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 Tutela dei dati personali - Legge 675/96

Il convegno "Internet e privacy - quali regole?"
La relazione introduttiva di Stefano Rodotà
08.05.98

Pubblichiamo in anteprima il testo integrale della relazione introduttiva del Presidente del Garante per la protezione dei dati personali, così come è stato trascritto dalla registrazione, senza la revisione dell'autore. Chiediamo scusa per le eventuali inesattezze, pubblicheremo la versione ufficiale appena sarà disponibile.

Non è facile giungere al cuore di Internet e coglierne la realtà vera, bisogna liberarsi con pazienza di molta retorica, superare diffidenze, evitare trappole ideologiche, non restare abbagliati da quella che è stata chiamata la Internet Trinity, una trinità fatta dalla tecnologia del mezzo, dalla distribuzione geografica dei suoi utenti, dalla natura dei suoi contenuti.

Le discussioni si sono venute intensificando, soprattutto nel corso dell'ultimo anno, ma in esse si possono ritrovare tomi e temi che abbiamo già conosciuto all'inizio dei dibattiti intorno alla introduzione dei computers nella nostra organizzazione sociale.
Nel 1965 un osservatore tutt'altro che sprovveduto, come Paul Baran, scriveva in un rapporto per la Rand Corporation (cito): "non aspettiamoci che il contributo dei giuristi possa sostituire una buona progettazione tecnica, anche se non si volesse tenere conto del ritardo sociale dei procedimenti legislativi e giudiziari, gli specifici problemi del mondo dei computers si collocano in una dimensione che ad essi, ai giuristi, sfugge completamente".

Non voglio dire che questa superbia tecnologica, questo orgoglio tecnologico è stato smentito dal fatto che negli anni successivi, nei trenta e più anni che abbiamo alle spalle, si sono venute accumulando moltissime leggi. Ormai, la legislazione sulla privacy e sui settori a questa connessi riempie una consistente biblioteca e attraverso questo intenso intervento legislativo si è anche venuto ridefinendo, vorrei dire rivoluzionando la nozione stessa di privacy.
Oggi il problema si ripropone; da molte parti si afferma la capacità autoregolativa della nuova tecnologia che si manifesta in rete, delle molte tecnologie che si congiungono dando origine alla rete. E si prospetta una sorta di invincibile contrasto tra le potenzialità tecnologiche e i rischi dell'intervento legislativo, quasi che si trattasse di mondi non comunicanti.

Se usciamo da questa contrapposizione di maniera e guardiamo i fatti, ci possiamo accorgere che proprio nel Paese, gli Stati Uniti, dove più marcata è la diffidenza verso l'intervento legislativo, nel giro dell'ultimo anno si sono venute moltiplicando le iniziative di tipo legislativo. Mi limito a ricordare che, alla fine del '97, erano stati presentati al Congresso degli Stati Uniti sei bills, sei proposte di legge sulla on-line privacy, due sul trattamento fiscale delle transazioni su Internet, tre sulla crittografia, due sulla proprietà intellettuale e altri progetti si sono venuti aggiungendo in questi mesi, ma è particolarmente significativo il fatto che in tutti e 50 gli Stati americani siano state prese iniziative, alcune delle quali già arrivate alla conclusione dell'approvazione di una legge nelle materie specifiche del commercio elettronico e della firma digitale.

Quindi ci troviamo di fronte all'avvio di una attività legislativa assai più intenso di quello che aveva segnato l'esordio delle tecnologie elettroniche della comunicazione.
Possiamo aggiunge - ma non voglio insistere in questa carrellata in giro per il mondo - che molte ormai sono nei diversi emisferi del mondo, le iniziative e le leggi che già affrontano questioni specifiche legate all'uso di Internet e regole anche particolarmente penetranti, come quelle che riguardano la trasmissione di "messaggi spazzatura", i junk e-mail, che ha costituito oggetto da anni di interventi negli Stati Uniti, di interventi in Europa (in Germania una decisione giudiziaria, in Italia in un decreto di prossima pubblicazione), il divieto dell'invio per ragioni commerciali, senza il precedente consenso dell'interessato di qualsiasi messaggio con telefonate automatizzate, fax o posta elettronica.

