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 Tutela dei dati personali - Legge 675/96

Il confine della riservatezza nella vicenda di Lady Diana
di Manlio Cammarata e Daniele Coliva - 08.09.97

"Una domanda di importanza capitale": così Stefano Rodotà definisce in un'intervista a la Repubblica il quesito su quale sia il confine oltre il quale il cronista non si può spingere nella raccolta di informazioni su un personaggio pubblico. Quesito di grande attualità, non solo per le polemiche suscitate dalla tragica fine della principessa del Galles, ma soprattutto perché è in fase di elaborazione il codice deontologico dei giornalisti, previsto dal secondo comma dell'articolo 25 della legge 675/96.

Prima di tutto mettiamo a fuoco i principali aspetti del problema. Partiamo dalla constatazione che è in discussione il "diritto all'immagine" di persone di grande notorietà. La legge 633/41 su diritto d'autore, articoli 96 e 97, stabilisce che Il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa, salve le disposizioni dell'articolo seguente. Che a sua volta recita: Non occorre il consenso della persona ritrattata quando la riproduzione dell'immagine è giustificata dalla notorietà o dall'ufficio pubblico coperto... o quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico. Concorda con l'art. 97 LDA l'articolo 12, comma 1, lettera e) della 675/96, che esclude la necessità del consenso quando il trattamento è effettuato nell'esercizio della professione di giornalista e per l'esclusivo perseguimento delle relative finalità. E' da notare che la legge sulla tutela dei dati personali non accoglie la distinzione tra comuni cittadini e personaggi pubblici contenuta nell'art. 97 LDA, e che con la definizione del trattamento contenuta nell'articolo. 1 comprende anche il momento della raccolta del dato, mentre la LDA considera solo la sua utilizzazione.
Nel caso in questione e in altri casi simili la "notorietà" richiesta dalla legge è fuori discussione, e c'è anche la condizione del luogo pubblico. Su questa base l'azione dei fotoreporter dovrebbe essere del tutto lecita, ma c'è da chiedersi se queste norme non siano in qualche misura in contrasto con il principio della "autodeterminazione informativa", che è alla base delle più recenti leggi di tutela della privacy e che pone il consenso dell'interessato come elemento essenziale della liceità del trattamento dei dati che lo riguardano (non c'è dubbio che lo scatto del flash è "raccolta di dati personali" ai sensi dell'
articolo 1, comma 2, lettera b) della legge 675/96).

Di fatto queste disposizioni tutelano il "diritto-dovere di cronaca" o "di informare", al quale corrisponde senza dubbio un diritto del pubblico di essere informato sui fatti che gli interessano. Si deve però notare che una sentenza della Cassazione ha stabilito che l'interesse pubblico non può consistere nella semplice curiosità. Inoltre il cosiddetto "dovere di cronaca" è in realtà un dovere molto vago, perché altrimenti i giornali sarebbero obbligati a pubblicare anche le foto dell'incidente, che per fortuna fino a ora ci hanno risparmiato.
Se il diritto all'autodeterminazione informativa è un diritto morale della persona, che il diritto di cronaca può limitare, siamo di fronte a un chiaro conflitto di diritti: da una parte il diritto dell'interessato di decidere quali suoi dati possano essere trattati, dall'altra il diritto di informare.
Decidere quale di essi debba prevalere è impresa immane, soprattutto nel contesto della società dell'informazione. La domanda "di importanza capitale" è appunto se esista, e come si possa determinare, la linea di confine tra due territori, quello del diritto all'informazione e quello del diritto alla riservatezza.

Ci si può avvicinare a una risposta formulando la domanda in termini diversi: in quale misura una "persona", cui afferisce il diritto alla riservatezza, cessi di essere tale nel momento in cui diventa "personaggio", soggetto nei confronti del quale in determinati casi può prevalere il diritto all'informazione.
Possiamo immaginare la nascita di un "personaggio" (e soprattutto di un "personaggio mediatico" di rilievo planetario, come la principessa Diana) come il frutto di una sorta di patto fra tre contraenti: la persona, i media e il pubblico.
Che l'esistenza di un personaggio mediatico sia in qualche modo legata a un accordo, del quale è parte essenziale la persona interessata, risulta evidente se si considera che al mondo esiste un grandissimo numero di individui che hanno tutti i requisiti per suscitare la curiosità del pubblico (ricchezza, fascino, tipo di attività e via discorrendo), ma che non diventano personaggi perché non lo vogliono. Anzi, spesso proteggono la propria riservatezza a colpi di querele.
Ma quali diritti e quali obblighi sono contenuti nelle clausole di questo patto tacito che, in senso assolutamente figurato, possiamo definire come un "contratto"? Partiamo dal fondo: per il pubblico il diritto di ricevere le informazioni sul personaggio, al quale diritto corrisponde l'onere di acquistare i giornali, per i media il diritto di ottenere le informazioni e il dovere di pubblicarle, al quale corrisponde il dovere del personaggio di fare in modo che esse possano essere raccolte e trattate. Ma in tutto questo quali sono i diritti della persona? Qualcuno può rispondere che è il diritto di ottenere che la propria notorietà presso il pubblico sia mantenuta o aumentata, ma questo è un diritto del "personaggio", non della "persona" che ha stipulato il "contratto di notorietà"!

