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Protezione dei dati personali

Il caso “Le Iene” e la funzione del Garante

di Andrea Monti – 12.10.06

 
Per l’ennesima volta il Garante dei dati personali è intervenuto nei confronti dei mezzi di informazione, impedendo la diffusione di un servizio realizzato dalla trasmissione “Le Iene”. Il “blocco” è stato motivato dalla asserita “violazione della privacy” dei parlamentari intervistati, che a loro insaputa erano stati sottoposti a un test che rivelava la recente assunzione di alcune sostanze stupefacenti. Si tratta di una decisione sbagliata, pericolosa, ma anche rivelatrice di cosa sia diventata la legge sui dati personali.

Andiamo per ordine.

Come si è appreso guardando la puntata nella quale sarebbe dovuto andare in onda il servizio incriminato, le modalità di raccolta dei dati sulla recente assunzione di droghe da parte degli intervistati era del tutto anonima. In altri termini, nessuno, nella redazione de Le Iene, sarebbe stato in grado di collegare i tamponi utilizzati per raccogliere i campioni organici con l’identità dei singoli interessati. Questo è - palesemente - un trattamento di dati anonimi (o anonimizzati) alla fonte e come tale non sottoposto alle “cure” del DLgv 196/03. Il Garante, quindi, è intervenuto ben oltre i poteri (pur ampi) che la legge gli attribuisce.

In realtà, e veniamo al secondo aspetto, il provvedimento del Garante non è viziato per “eccesso” ma per “carenza di potere” perché ha limitato inamissibilmente la libertà di manifestazione del pensiero che non è materia disciplinata dalle direttive europee sul trattamento dei dati personali e dai relativi recepimenti nazionali. Ma il Garante non se ne è curato perché ritiene suo compito “proteggere la privacy” e dunque pretende di avere voce in capitolo anche sull’attività dei mezzi di informazione (già regolata dagli ordinamenti professionali, dal codice civile e da quello penale).

Comincia a produrre i suoi frutti guasti l’equivoco semantico che per dieci anni ha caratterizzato la disciplina del trattamento dei dati personali, strumentalmente qualificata come “legge sulla privacy” e che ora consente, nell’assuefazione generale, a un organo diverso dalla magistratura di attribuirsi un vero e proprio potere censorio.

La legge 675/96 non era, e il DLGV 196/03 non è “legge sulla privacy”. Il trattamento dei dati personali fa riferimento alla necessità di adottare adeguate regole di gestione delle informazioni. La tutela giuridica dello spazio individuale è una cosa radicalmente diversa che solo incidentalmente interseca gli aspetti relativi al trattamento dei dati personali. Pertanto non si può invocare il DLGV 196/03 per “spegnere l’informazione” con la scusa di “proteggere la privacy”.
Viceversa, e curiosamente, il Garante non ha dimostrato altrettanta “sollecitudine” verso i grandi “accumulatori di dati” privati e pubblici che, dopo essere stati lasciati indisturbati per anni e anni, solo ora sono stati “gratificati” da un bel comunicato (vedi Otto anni di abusi e il Garante emette un comunicato).

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