Dunque, la dimensione istituzionale, la dimensione giuridica è tutt'altro che estranea già in questa fase iniziale, formativa, alla questione di "quali regole per Internet".
Ma se noi torniamo di nuovo alle discussioni degli anni settanta, troviamo un altro motivo ricorrente. Allora erano consuete, abituali nella discussione libri e scritti che avevano nel titolo la formula, l'espressione "la morte della privacy". Tornano di nuovo, con riferimento a Internet, con riferimento al servizio on-line, le formule "la morte della privacy".
Il rischio esiste, ma forse c'è da tenere conto del fatto che così come nella prima fase di decollo di queste nuove tecnologie, la privacy è uscita fortemente trasformata e per molti versi rafforzata, così oggi si offre una ulteriore opportunità di riflessione su questo tema.
Terzo ritorno di temi del passato: faccio qui un riferimento alla situazione italiana. Molti dei presenti ricordano che, a metà degli anni sessanta e nella prima parte degli anni settanta, la liberalizzazione nel settore delle televisioni e delle radio, fece nascere una generosa illusione di una libertà conquistata per cui sarebbe stato possibile a tutti ampliare le possibilità di comunicazione e di dialogo proprio attraverso televisioni libere, radio libere e per questo si affermava che questa libertà sarebbe stata tanto maggiore quanto minore fosse stata invece la regolazione pubblica.

Noi conosciamo in Italia l'esito di questa vicenda; questa illusione generosa si è spenta in breve tempo, proprio l'assenza di un quadro di regole istituzionali ha favorito il prevalere di pure logiche di mercato. Le televisioni libere sono diventate oggetto di attenzione dei grandi gruppi e questa illusione di libertà è stata riassorbita nelle grandi strutture di tipo oligopolistico. I digital libertarians, coloro i quali affermano che la rete è il luogo di una infinita libertà, che non deve essere in alcun modo limitata perché altrimenti correrebbe il rischio di essere compressa e negata, dovrebbero forse tenere d'occhio queste esperienze del passato: la libertà ha sempre bisogno di un quadro istituzionale non che la protegga, ma che consenta ad essa di rimanere al riparo dai molti attacchi che alla libertà possono essere portati anche senza una volontà censoria. E nel momento in cui Internet evolve come grandi luogo di interessi economici, tendenza che non può e sarebbe sbagliato contrastare, dobbiamo però tenere conto della necessità di salvaguarda in rete i diritti e le dinamiche della libertà. Non è un caso che da anni si parli e si invochi un information bill of rights, che si parli di una "carta di diritti dell'informazione" che poi concretamente, almeno nel quadro e nello spazio dell'Unione Europea comincia a tradursi in atti significativi e certamente alla fine di quest'anno si avrà una novità senza precedenti: la creazione di uno spazio giuridico europeo dove la tutela della privacy e tramite essa la tutela di libertà fondamentali dei cittadini avrà probabilmente il grado più intenso che si conosca al mondo.

Comunque, nell'ultimo anno la discussione si è arricchita, si è fatta più riflessiva, meno unilaterale, mettendo a fuoco i molteplici problemi e le diverse potenzialità di Internet. Che si comincia a percepire sempre più nettamente non come una dimensione separata, così come era avvenuto troppe volte in passato; non come uno spazio del tutto autonomo, del quale i suoi primi frequentatori vorrebbero rimanere gli unici abitanti, ma Internet si manifesta sempre più nettamente come un potente strumento di trasformazione della società.

Di fronte a noi abbiamo davvero un modello di organizzazione sociale. In due sensi: nel senso proprio, perché si propone alla società un suo modo di organizzarsi. Non più l'organizzazione piramidale, ma l'organizzazione a rete. Non più un'organizzazione con una comunicazione a suo modo autoritaria, dall'alto verso il basso e anche le prime forme di interattività non modificavano radicalmente questo schema, ma davvero come una possibilità di una rete di rapporti che consenta a ciascuno di entrare in rapporto con gli altri mettendo in discussione l'assetto gerarchico dell'organizzazione sociale.
Non ci sono privilegi nel comunicare, anche la più ricca delle strutture di tipo tradizionale, le televisioni dei 500 canali, non hanno le potenzialità di rottura dello schema gerarchico che abbiamo conosciuto perché non tutti possono nello stesso tempo assumere il ruolo di produttori e consumatori delle informazioni.

Quante volte in questi anni abbiamo assistito alla rottura da parte di singoli utenti della rete di schemi di controllo sociale, ad esempio mettendo in rete informazioni sgradite ai governi, sgradite ai gruppi economici che sui tradizionali mezzi di informazione non avevano trovato assolutamente alcuna eco.
Questo è un modello di organizzazione sociale, che tuttavia deve essere valutato anche con spirito critico. Ma Internet è un modello di organizzazione anche per quanto riguarda se stessa. Internet non è immobile: ha generato Intranet, ha generato cioè delle reti a loro modo chiuse ma tuttavia anche di grandi dimensioni e in prospettiva questa è una dinamica da tener presente. Internet genera la Internet II, la next generation Internet, di cui ha parlato nel suo discorso Clinton, la rete superveloce. Un luogo di ulteriori privilegi o un luogo che consentirà la migliore utilizzazione delle potenzialità di questo insieme di nuovi mezzi? Questo è un problema che abbiamo di fronte.
Quindi, in un doppio significato, Internet si presenta come modello sociale.

