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Attualità

Le proposte del PD per un'agenda digitale italiana

di Paolo Gentiloni, pubblicato il 14 febbraio 2011 - 17.02.11

 
Libertà e neutralità della Rete vanno difese dalla diffusione di circuiti chiusi che sono l’altra faccia della medaglia del successo dei motori di ricerca, dei nuovi device e delle loro applicazioni proprietarie.
 
L’avvento dell’era digitale sta cambiando l’economia, le forme di comunicazione e di impegno politico, le nostre stesse vite. Nei Paesi privi di democrazia e libertà, Internet è uno straordinario motore di cambiamento. A livello comunitario, il mercato digitale viene definito come la “quinta libertà” e, come tale, il suo sviluppo viene considerato prioritario.

L’innovazione tecnologica ha un ritmo tale da modificare continuamente e in profondità la realtà della Rete. I mutamenti più recenti, con l’enorme incremento dell’accesso da reti mobili legato agli smartphone e ai nuovi tablet, moltiplicano le possibilità di superare il digital divide ma allo stesso tempo pongono nuovi problemi. Libertà e neutralità della Rete vanno ora difese anche dall’eccessiva diffusione di circuiti chiusi e a pagamento che sono l’altra faccia della medaglia del successo dei motori di ricerca e dei nuovi device e delle loro applicazioni proprietarie.

L’Agenda Digitale del Commissario Kroes e del Parlamento europeo indica traguardi importanti che l’Unione propone ai paesi membri e a tutti i cittadini europei. L’Italia è il solo grande paese privo di una propria “agenda digitale”. Non può e non vuole rinunciare al futuro, ma procede troppo lentamente e rischia di finire in un vicolo cieco. A distanza di oltre due anni dall’annuncio del primo Piano Caio non solo non sono stati ancora assegnati fondi pubblici necessari per un’opera di tale rilevanza, ma non si è ancora individuato un progetto di sviluppo chiaro che porti anche l’Italia al passo delle nazioni più avanzate.

Il quadro d’insieme è quello di un governo “televisivo” che nei confronti dei media diversi dalla tv alterna indifferenza, tagli e misure discriminatorie spesso segnate dal conflitto d’interessi. E che, in particolare verso Internet e la sua libertà, manifesta una certa ostilità. Appare assai lontana la consapevolezza del rischio per l’Italia di restare indietro nell’era digitale: siamo l’ottava economia industriale ma solo la ventesima economia digitale al mondo. Eppure il futuro del digitale non riguarda lo sviluppo di un settore ma è condizione di crescita dell’intera economia. Per questo gli investimenti in questo campo vedono sestuplicato il loro valore.

Di fronte alla linea di questo governo il Pd deve indicare la propria visione, contribuendo al confronto per varare finalmente un’Agenda digitale italiana e mettendo al centro della propria iniziativa i temi della cittadinanza digitale. Le nostre proposte si articolano attorno a quattro grandi obiettivi

1). Garantire il diritto all’accesso al digitale a tutti i cittadini.

Si tratta di un diritto fondamentale che alcuni paesi hanno introdotto tra i principi costituzionali. L’accesso a Internet deve considerarsi un nuovo servizio universale. Servizio universale significa che la politica di sviluppo dell’innovazione e di reti a banda larga deve essere ispirata ad alcuni obiettivi di fondo: promuovere l’inclusione sociale delle fasce di popolazione più deboli; garantire l’accesso a tutti i cittadini e le imprese, indipendentemente dall’ubicazione geografica e a costi accessibili; garantire l’accesso a tutti i contenuti che sulle reti vengono veicolati, senza forme di censura o discriminazione secondo il principio di neutralità della rete così definito dalla Fcc negli Stati Uniti “Tutti i consumatori devono avere il diritto di accedere a tutti i contenuti fruibili su Internet”. In generale, si tratta di garantire livelli crescenti di inclusione, senza farsi abbagliare da un miope tecno-ottimismo: garantire la connettività è un prerequisito imprescindibile ma rappresenta solo il primo passo verso una vera cittadinanza digitale.

2). Investire sulle reti per assicurare a tutti i cittadini un’offerta digitale adeguata e competitiva con gli altri paesi europei.

I traguardi dell’Agenda europea sono, al 2013, di una banda larga “di base” per tutti che elimini completamente il digital divide e, al 2020, di almeno 30 Mb per tutti e di oltre 100 Mb per il 50% degli utenti domestici. Si tratta di obiettivi ambiziosi, che vanno perseguiti rilanciando gli investimenti anti digital divide, definendo una via italiana per le Ngn e liberando una parte dello spettro radio ormai indispensabile allo sviluppo delle reti mobili. L’intervento anti digital divide, coordinato tra Stato e Regioni, non può subire rallentamenti se si vuole raggiungere l’obiettivo di una copertura minima al 100% della popolazione entro due o tre anni al massimo. Almeno una parte delle risorse promesse nel Piano Romani va effettivamente investita, sapendo che si tratta di interventi che producono comunque un positivo effetto anticiclico sull’economia.

L’eliminazione del digital divide deve essere preceduta da una mappatura dell’offerta reale presente sul territorio con le diverse tecnologie di accesso fisse e wireless (su frequenze licenziate o ad uso libero).