In effetti, valutando le giustificazioni addotte da una parte dei responsabili dei media (in particolare della stampa scandalistica) si giunge all'inaccettabile conclusione che la persona che accetta di diventare personaggio rinuncerebbe completamente al suo diritto alla riservatezza, ad avere una propria vita privata. Una sorta di patto col diavolo di faustiana memoria, la cui validità non può essere confermata alla luce della natura stessa del diritto alla riservatezza. Non si può negare in via definitiva a un individuo il diritto all'autodeterminazione informativa, sarebbe come annullare la sua esistenza come persona. Dunque non può spettare che all'interessato stabilire quali informazioni che lo riguardano rientrino nella sua sfera di "persona", e decida di mantenerle riservate, e quali appartengano alla sfera del personaggio pubblico. L'interessato può anche decidere, a un certo punto, di annullare il "contratto": si pensi ai cantanti Mina e Lucio Battisti, che a un certo punto della loro vita hanno tagliato i ponti con il mondo dei media e si sono sottratti alla curiosità del pubblico.

Ma è proprio la curiosità del pubblico il motivo addotto per giustificare il "dovere di informare" e quindi certe forme di invadenza dei media. A ben guardare, più che di un dovere si tratta di un onere, cioè di un comportamento necessario per assicurare la continuità dell'impresa mediatica. Ma l'assolvimento di quest'onere può comprimere il diritto dell'interessato all'autodeterminazione informativa? In altri termini, l'esclusione della necessità del consenso prevista dal comma 1, lettera e) dell'articolo 12 della legge 675/96 deve essere interpretata nel senso che non si richiede all'interessato il consenso esplicito al trattamento dei dati, o che i dati possono essere trattati anche contro la sua volontà? Questo è il punto fondamentale. La ratio di tutte le normative sulla privacy porta a escludere la seconda ipotesi.
Dunque il confine da individuare è quello tra il tacito consenso richiesto dalla norma relativa alla professione giornalistica e il dissenso. E così si torna al punto di partenza: è necessario che il codice di deontologia identifichi nel modo più chiaro possibile il confine tra diritto di cronaca e rispetto della privacy (trascuriamo, naturalmente, i casi di palese violazione dell'art. 615-bis del codice penale, che punisce le interferenze illecite nella vita privata).

Per questo è opportuno ricorrere alla ratio delle norme sulla tutela della riservatezza, in particolare alla formulazione dell'articolo 7 della direttiva europea: il trattamento di dati personali può essere effettuato soltanto quando la persona interessata ha manifestato il proprio consenso in maniera inequivocabile. Nulla vieta di interpretare questa disposizione in senso opposto: il trattamento dei dati personali non può essere effettuato quando la persona interessata ha manifestato il proprio dissenso in maniera inequivocabile. (1)
Ora non c'è dubbio che, nel caso di Lady Diana e del suo compagno, azioni come la richiesta di allontanamento fatta dal personale dell'albergo e dalle guardie del corpo ai fotografi e la finta partenza su auto-civetta per ingannarli configurano un inequivocabile dissenso al trattamento dei propri dati personali e che quindi quello che Rodotà chiama "accanimento informativo" e che ha contribuito direttamente o indirettamente al verificarsi della tragedia, deve essere considerato illecito.

Il problema è come tradurre questo principio nelle disposizioni del nascente codice di deontologia, in modo che un'autorità designata possa stabilire se in determinati casi sia stato superato il limite dell'"accanimento informativo", con il rischio di ledere un diritto fondamentale della persona. E' ormai accettato il principio che nessuno, neanche un personaggio che richiama un vivo interesse del pubblico, può essere ripreso a sua insaputa quando si trova in un luogo privato e normalmente non visibile dall'esterno, come una villa protetta da un alto muro. Il muro costituisce la prova dell'inequivocabile dissenso opposto alla raccolta dei propri dati personali. Ma se questo muro viene alzato in modo figurato, con le parole, con gli inviti a desistere, con i pugni di Walter Chiari nella via Veneto di ieri o con la fuga in macchina nella Parigi di oggi?

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(1) Qui emergono ancora una volta i limiti della legge italiana, che preferisce le formalità a discapito del principi. L'indicazione del testo comunitario viene accolta così: Il trattamento di dati personali da parte di privati o di enti pubblici economici è ammesso solo con il consenso espresso dell'interessato... Il consenso è validamente prestato solo se è espresso liberamente, in forma specifica e documentata per iscritto, e se sono state rese all'interessato le informazioni di cui all'articolo 10. E tutto questo può in molti casi rendere difficile l'applicazione della norma, anche se il principio è chiarissimo.