Ma Internet si diffonde non solo negli spazi sociali, ma per così dire occupa lo sapzio della mente. Impone un altro modo di essere, di pensare, di percepire se stessi in rete. Quante volte, inverando una profezia di William Gibson in "Neuromante" abbiamo letto nelle ultime settimane di persone che si sono trovate ad avere una sorta di problema di personalità per essere state private della possibilità di rimanere in rete.

Internet dunque non è solo un modello, lo sappiamo tutti, è anche uno spazio. E' uno spazio sociale, uno spazio politico, uno spazio economico, uno spazio altamente simbolico, che permette nuove forme di rappresentazione del sé, incide sulle identità, consente nuove forme di espressione e di esperienza artistica. Non sono spazi separati. Non si può pensare Internet sezionaldola. La globalità della rete non riguarda soltanto il fatto che si stende sull'intero pianeta ed è veramente oggi la forma estrema di globalizzazione. Internet è inseparabile. Non è solo un sistema di vasi comunicanti, è appunto una rete, per cui noi non possiamo pensare lo spazio economico di Internet come a qualcosa di separato; pensare alle regole del commercio elettronico senza perciò riflettere sugli effetti che tutto ciò potrà produrre, ad esempio su Internet come spazio sociale, su Internet come spazio pubblico per definizione.

Dobbiamo trovare quindi non solo regole specifiche per ciascuno di questi spazi, ma regole di compatibilità, che impediscano ad esempio alla dinamica economica che prende sempre più forza nella rete di oscurare, non voglio dire di cancellare, le potenzialità di Internet come grande spazio pubblico di confronto e di discussione.

Internet - lo accennavo - nette in discussione o crea identità individuali e collettive, modifica il ruolo dei soggetti, produttori e consumatori al tempo stesso, ci dà una nuova percezione di oggetti e contenuti della comunicazione, ci propone nuovi concetti.
Dunque si tratta di tenere insieme le diverse questioni e connetterle. L'idea di spazio pubblico si pone in maniera radicale, come luogo anche di costruzione della cittadinanza. Noi non ci costruiamo in rete soltanto come consumatori, non ci costruiamo soltanto in rete come utenti di informazioni o produttori di informazioni, tendenzialmente ci costruiamo come cittadini, le analisi che sono state condotte, per esempio negli Stati Uniti attraverso ricerche sostenute in particolare dalla Mark Foundation dimostra la varietà degli usi civili di Internet, senza con ciò voler affermare che Internet è il luogo della democrazia. Internet, la rete per meglio dire, è una forma che la democrazia può assumere, è una opportunità per rafforzare la declinante partecipazione politica. E' un modo per modificare i processi di decisione democratica.

Ma tutto questo ci riporta alla necessità di riflettere sulle precondizioni di tutto questo. Noi sappiamo che se vogliamo che l'affermazione altrimenti retorica della fine della distinzione tra soggetti produttori e consumatori di informazioni, sono necessarie almeno due condizioni che riguardano la connettività, e quindi le condizioni della connettività, i costi, le tariffe (tariffe telefoniche, questione particolarmente viva e importante in Paesi come l'Italia), le modalità e le regole dell'accesso e l'accesso non significa soltanto affermare genericamente o retoricamente che tutti possono accedere a tutto. A che cos anoi possiamo oggi accedere in condizioni di libertà? Non basta incidere sulle tariffe se poi ciò a cui accedo è sempre più costoso e se i beni e le informazioni a cui accedo liberamente sono sempre più limitate. Internet già ci mette di fronte a quello che può essere considerato un paradosso o una contraddizione. In teoria l'accesso è illimitato, in concreto la richiesta di accesso a costi particolari rischia di limitare molto tutto questo.

Voglio fare un esempio: può sorprendere o può essere considerato soltanto un fatto marginale, ma ai miei occhi è significativo, il fatto che due anni fa la Camera dei Lords in Inghilterra abbia ritenuto necessario intervenire, dichiarando una serie di manifestazioni sportive come una sorta di patrimonio culturale del popolo inglese, affermando che la finale della Coppa di Inghilterra o il Torneo di Wimbledon o il Derby di Exon non possono essere trasmesse in forme criptate, debbono essere lasciate liberamente accessibili.
Esiste dunque un problema di una massa critica che deve essere mantenuta per evitare che l'accesso diventi soltanto formula retorica, potere di accedere, ma a che cosa e in presenza di quali condizioni?

