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Protezione dei dati personali

"Trattamenti sostanzialmente difformi"

di Manlio Cammarata - 23.06.05

 
Può sembrare un documento di normale amministrazione il parere emesso dal Garante per la protezione dei dati personali su uno schema di decreto del Ministero dell'interno, in materia di raccolta dei dati dei clienti degli alberghi a fini di polizia.
Ma è importante, perché indica una certa attenzione verso quei trattamenti che incidono pesantemente sul diritto alla riservatezza dei cittadini con lo scopo (o il pretesto) della sicurezza pubblica. Una materia molto delicata, soprattutto dopo l'11 settembre del 2001, quando abbiamo capito che da quel giorno saremmo stati tutti un po' meno liberi (vedi il numero speciale Ora è a rischio la libertà della Rete).

Non solo della Rete, naturalmente, perché anche nella vita di tutti i giorni i controlli si sono fatti più pervasivi, ma nel caso delle "schedature" operate dalle forze di polizia per il tramite degli albergatori l'11 settembre non c'entra. Risale infatti al testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (TULPS) del lontano 1931 l'obbligo per i gestori di comunicare alla polizia le generalità di chi prende alloggio in un albergo. Quelle norme sono state più volte modificate, ma non nella sostanza.

Una pratica particolarmente fastidiosa da quando si è diffusa tra un numero crescente di persone la cosiddetta "cultura della privacy", con la consapevolezza che la disponibilità di una massa impressionante di dati che riguardano ciascuno di noi, unita alle potenzialità dell'elaborazione informatica, rende concreta la minaccia di "profilazione" di ogni individuo, con gli obiettivi più diversi. Con l'aggravante, in questo caso, che i trattamenti a fini di polizia sfuggono in buona parte ai rigori delle norme sulla tutela dei dati personali, con la scusa, appunto, della sicurezza pubblica.

Che le forze dell'ordine detengano una grande quantità di dati sui cittadini è cosa nota a tutti: basti ricordare l'intervento del Garante, nel 2001, sugli archivi dei Carabinieri (vedi Quando lo Stato vigila troppo). Si aggiungano i controlli sulle comunicazioni telefoniche anche senza la specifica autorizzazione di un giudice (Echelon e affini), l'archivio centralizzato delle carte d'identità elettroniche e delle carte dei servizi, (vedi Sulla Rete siamo tutti criminali? e Se il controllore controlla se stesso) e via elencando.

In tutto questo, come scrisse il Garante a proposito degli archivi dei Carabinieri, non si rilevano "trattamenti sostanzialmente difformi" dalle norme, semplicemente perché le norme sono vecchie, emanate in tempi in cui del diritto alla riservatezza era sconosciuto. Ma ora la situazione è cambiata.
Non cambia però l'atteggiamento poliziesco delle istituzioni, tanto che l'ennesima bozza di provvedimento preparata dal Ministero dell'interno suscita le ire dell'autorità di garanzia, che intima un secco "altolà" con il parere del 1. giugno.

Parere che deve essere letto con attenzione, perché da una parte non fa altro che applicare i principi che sono alla base della normativa sui dati personali (finalità, necessità, pertinenza, sicurezza...), ma dall'altra contiene qualche imprecisione tecnica. E una seria dimenticanza, quando cita l'art. 45 dell'accordo di Schengen, che prevede solo la registrazione degli stranieri: elemento che dovrebbe portare semplicemente all'esclusione del trattamento per i cittadini italiani che si fermano in alberghi italiani.

Un colpo al cerchio e uno alla botte? Forse, ma quello che conta in questo momento è l'affermazione del principio che la riservatezza di ogni individuo non può essere violata sistematicamente, e senza opportune garanzie, per semplici controlli di polizia. Controlli peraltro praticamente inutili sul momento, perché è improbabile che un ricercato si presenti alla concierge di un albergo con la sua carta d'identità. Inutili anche in tempi successivi, perché la conservazione prolungata porta alla creazione di banche dati troppo grandi per essere efficienti.
Più o meno lo stesso discorso vale per la sistematica registrazione delle generalità di qualsiasi conducente di un autoveicolo fermato durante un'ordinaria attività di controllo del territorio. Quale norma lo prevede? E, posto che ci sia, essa è "sostanzialmente conforme" alle disposizioni sulla tutela dei dati personali?

Intanto aspettiamo che il decreto ministeriale esca con le modifiche chieste dal Garante. Poi dovremo fare molta attenzione quando un albergatore ci chiederà di compilare la scheda al nostro arrivo e dirà sbrigativamente, dopo aver tracciato sul modulo una serie di crocette, "firmi qui, prego, per la privacy", senza darci il tempo di leggere l'informativa.

Sarebbe bello se questo parere del Garante fosse il primo di una serie di azioni contro tanti trattamenti (non solo a fini di polizia) "sostanzialmente difformi" dalle norme sulla protezione dei dati personali. Per esempio, ancora, quelli operati dall'industria informatica a danno di tutti gli utenti. Ne abbiamo parlato molte volte (vedi Attenzione, il software ci spia, E Microsoft continua a spiarci indisturbata...).

Ne parleremo ancora.

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