Poche settimane fa si mobilitava in rete un gruppo di studiosi
con un appello
per difendere al Senato l’attuale legge sui dati personali (comunemente
indicata come legge, o codice, della privacy) dalle proposte di semplificazione
in discussione, ed in particolare da quella di eliminare l’obbligo per le
imprese di adottare le misure minime di sicurezza a tutela dei dati personali (al
momento della scrittura di questo articolo constano 6863 sottoscrizioni).
Il prof. Stefano Rodotà, già presidente del Garante per la protezione dei
dati personali, su Repubblica
del 24 settembre 2007 scriveva: “La regressione culturale e politica è
impressionante. Nella dissennata corsa verso l'"abbattimento dei
costi" si cancellano garanzie e diritti. Se davvero si vogliono eliminare
costi impropri per le piccole imprese, vi sono modi meno rozzi e pericolosi per
farlo. Invece si è scelta una strada che la Commissione europea aveva ritenuto
impraticabile, perché vi sono costi che il sistema economico deve sopportare
per evitare che le sue attività pregiudichino interessi della collettività,
come accade per le norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, costose
ma indispensabili. Un paragone significativo, perché le norme sulla sicurezza
del lavoro tutelano il corpo fisico così come le norme sulle misure minime di
sicurezza per le banche dati tutelano il corpo "elettronico". Sono in
gioco le garanzie della persona, la sua stessa libertà nella società della
conoscenza”.
La discussione, come si suole dire, “volava alto”. I punti in esame erano
estesi sino al ruolo dell’Europa come “un luogo al quale possano guardare
tutti quelli che non si rassegnano all'eclissi dei diritti”, nelle parole del
professor Rodotà.
Il Garante, in pari data, dava notizia di una lettera scritta al Presidente del
consiglio sull’argomento, in cui manifestava la preoccupazione dell’autorità
indipendente per il contrasto con la disciplina comunitaria delle modifiche in
discussione in Parlamento (poi ritirate, vedi ancora su repubblica.it
.
Questi fatti danno conto del ruolo dell’autorità garante, anche nella persona
del suo passato presidente, nella materia della tutela dei dati personali;
istituzione di alto livello, dialogante con l’esecutivo e meritevole nello
svolgimento delle sue funzioni (artt. 153 e 154 del DLGV 196/2003).
E’ con questa immagine in mente che ho aperto il link della notizia della
presentazione all’università di Roma del "Laboratorio
Privacy Sviluppo", che appariva una settimana fa nella prima pagina del sito
del Garante. Il lancio sintetico faceva riferimento ad un seminario di
studio e conteneva a sua volta il collegamento al sito del laboratorio (il link
è ancora presente, senza il riferimento al seminario, n.d.r.).
Passato a quest’ultimo, con la speranza di trovare utili spunti di discussione
e di approfondimento su di una materia così delicata (vedi sopra le
considerazioni del professor Rodotà), in un primo momento mi ha interessato la
definizione del Laboratorio quale “”luogo” senza formalità”,
presso l’autorità garante. Forse si tratta di una iniziativa che intende
coinvolgere un numero più ampio di soggetti che si occupino di privacy?
Proseguendo nella navigazione, al contrario, il potenziale interesse è
sostituito da un franco stupore.
Leggo che coordinatore del laboratorio è Giuseppe Fortunato, membro dell’autorità
garante stessa, e il medesimo, a titolo evidentemente personale, è anche il soggetto
titolare del dominio www.laboratorioprivacysviluppo.it.
Leggo ancora che il Laboratorio è “un luogo senza formalità,
aperto, di discussione su come la persona può sviluppare in piena libertà le
proprie qualità, secondo i propri intimi desideri, in modo da poter realizzare
i propri obiettivi liberamente determinati. Dunque, intende focalizzare l’attenzione
sull’”io che ricerca”, in modo da favorire un processo di sviluppo
personale, affinché, ciascuno possa trasformare i sogni in realtà e quindi
passare dalla situazione attuale a quella desiderata. Il Laboratorio, quindi,
dà valore alla privacy quale piena realizzazione dei desideri di ciascuno nella
propria meravigliosa specificità.”, e che la privacy non è
solamente quella sfera intima che avvolge e protegge la persona da interferenze
o indebite influenze esterne, ma “è soprattutto capacità di esprimere
fino in fondo i propri desideri, le proprie aspirazioni. Per quest’ultimo
aspetto la privacy è intesa come pieno sviluppo della persona, come piena
consapevolezza del proprio valore come persona, nella sua integrità, e quindi
in ogni suo singolo aspetto, in direzione di una più completa realizzazione di
sé”.
Stupore e perplessità vanno di pari passo a questo punto. C'è un'autorità
indipendente, la cui giustificazione risiede “nella natura degli interessi
loro affidati, che corrispondono ai bisogni primari della collettività,
meritevoli di particolari forme di protezione” come scrive Giuseppe
Santaniello in Autorità
indipendenti e funzione giurisdizionale del Garante, su questa rivista .