Vi è poi il tema della alfabetizzazione informatica. Le condizioni di utilizzazione della rete sono oggi fortemente diseguali. Le diseguaglianze finora non sono diminuite, sono cresciute. Le ricerche fatte negli Stati Uniti dalla Rand Corporation, con riferimento a parametri come il reddito, l'istruzione, la collocazione sociale e la razza dimostrano che le distanze tra i vari gruppi in funzione di questi diversi fattori sono cresciute nell'ultimo decennio.
Naturalmente l'obiezione che viene fatta è che comunque siamo in presenza di tecnologie che per il loro carattere diffusivo invertiranno questa tendenza in tempi non lunghi.
Questo, tuttavia, non deve essere inteso come una sorta di non necessità di politiche pubbliche per cui tutto può essere lasciato unicamente alle dinamiche di mercato, richiama invece la necessità di politiche pubbliche intelligenti e peraltro questo già sta avvenendo, con gli investimenti che nei diversi Paesi si fanno proprio in termini di alfabetizzazione di massa. L'alfabetizzazione non significa soltanto mettere in condizione un numero crescente di cittadini di usare un personal computer o di sapere come si accede a Internet, significa fornire la capacità di un uso critico di questi mezzi.

Nello stesso tempo però, Internet che può essere una grande opportunità e uno strumento di comunicazione e di coesione, si presenta anche - ed è una critica che tutti voi conoscete benissimo e sulla quale quindi non insisto, anche come uno strumento di frammentazione e di isolamento. La possibilità per ciascuno di noi di avere accesso rapido e diretto di comunicazione immediata con tutti coloro i quali si occupano dello stesso tema che ci interessa in qualunque angolo del mondo è certamente una straordinaria opportunità. Ma può diventare una gabbia, non la gabbia di acciaio di cui ci parlava Max Weber, ma certamente una limitazione nel senso che io, assorbito dalla comunicazione con gli studiosi della mia disciplina ai quattro angoli del mondo perdo il contatto con gli altri studiosi di discipline diverse, che si trovano magari nella mia stessa facoltà universitaria, tutti chiusi nella loro stanza, a dialogare con i loro simili ma separati uno dall'altro. Ci sarà un'enorme crescita della specializzazione nei singoli settori, c'è il rischio della perdita della connessione con un paradosso che in questa materia diverrebbe inquietante.

Nello stesso tempo, la sfida che viene dalla rete è particolarmente rilevante ed evidente sul terreno della città politica. Gli spazi politici sono stati messi radicalmente in discussione. E' ormai un luogo comune, quale che sia il libro, il saggio su Internet che apriamo, leggiamo tra le prime righe l'affermazione che i confini nazionali ormai non valgono più e che con essi è stata travolta la tradizionale sovranità degli Stati. Dunque uno degli elementi costitutivi dello Stato moderno che, come voi sapete, ha due elementi, ci raccontano gli studiosi: il popolo e il territorio.
Il territorio ormai è l'intero pianeta, il popolo dei cybernauti è l'umanità intera, almeno in prospettiva. Chi può governare una dimensione che abbia queste caratteristiche?

Naturalmente le tentazioni di utilizzare queste tecnologie, in modo non da arricchire, ma da impoverire i processi democratici è molto forte. Prima ancora dell'avvento di Internet si è molto discusso delle potenzialità delle tecnologie elettroniche per costruire la città democratica per eccellenza. I referendum elettronici sembravano il non plus ultra della democrazia. Abbiamo poi visto come essi possano diventare null'altro che la via alla manipolazione della partecipazione politica, il passaggio da una democrazia dei cittadini a una democrazia del plebiscito, in cui i cittadini saranno magari nevroticamente chiamati a votare tutti i giorni, ma esclusi dai processi di elaborazione politica.
Dunque, Internet ci offre la possibilità, aggiungerei l'obbligo, di riflettere invece su opportunità diverse. I cittadini non sono costretti a occuparsi soltanto del momento finale della decisione. Il sì o il no a una domanda che qualcuno dall'alto ci pone.
Il problema più importante non è essere associati al momento finale della decisione. Internet ci insegna - posso usare proprio questa parola - che è possibile cambiare il procedimento di elaborazione delle proposte, farlo diventare da procedimento chiuso in poche stanze o ristretto a poche persone, farlo diventare fatto corale. La valutazione dei progetti, la loro preparazione possono diventare fatto aperto a un numero tendenzialmente definito di soggetti, che possono intervenire più volte nel processo di decisione proprio perché non abbiamo più un processo piramidale, dove ciascuno può intervenire in un momento soltanto del processo di decisione, che poi sale a un livello superiore dal quale coloro i quali si trovano più in basso vengono esclusi, ma il procedimento a rete consente continui inserimenti nel processo di decisione. Questo è il punto su cui dobbiamo discutere: più che moltiplicare le possibilità di intervenire, quasi che la democrazia fosse un ininterrotto sondaggio solo nel momento finale della decisione.
La democrazia può diventare allora una democrazia continua, una democrazia che abbraccia l'intero processo di elaborazione e di decisione.

