Trusted computing e sudditanza
europea
di Roberto Manno - 23.10.03
Sul numero di InterLex della scorsa settimana
si
solleva la questione della legittimità dei sistemi di spyware, Trusted
Computing e simili sotto il profilo della riservatezza e in generale dell'uso consapevole dei
computer. Vorrei aggiungere qualcosa.
Prima di tutto vorrei ricordare come anche in
Italia la sentenza della Corte di cassazione - Sezione V penale - sentenza
n.4741/2000 del 17 novembre 2000 abbia definitivamente chiarito come l’art. 615 ter comma 1 del c.p.
punisce non solo chi si introduce abusivamente in un sistema informatico o
telematico, ma anche chi vi si mantiene contro la volontà esplicita o tacita di
chi ha il diritto di escluderlo.
Inoltre, a livello comunitario, si
assiste in questi giorni ad un acceso confronto tra Europa e USA in materia di
tutela della riservatezza dei passeggeri dei voli
transatlantici.
Il Commissario europeo Fritz Bolkestein, il nostro Garante per la protezione dei dati personali
Rodotà, e
la stessa Commissione si sono attivamente impegnati per evitare che la decisione
unilaterale degli USA esponga i cittadini UE a trattamenti dei dati personali
secondo leggi, come quella statunitense, che appaiono "non adeguate".
Orbene, sorprende come una
delicatissima questione quale la tecnologia Trusted Computing non susciti uguali, se non più
decise, reazioni da parte degli organismi comunitari. Questo alimenta l'impressione che l'importanza
nella vita democratica delle ICT sia sottovalutata o, nella peggiore delle
ipotesi, avvertita come una materia di esclusivo interesse di qualche gruppo di
nerd informatici.
Come sappiamo, e come del resto sanno i commissari europei che si sono occupati ad esempio della
privacy policy di Microsoft Passport, così
non è. Certo: una cosa è la politica commerciale di
un'azienda, un'altra è una decisione di un Governo
extracomunitario.
Tuttavia, senza voler tirare in ballo questioni di
monopolio, se le principali aziende produttrici di hardware escogitano una
tecnologia in grado di condizionare ogni uso delle tecnologie informatiche, si
viene a determinare una situazione estremamente delicata per la vita democratica sociale, ed economica di ognuno di noi.
Queste aziende hanno già dimostrato di cosa sono capaci quando hanno piegato la disciplina globale del diritto d'autore alle
loro esigenze (vedi il problema della copia privata e anche il percorso di
recepimento della direttiva 29/2001/CE http://www.fipr.org/copyright/guide/).
Se quindi è la necessità di proteggere i diritti
dei cittadini ad allarmare l'UE a proposito delle pratiche di controllo delle
frontiere decise dal governo USA, a maggior ragione dovrebbero attivarsi tutti
coloro che, a livello istituzionale, hanno a cuore tali valori.
Non avrebbe senso bloccare la brevettabilità del
software e ancor meno accontentarsi di richiedere il solito preventivo consenso
informato prima di "erogare" servizi altamente invasivi, che spesso lasciano
l'utente di fronte a draconiani aut-aut. La tecnologia Trusted
Computing, infatti, agisce con
la freddezza della matematica binaria. Deve essere oggetto di un dibattito civile allargato, dal quale,
al di là di precostituite
posizioni ideologiche, possano scaturire azioni concrete a livello nazionale e
comunitario, in nome di tutti noi, cittadini dell'Unione Europea che rifiutano ogni tipo di sudditanza.
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