Prosegue l’autore, già vice-presidente del Garante dalla sua costituzione e
docente di diritto amministrativo: “La natura degli interessi tutelati
costituisce quindi la fonte di legittimazione di tali Autorità e la ragione che
ne giustifica la sottrazione alla tradizionale conformazione della pubblica
amministrazione.”
Presso questa autorità è istituito un “luogo” (il corsivo è d’obbligo
a questo punto, e non solo per completezza, anche formale, della citazione) in
cui si discute di sviluppo della persona e della sua “più completa
realizzazione”.
Qualcosa non funziona. L’accostamento solleva qualche interrogativo.
Proseguo nella lettura e mi allontano sempre più dall’immagine, forse
troppo accademica e scolastica, che avevo della disciplina della privacy e dei
suoi protagonisti, sicuramente influenzata da un corposo testo normativo di ben
centoottantasei articoli, quattro allegati (più uno ancora in mente dei,
l’allegato C), codici deontologici, autorizzazioni generali e relativa
giurisprudenza del Garante stesso.
Esiste un documento, anzi un testo base dell’attività del laboratorio, è “La
Svolta” che “promuove il potenziamento della persona sulla base di
ogni studio in materia”.
Accantono per un momento definizioni, codici, commi e allegati e mi soffermo su
questo testo:
“LA SVOLTA, non mancando nel mostrare i fondamenti, mira
a dare un concreto aiuto, sulla base di un sistema di sintetiche
formule pratiche e innovative che sono la chiave sicura per ogni obiettivo.
È la prospettiva dell’io lettore e contestualmente autore: la
rivoluzione strutturale dell’opera consente un proficuo e dinamico interagire.
La struttura capovolta non è da considerarsi una pura tecnica letteraria, ma un
procedimento fondamentale atto a promuovere il potenziamento dell’io.
Una sorta di metodo maieutico che catalizza sentimenti, riflessioni e pensieri
senza imposizione dall’alto in una sterile e dogmatica precettistica.
LA SVOLTA vuole prendere in considerazione anche il contributo anzi i mille
contributi dei suoi lettori-autori impegnati in una gara
nobilissima nell’esplorazione-conquista della personalità umana.
L'obiettivo di fondo è quello di promuovere il passaggio da un io
spettatore ad un io protagonista, da un io passivo recettore
ad un io “artefice del proprio destino”, da un io schiacciato
dalle Istituzioni ad un io che sappia far istituzionalizzare i suoi
diritti nell’accezione più completa” (i grassetti appartengono al
testo originale).
Come resistere al richiamo? Scarico il testo, liberamente e gratuitamente
accessibile, un corposo file PDF di 4,5 MB, e il reader mi dice che è
composto da ben 699 (!) pagine. Provo a coordinare il testo con il concetto di
privacy, con una semplice operazione: cerco al suo interno la parola privacy.
Compare sette volte: tre a pag. 4, in relazione al Laboratorio ed al concetto
“esteso” di privacy, e quattro nelle pagine finali, di cui tre in
riferimento al Garante ed una sola non a fini descrittivi (p. 692).
Il resto del libro, impaginato in maniera estrosa e con figure banali,
è l’illustrazione di un percorso per perseguire e raggiungere l’obiettivo
voluto.
Non entro nel merito della bontà/fondatezza/efficacia del metodo, perché non
ne ho gli strumenti (ho però la fortissima tentazione di chiedere al professor
Rodotà ed al professor Santaniello un’opinione sulla bibliografia in calce al
testo).
Tuttavia, dopo il breve excursus sopra riportato, reputo stupefacente l’accostamento
tra un’autorità indipendente dello Stato e un "laboratorio" che,
alla prova delle parole, con la tutela dei dati personali ha ben poco a che
fare.
La divulgazione di un metodo di vita e azione (non dimentichiamo il pensiero,
a questo punto), innovativo ed eclettico fin che si vuole (anzi, troppo), stride
fortemente con funzioni, scopi e, diciamolo, immagine di una istituzione dai
compiti così delicati. E il rumore di questo stridìo è ancor più
stupefacente se si considera che il promotore di questa iniziativa è un
componente dell’autorità garante e che quest’ultima opera come veicolo di
supporto (il laboratorio ha sede presso l’autorità medesima) di un “luogo”
illustrato e gestito su siti internet estranei a quello istituzionale.
La pur pregevole impostazione di un punto di vista diverso del concetto di privacy
non deve allontanare dagli scopi e dalle funzioni dell’istituzione e
soprattutto, per la serietà ed il rigore che convengono ad una istituzione di
garanzia e di giustizia.
La vicenda richiamata all’inizio di queste brevi considerazioni è
emblematica: la attività del Garante ha bisogno di energie incondizionate per
la tutela da attacchi esterni del delicato settore dei dati personali, e non di
contaminazioni “scientifico-filosofiche” sulla ricerca della felicità.
La battuta di Totò, usurpata come titolo di queste note, è la degna chiosa
finale.
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