Si apre però in questo modo una sorta di conflitto tra usi sociali e usi commerciali di Internet, tra la richiesta di politiche pubbliche e invece la sottolineatura delle opportunità soltanto di regole private. Io insisto: dobbiamo liberarci da una visione puramente ideologica del problema e guardare in concreto quello che accade o che può accadere. Pensate alla questione dell'anonimato, in rete. E' una questione capitale, come voi tutti sapete.
Qui vi è una significativa, importante convergenza tra le esigenze dello spazio sociale e politico, la libertà della discussione, l'ampiezza della partecipazione dei cittadini e le esigenze dello spazio economico, dove il commercio elettronico esige garanzie per gli utenti e per i partecipanti al processo di commercio elettronico, pena il rifiuto di questa dimensione. Se io vado in rete per acquisire beni e servizi senza la sicurezza per ciò che riguarda l'uso dei miei dati, evidentemente la dimensione del commercio elettronico può, già nel breve periodo, essere depressa o non avere la dinamica che ad essa si attribuisce.

Dunque, qui abbiamo una significativa convergenza intorno al tema del rispetto della privacy, della esigenza di anonimato nelle diverse dimensioni. Naturalmente con caratteristiche proprie, ma con un punto comune, vorrei dire con un denominatore comune di riferimento.
Qui ci accorgiamo che stiamo non dico dando un addio definitivo alla vecchia nozione di privacy ma certamente possiamo cogliere con maggiore nettezza il fatto che da strumento di isolamento dagli altri, quale era l'antica nozione di privacy, diritto ad essere lasciato solo, la privacy diventa strumento di comunicazione. A me serve avere tutela dell'anonimato, a me serve la tutela della riservatezza della privacy non per isolarmi, ma per partecipare. Solo se sono certo del mio anonimato potrò partecipare senza timore di essere discriminato o stigmatizzato a gruppi di discussione in rete su temi politicamente sgraditi al potere dominante in un certo momento. Solo se avrò la certezza di non essere discriminato, potrò denunciare gli abusi, magari nel luogo dove io stesso lavoro.

Ecco allora che la riservatezza non è un problema di silenzio, di isolamento dagli altri, ma uno strumento di comunicazione. Allo stesso modo, nell'area del commercio elettronico, la riservatezza diventa lo strumento attraverso il quale, con fiducia, io accedo all'acquisto di beni o di servizi, avendo ad esempio la sicurezza che quelle mie informazioni non verranno ulteriormente utilizzate, fatte circolare, elaborate per costruire profili della mia personalità che potrebbero avere anche effetti discriminatori.
Tuttavia, quando noi ci preoccupiamo di questa dimensione, dobbiamo tener conto che la dimensione della privacy non è da considerare soltanto da parte del soggetto attivo in rete, deve essere considerato anche dal punto di vista dei soggetti che possono essere a loro volta oggetto della comunicazione in rete. Mi spiego: se un imprenditore si sveglia tutte le mattine e trova in un sito particolarmente frequentato l'affermazione che arriva da un anonimo che questo imprenditore non è affidabile, consegna in ritardo, usa bambini per il lavoro, ecco, questa è sicuramente una affermazione che invade la sua sfera privata e se queste informazioni non rispondono alla realtà costituiscono sicuramente una invasione della sua sfera privata.
Ci troviamo quindi, in rete, di fronte alla esigenza di tutelare due diversi interessi alla privacy: da una parte l'interesse di chi comunica; dall'altra l'interesse di chi, essendo oggetto della comunicazione, ha diritto di vedere la propria sfera privata difesa da ingiustificate invasioni altrui.

E qui si pone un problema, come voi tutti sapete, molto delicato: arrivare al soggetto che immette in rete informazioni che possono violare la privacy altrui. Problema delicato perché incide con la questione dell'anonimato, pone il problema di quali siano gli obblighi del provider, se deve accertare in ogni caso l'identità di coloro i quali si servono della rete; come e con quali garanzie di segretezza deve conservare questa informazione su chi, essendo stato identificato all'ingresso poi si manifesta in modo anonimo, con un nome di fantasia in rete e in quali casi è legittimo superare il segreto, per quali esigenze e in base all'intervento di chi. Evidentemente una soluzione può essere quella di ritenere che solo con esplicito provvedimento dell'autorità giudiziaria e in presenza di rischi per la privacy o altri tipi di rischi per l'organizzazione sociale l'anonimato possa essere superato.
E' un problema ed è un problema che si ricollega poi alla questione della responsabilità dei providers. Voi sapete che è una questione aperta e io mi limito qui, poiché sarà certamente oggetto di ulteriori discussioni anche in questa mattinata, a segnalare soltanto un problema.

