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 Tutela dei dati personali - Legge 675/96

Uno statuto giuridico globale della persona elettronica
di Stefano Rodotà - 11.10.01 Ringrazio la Cnil [Commission Nationale de l' Informatique et des Libertés , il Garante francese, n.d.r.]e il suo Presidente per aver voluto riprendere le indicazioni della Conferenza di Venezia, dando a questa sessione lo stesso titolo - "One World One Privacy" - che era stato il tema generale della Conferenza dell'anno scorso.
Vi sono, a mio giudizio, almeno quattro buone ragioni per tornare sulla questione:
la protezione dei dati personali, in quanto tale, è sempre più diffusamente riconosciuta come un diritto fondamentale della persona;
vi è un bisogno di uniformità, dunque di certezza del diritto, espresso sia dai singoli che dalle imprese;
l'identità personale, diventando "elettronica", assume una dimensione planetaria;
i tragici fatti dell'11 settembre spingono verso regole comuni.
Sappiamo che la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea ha riconosciuto la protezione dei dati personali come uno di questi diritti (art. 8). Si mette così l'accento su una forma di tutela caratterizzata dall'universalismo, in un quadro di globalizzazione che vede le informazioni personali
diffuse in tutto il pianeta, costituendo la materia prima di attività le più diverse.
La molteplicità delle regole entra sempre più in conflitto con la dimensione globale. I cittadini manifestano chiaramente questa preoccupazione, che si riflette nella proposta rivolta dal Transatlantic Consumers Dialogue agli Stati Uniti e all'Europa per una conferenza su una convenzione internazionale sulla privacy, da tenere nella primavera prossima. Si tratta di una proposta nella linea della Dichiarazione finale della Conferenza di Venezia, da prendere sul serio.
In realtà qui non si riflettono soltanto le preoccupazioni dei cittadini consumatori, ma anche gli interessi della parte più avanzata della business community. Rendendo le proprie modalità d'azione uniformi sul piano mondiale, le imprese non possono continuare ad incontrare una molteplicità di regole, variabili da paese a paese, pena una perdita d'efficienza e un aumento dei costi. Per la protezione dei dati è venuto il momento di diventare un "diritto formale razionale" su scala mondiale, quello che Max Weber considera un elemento essenziale per il calcolo e la previsione economica.
Ma non solo l'economia diventa globale. Trasferita nel ciberspazio, frammentata in una molteplicità di banche dati dappertutto nel mondo, l'identità personale divisa esplode nella rete. Ciascuno di noi è "uno, nessuno, centomila". La personalità corrisponde alle molteplici finestre aperte sullo schermo. E si è potuto dire che "queste finestre sono divenute una potente metafora per pensare il sé come un sistema, multiplo, distribuito".
La possibilità per ciascuno di noi di ricostruire la propria identità, di riconoscersi come unità, dipende sempre più chiaramente da regole di base identiche dappertutto, dunque da uno statuto giuridico globale della persona elettronica.
Infine, gli ultimi tragici avvenimenti americani ci indicano una prospettiva che mostra i limiti dell'autoregolamentazione e, di nuovo, l'esigenza di regole comuni. Bisogna sottolineare che la discussione cominciata proprio in questi giorni non porta necessariamente a concludere che serve meno privacy per avere più sicurezza. Durante le nostre discussioni, ad esempio, si è in messa in evidenza l'analogia tra i paradisi fiscali, rivelatisi uno strumento utilizzato dai terroristi, e i paradisi dei dati, che possono avere una funzione simile. E si può dire lo stesso per le liste dei passeggeri dei voli, che devono essere protette contro i rischi di accesso da parte di terroristi e criminali.
In sintesi. In molti casi è proprio una protezione più rigorosa dei dati che può garantire una maggiore sicurezza individuale e collettiva.
Bisogna, comunque, ascoltare la voce americana del nostro amico Marc Rotenberg che ci ricorda il nesso strettissimo tra libertà e democrazia, che sta a fondamento della nostra missione di difensori di uno dei valori fondamentali dei nostri sistemi democratici. Lo ha sottolineato efficacemente il Presidente Chirac nel suo messaggio, dicendo che "a nessun costo dobbiamo edificare un sistema repressivo internazionale, che metterebbe in pericolo le libertà conquistate a caro prezzo dai nostri concittadini".
E' indispensabile, quindi, una evoluzione dei nostri sistemi - è sempre il Presidente Chirac che parla - verso "un quadro giuridico universale, efficace, evolutivo".
Viviamo un paradosso. Importata dagli Stati Uniti, la privacy è oggi tutelata meglio in Europa.
Se gli americani hanno inventato il diritto alla vita privata, sono stati gli europei ad inventare la protezione dei dati personali, come ha ricordato il Presidente Gentot.
Esistono differenze di culture e di sistemi giuridici, conflitti di interesse anche profondi. Questo significa che il cammino verso un quadro di principi giuridici comuni non sarà né breve, né facile.
Si tratta, però, di un cammino obbligato, lungo il quale l'Europa ha già fatto le sue prove, mostrando che si può attribuire una dimensione sopranazionale alla protezione dei dati personali.
Proprio per ciò l'Europa ha una grande responsabilità. Non si tratta di cercare di imporre un modello, ma di sottolineare, partendo da una esperienza concreta, che la strada verso principi e regole comuni corrisponde ad esigenze sempre più radicate nella nostra società.
Principi e regole comuni non vogliono dire chiudere i cittadini in un quadro restrittivo della loro autonomia. Al contrario. Solo attribuendo a tutti analoghi poteri si può permettere a ciascuno il pieno dominio del sé.
La vita, dice Montaigne, "est un mouvement inégal irrégulier, multiforme". Bisogna rispettare proprio la libertà di questo movimento vivente.