'instradare su circuiti diversi i pacchetti nei quali sono scomposti i messaggi. Invece, nella connessione dell'utente al fornitore attraverso la rete pubblica commutata i messaggi viaggiano sì a pacchetti, ma su un unico circuito instaurato al momento della connessione: non c'è alcuna commutazione di pacchetto.

Restano due punti, secondari solo dal punto di vista del numero di soggetti interessati, non certo da quello dei principi di applicazione della legge: Le strutture telematiche non commerciali e i sub-fornitori di servizi.
I BBS "amatoriali", Fidonet e altre realtà non profit, spesso con scopi sociali o umanitari, non dovrebbero essere soggetti ad alcun obbligo, in quanto non rientrano nel concetto di "mercato".

Anche i fornitori di servizi a valore aggiunto (caselle e-mail, pagine World Wide Web ecc.) che non offrono accessi, ma "ricevono" gli utenti attraverso un altro soggetto che offre l'accesso su commutata o circuiti diretti, non dovrebbero rientrare nelle previsioni del DLgs 103/95 e quindi non avrebbero alcun obbligo di dichiarazione o richiesta di autorizzazione.

In ultima analisi, per capire a chi si applichino le disposizioni in questione, e quali adempimenti siano richiesti, è necessario rispondere a una semplice domanda: "Chi offre cosa".
In altri termini è soggetto alle disposizioni del 103/95 chi offre un servizio di telecomunicazioni diverso dalla telefonia vocale (come definita dal DLgs 103, articolo 1, comma 1, punto g), nei quali non rientrano i servizi vocali "alternativi" e indiretti come l'Internet Phone). Non è soggetto, invece, chi non compie un'offerta "al pubblico", ma si limita a usare un servizio offerto da Telecom Italia o da un altro operatore. Per capire se si deve applicare il regime dichiaratorio o quello autorizzatorio si deve rispondere al quesito "che cosa si offre": se si offre un accesso dalla rete pubblica commutata (cioè la rete telefonica generale) si ricade nell'obbligo di dichiarazione, se si offre un accesso da circuito diretto scatta l'obbigo della richiesta di autorizzazione. Questa, alla luce di tutte le analisi compiute, appare la sola interpretazione possibile.

Conclusione

Siamo consapevoli del fatto che questo studio non risolve diversi problemi pratici nell'applicazione del 103 e del 420, per il semplice fatto che queste norme non hanno un riferimento diretto alla realtà tecnologica e del mercato.
La liberalizzazione totale del mercato delle telecomunicazioni inizierà, al più tardi, il 1. gennaio 1998, cioè tra meno di due anni. Ma è probabile - e fortemente auspicabile - che la data venga anticipata, come viene richiesto da più parti. Dunque queste norme dovrebbero avere una vita molto breve, a meno che esse non costituiscano un esempio di "liberalizzazione all'italiana", come si può intuire dalla lettura del "disegno di legge Gambino", decaduto con la fine anticipata della XII legislatura. Infatti in quel progetto si facevano esplicitamente salve le disposizioni del DLgs 103/95!
Questo decreto non liberalizza un bel nulla, anzi, impone vincoli, contributi e incombenze burocratiche per situazioni che prima erano libere. Grazie a quella libertà sono nate e si sono sviluppate attività imprenditoriali, si sono creati posti di lavoro, sono state aumentate le opportunità di studio, di conoscenza, di occupazione anche indotta. La "liberalizzazione" formalmente introdotta dal provvedimento era già stata sancita dagli organismi anti-trust comunitari e nazionali e dalla magistratura.
Ben altre norme devono essere emanate urgentemente per assicurare lo sviluppo equilibrato delle telecomunicazioni, settore sempre più rilevante dell'economia dei Paesi industrializzati. È necessario sancire subito l'obbligo per Telecom Italia di separare almeno contabilmente i servizi a valore aggiunto dal trasporto dei segnali; altrettanto urgente è una sensibile diminuzione delle tariffe per la trasmissione dati, a partire dai servizi ISDN.
Non è più rimandabile l'emanazione di una legge sulla protezione dei dati personali, che contenga anche norme precise sulla sicurezza dei sistemi informativi. Occorrono disposizioni in materia di software e servizi che tengano conto delle esigenze degli utenti. Bisogna accelerare la messa a punto di norme sul documento informatico, sul contratto telematico, sulla firma elettronica, sulle responsabilità civili e penali dei gestori dei sistemi informativi.
Occorre, soprattutto, un'approfondita riflessione sugli aspetti giuridici della società dell'informazione. Si sviluppano continuamente situazioni nuove, fattispecie assolutamente imprevedibili, che è assai arduo ricomprendere nelle nozioni tradizionali. I giuristi, i tecnologi e i politici sono chiamati a un compito immane.
Altro che diatribe interpretative tra "dichiarazione " e "richiesta di autorizzazione"!