Se noi facciamo gravare un eccesso di responsabilità sul provider, sia responsabilità penali che civili nel senso di farne i responsabili dei danni arrecati a coloro i quali usano la rete, noi, consapevoli o meno, possiamo avviare dei processi di censura, nel senso che se il provider sa che, ammettendo in forme anonime, che non potranno essere superate alcuni soggetti in rete, che arrecheranno danni a terzi e sarà poi il provider a doverne rispondere perché non potrà essere superata la barriera dell'anonimato, il provider, per ovvie ragioni di autodifesa selezionerà in modo molto rigoroso non solo coloro i quali sono inaffidabili dal punto di vista economico, ma anche quelli che possono apparire scomodi o pericolosi per le opinioni che esprimono.
Quindi noi affermiamo in astratto la libertà della rete, ma facciamo del provider un censore istituzionale e rischiamo in questo modo di entrare in contraddizione con un altro dei caratteri che alla rete viene attribuita, quella di essere un potente strumento di disintermediazione. Si dice: la possibilità del contatto diretto, superare gli intermediari tradizionali. E' vero, la comunicazione, punto a punto. Ma se noi, di questo intermediario tecnico, che è il provider, facciamo anche un intermediario sociale, un filtro giuridico, ricostituiamo condizioni di intermediazione in modo sicuramente pericoloso.

Qual è la via da seguire, allora? In questi anni i tentativi di cogliere la dimensione sociale, economica, giuridica di Internet ha spinto in molti casi ad analogie con altri schemi già noti. Questo è del tutto ovvio. La novità sconvolge in molti casi; sfida poi la pigrizia dei giuristi, i quali sono molto restii in molti casi ad abbandonare gli schemi ai quali sono affezionati e che danno loro certezza. Ecco che si è detto: la rete è molto simile alla disciplina dell'ambiente. Anche lì, nell'ambiente c'è un danno che ha la sua origine in un luogo lontano e che si propaga senza rispetto delle barriere nazionali. L'inquinamento del Danubio, che attraversa una serie di Paesi; le foreste di questo o di quello Stato danneggiati dalle piogge che hanno origine in uno stato lontanissimo; l'inquinamento delle nevi delle Alpi per effetto della sciagura di Chernobyl, non ci dicono qualcosa che ci riporta proprio alla rete, dove i fenomeni hanno origine in un luogo, effetto in un luogo lontano, diverso dal punto di vista dello Stato interessato e che quindi pone gravi problemi di quale sia il soggetto competente a intervenire, quale sia la regola da applicare.

Ancora: analogie tratte dal diritto della navigazione. L'alto mare è un luogo che non è soggetto alla sovranità degli Stati o il diritto dell'Antartide, come un luogo senza sovranità statuale, regolato da intese tra i diversi Stati, e ancora la suggestione della lex mercatoria, la legge creata spontaneamente dai rapporti tra mercanti nel Medio Evo. In una situazione in cui le frontiere sono attraversate con molta maggiore libertà di quanto avvenisse oggi; Marco Polo probabilmente arrivò fino alla Cina senza dovere esibire mai un passaporto.
Quindi, lo schema che affascina qualcuno anche dal punto di vista linguistico, invece di lex mercatoria, in saggi, non nell'ambiente giuridico italiano affezionato al latino, ma negli Stati Uniti, hanno come titolo lex informatica.
Tutte queste analogie con il passato colgono certamente aspetti veri della natura e della dimensione di Internet, ma solo qualche aspetto. La dimensione globale non è colta da queste analogie, che quindi, spinte oltre un certo limite, possono diventare anche un ostacolo a una corretta impostazione della questione istituzionale di Internet.

Certo, la sovranità nazionale è finita. E' finito quello che si è chiamato il territorio giacobino. Lo Stato moderno si è retto sull'idea di un territorio chiuso nei confini, governabile da un unico centro, dall'alto. Oggi ci troviamo di fronte all'assenza di confini, ma anche alla creazione di entità diverse dagli Stati, a diversi soggetti che da punti diversi intervengono per regolare il traffico in rete e quindi la prima questione è la ricognizione della complessità dei diversi centri di potere che regolano questo universo.
Non possiamo più pensare che sia soltanto una la sede della regolazione. Su questo, credo, che si vada creando un consenso piuttosto diffuso, che taglia da una parte gli assertori invincibili della libertà anarchica in rete, e dall'altra i sostenitori dell'altrettanto invincibile logica della regolazione da parte di un unico centro: lo Stato o altro che sia.

La logica è piuttosto quella che io chiamerei di una strategia integrata, che vede presenti soggetti e strumenti diversi, che io elenco con estrema rapidità, cercando di concludere questa mia introduzione.
Atti internazionali e sovranazionali, di varia provenienza, convenzioni, ma non soltanto. Pensate in questo momento allo sforzo che sta facendo l'OCSE di rivitalizzare le sue linee direttive del 1981, per adattarle alla nuova grande dimensione di Internet. Le norme nazionali, di vario rango; l'intervento dei giudici, che nell'ultimo anno ha, soprattutto in Paesi come gli Stati Uniti, manifestato una particolare vitalità e dato maggiore concretezza alla riflessione proprio sui problemi giuridici di privacy. I codici di deontologia, richiamati anche esplicitamente dalla direttiva europea 95/46. Le certificazioni da parte di soggetti. Il ricorso ai contratti. Gli standards tecnici, le privacy enhancing technologies, che costituiscono anche qui una sorta di modello linguistico che si ritrova altrove. La ricerca più interessante che io abbia letto negli ultimi tempi, proprio un mese fa, della ..... University e di Benjamin Barber, nome noto a voi tutti, si intitola Democracy enhancing technologies, dove il calco linguistico è proprio quello del PET, delle privacy enhancing technologies.
Vorrei dire rapidamente pochissime cose su questo punto capitale, perché in questo momento l'accento posto proprio sulle tecnologie protettive dei diritti della privacy in primo luogo è molto forte e tende in molti casi ad essere presentato come un approccio al problema, che esclude tutti gli altri nel senso che l'arricchimento dello strumentario tecnologico può rendere inutile, superfluo o del tutto accessorio il tipo di regola giuridica o comunque norme sia statuali e perfino norme deontologiche.

Io credo che qui la questione sia particolarmente importante. Dobbiamo renderci conto che le privacy enhancing technologies non costituiscono la risposta a un problema tecnico. Herbert Burker insiste e ci richiama sempre alla necessità di riflettere su questo punto. Sono un tentativo di rispondere a un problema politico e sociale, dunque non possono essere descritte all'insegna della neutralità.
Faccio soltanto un caso - avremo in questi giorni opportunità di valutare tutti questi aspetti, io non anticipo soluzioni, non voglio invadere i campi degli altri relatori, richiamo soltanto alcuni problemi. Quando noi insistiamo, con particolare attenzione e intensità, sulla opportunità di tecniche di filtraggio per tenere al riparo i minori dall'accesso a informazioni e a siti che possono rappresentare un rischio per essi; a tecniche di filtraggio per ciò che riguarda i siti nei quali si manifestano violenza, discriminazione razziale, il negazionismo che sta invadendo alcune reti negli Stati Uniti per tutto ciò che riguarda, per esempio, la vicenda nazista, apparentemente ci dotiamo di strumenti tecnici che danno una risposta soddisfacente a esigenze socialmente diffuse. Ma noi non ci rendiamo sempre conto - anche se ormai il problema è sottolineato con grande intensità - che stiamo creando nuovi, accentrati e incontrollati centri di potere perché il potere di classificare l'informazione come violenta diventa in quel momento il potere socialmente più rilevante perché se a quella classificazione corrisponde poi sul mio software un segnale per cui automaticamente io vengo escluso dall'accesso a quel tipo di informazione, voi vi rendete conto, immediatamente, delle conseguenze sociali e politiche di questo tipo di classificazione. Non è né innocente né neutrale il ricorso a queste tecnologie. Va valutato per il quadro istituzionale all'interno del quale si inserisce, ma le polemiche intorno al Communication Decensy Act, al Wchip e a tutto ciò che ha questa caratteristica, alla crittografia non ci dicono proprio che entriamo su un terreno socialmente e politicamente assai sensibile, di cui vanno ridefiniti i termini e i confini. Non siamo di fronte a tecnologie neutre, neutrali; siamo di fronte a tecnologie in cui si manifesta al massimo grado la forza di modello sociale della rete e quindi esigono una seria discussione sul quadro istituzionale, all'interno del quale noi possiamo muoverci e dobbiamo muoverci.

Tutto questo mi porta a dire, anche se in passato molte volte, ancora nella relazione che ho fatto all'inizio di quest'anno all'OCSE mi limitavo a dire: ci troviamo di fronte a tutte quelle forme e a tutti quei soggetti che possono intervenire, si tratta di integrarli opportunamente. Ma prima di integrarli, è necessaria una riflessione accurata su ciascuno di essi.
Le privacy enhancing technologies richiedono questo tipo di riflessione; il riferimento alle norme giuridiche richiede altrettanta riflessione critica. Che tipo di norme giuridiche? Norme giuridiche di tipo stringente o norme giuridiche elastiche, capaci di autoadattarsi alle situazioni che cambiano? Questa è una domanda alla quale dobbiamo rispondere.
E poi, anche all'interno delle stesse tecnologie, del filtraggio, comincia a porsi il problema, ma noi non rischiamo di introdurre un elemento di rigidità. Che tipo di rigidità introduciamo quando stabiliamo un rapporto tra codici, che riflettono valori e che escludono poi l'accesso a determinati siti, e se cambia la valutazione sociale? Quali interventi dovranno essere fatti sui software? Quali costi, anche economici, dovranno essere sopportati?
Problemi tutti che richiedono non solo la considerazione del fatto che ci sono diverse tecniche che devono combinarsi, ma del fatto che queste tecniche, entrando nella nuova dimensione, trovano sicuramente una ridefinizione.

Dobbiamo fare due operazioni contemporaneamente. Per i codici deontologici, ad esempio - e bisogna dirlo, credo con sincerità - finora hanno funzionato poco. Sono codici di prima generazione, in qualche caso, se li leggiamo, poverissimi di contenuto normativo, sono più delle dichiarazioni di intenzioni. Sono più degli strumenti che hanno una finalità di prima rassicurazione di angosce sociali che veri e propri insiemi di regole. Infatti chi riflette su questi temi si chiede se siamo di fronte a quella massa critica necessaria perché i codici deontologici possono pesare effettivamente come strumenti di regolazione.

Concludo: qui ci troviamo di fronte a diversi problemi, che ho cercato sommariamente di indicare, non li ho indicati tutti, ne ho indicati alcuni e vorrei concludere con una considerazione.
Io dico qualche volta scherzando che quando riflettiamo su Internet dobbiamo fare i conti con tre P: pornografia, privacy e proprietà.
La pornografia è un problema ma può diventare anche lo strumento per introdurre forme di censura. La risposta della Corte Suprema americana al Communication Decency Act, quale che sia il modo in cui noi la valutiamo è sicuramente l'espressione di queste preoccupazioni. E ci dice anche un'altra cosa: che noi abbiamo bisogno, in primo luogo, di principi di riferimento molto forti: possiamo articolare come vogliamo i diversi strumenti. Ma quali sono i principi di riferimento? Non sempre è indispensabile riscrivere questi principi di riferimento. La Corte Suprema degli Stati Uniti, come sapete tutti, ha basato la sua decisione sul free speech, sulla libertà di manifestazione del pensiero, 1° emendamento della Costituzione americana, approvato il 25 settembre 1789. Quando i principi sono forti, socialmente condivisi, non è la data di nascita a contare, ma i principi sono necessari. Per Internet come per tutti gli altri aspetti della vita democratica, noi abbiamo bisogno di un quadro forte di principi di riferimento, all'interno del quale poi troverà posto, in una logica non più monocentrica, ma corale, una molteplicità di soggetti e di strumenti.

Privacy, non ho bisogno di insistere su questo punto: è uno dei grandi terreni di verifica non solo della efficienza di Internet, ma anche della sua capacità democratica. Se tutela della privacy significa nello stesso tempo dinamica economica e partecipazione politica, è chiaro che qui si gioca l'una e l'altra.

Proprietà: noi avremo questo pomeriggio un discussione molto impegnativa, ma evidentemente la estensione senza ragioni solide della logica proprietaria a tutti gli oggetti che possono essere portati in rete, può comportare restrizioni forti dello stesso diritto di sapere. L'enfasi posta tante volte su Internet come la biblioteca totale - non dirò la biblioteca di Babele di Borges - rischia di essere vanificata proprio dalla logica proprietaria. La biblioteca pubblica nella storia della civiltà, dalla biblioteca di Alessandria distrutta dall'incendio, fino alla très grande bibliothèque di Mitterrand è l'accesso libero e gratuito di tutti al sapere. Internet non può diventare il luogo dove alcuni acquistano i diritti sui musei e subordinano poi al pagamento di un pedaggio la possibilità di accedere da lontano alla visione della Gioconda o della Primavera di Botticelli.

Stiamo discutendo sicuramente di dati molto concreti, ma stiamo anche disegnando o ci stiamo interrogando intorno al futuro della cittadinanza democratica.