Per realizzare un’infrastruttura di rete in fibra capillare e di qualità occorre individuare un modello italiano, replicabile su base territoriale, che consenta di diluire gli investimenti ed aumentare il numero degli investitori che possono trarre un immediato beneficio locale. Gli enti locali stanno ben cogliendo con le proprie iniziative territoriali il fatto che non esiste un’unica rete ma una rete di reti interconnesse tra loro, realizzate con tecnologie diverse, anche da operatori economici differenti, purché seguendo standard internazionali ed interoperabili.

In tale progetto potrebbero rientrare anche i piani di investimento privati recentemente presentati non solo dai maggiori operatori nazionali (Telecom Italia da un lato ed il consorzio Fibra per l’Italia costituito da Fastweb, Vodafone, Wind e Tiscali dall’altro) ma anche da operatori di medie dimensioni. E al progetto potrebbe riferirsi la disponibilità della Cassa Depositi e prestiti.

In una prima fase, per consentire rapidamente l’avvio di un flusso di investimenti significativo potrebbe essere prevista una forma di coinvestimento pubblico – privato, che spinga verso la realizzazione di reti innovative anche sul piano tecnologico. Ai fini di questo progetto il memorandum firmato dal Governo con sette operatori di Tlc rappresenta solo un primissimo passo che andrà messo alla prova della sua concreta evoluzione.

Per far fronte all’aumento degli accessi a internet da reti radiomobili e realizzare le reti wireless LTE, occorre assegnare con un’asta entro il 2011 le frequenze della banda 800 Mhz liberate dalla transizione della tv dall’analogico al digitale. Questo obiettivo, indicato dal Pd nel 2009 e fino a pochi mesi fa osteggiato dal Governo, si è fatto finalmente strada nella legge di stabilità.

Noi poniamo due condizioni. 1) a pagare questo “dividendo di spettro” in termini di capacità trasmissiva dovranno essere innanzitutto gli incumbent Rai e Mediaset, la cui posizione dominante non può aumentare ulteriormente grazie al digitale. Non è possibile che mentre si organizza l’asta per le frequenze della banda 800 momentaneamente assegnate ad emittenti locali, con il beauty contest sulle frequenze tv si regalino altri due multiplex a Rai e Mediaset. Si tratta di una capacità trasmissiva superflua per gli incumbent della Tv e preziosa per mettere a disposizione frequenze per le emittenti chiamate a liberare la banda 800.

2) una parte significativa dei proventi dell’asta dovranno essere usati per investimenti nell’innovazione e nel digitale, come ha chiesto di recente anche la Commissaria Kroes.

3). Sviluppare i contenuti digitali e contribuire a ridurre il divario della nostra domanda rispetto agli altri paesi europei

E’ urgente un intervento generale adottato insieme dallo Stato e dalle Regioni che da un lato acceleri la digitalizzazione della PA e delle imprese e dall’altro coordini gli investimenti ed i progetti di nuovi servizi. Tale intervento potrà consentire il rapido sviluppo della domanda di servizi digitali che potrà fungere da volano anche per gli investimenti nelle infrastrutture. La sfida riguarda innanzitutto la digitalizzazione delle piccole imprese che da sola può dare una scossa alla produttività dell’intero sistema. Questo è forse il capitolo più importante per un’Agenda digitale italiana. Al fine di promuovere la domanda vanno concentrate le risorse pubbliche disponibili. Nel campo della Pubblica amministrazione i propositi e gli annunci anche condivisibili del Ministro Brunetta non hanno dato luogo a risultati apprezzabili. Serve una svolta. Si tratta in particolare di sviluppare la domanda di servizi digitali, così da stimolare l’adozione della tecnologia da parte dei cittadini. Lo sviluppo della domanda può avvenire attraverso azioni come:

l’adozione negli oltre seimila comuni non in digital divide di un termine di 24 mesi per lo switch off dei servizi dal supporto fisico (carta) a quello digitale (online) che renda quindi obbligatorio l’accesso ai servizi tramite Internet; lo switch off dovrebbe cominciare dall’erogazione di contributi a persone fisiche ed aziende, allestendo punti di accesso in uffici comunali per le persone non informatizzate;

l’obbligatorietà dell’utilizzo della firma digitale;

la definizione di standard e livelli di autentificazione: da quelli basati su smartcard (Cns) a quelli che usano tecnologie cellulari; l’adozione di programmi di alfabetizzazione informatica per i cittadini più disagiati (disabili, anziani e a basso reddito, minoranze etniche e sociali) e di new media education in tutto il sistema formativo; l’insegnamento di fondamenti e principi di programmazione nelle scuole primarie e secondarie;

l’obbligo per il settore pubblico di rendere disponibili - su basi trasparenti e senza vincoli al riutilizzo - informazioni e contenuti in proprio possesso e/o ottenuti tramite fondi pubblici che agevolino il coordinamento e l’efficacia dei servizi;

l’utilizzo da parte del settore pubblico –e della Rai- di software open source e di piattaforme non proprietarie, l’obbligo di acquisto nella Pubblica amministrazione di una quota –anche minima- di forniture Ict da parte di start up.

Dal lato dei servizi al pubblico, molte opportunità potrebbero essere colte già sull’attuale infrastruttura a banda larga senza attendere la realizzazione delle NGN: dall’amministrazione digitale e digital democracy alla sanità digitale e telemedicina; dalla scuola digitale ed e-learning alla giustizia e sicurezza digitale. E poi ancora l’intelligent transportation systems, logistica digitale e telelavoro. In generale va diffusa la consapevolezza del fatto che la digitalizzazione dei servizi è in molti casi l’unico modo per ottenere riduzioni rilevanti dei loro costi.

Dovrebbero inoltre essere previste forme di incentivo pubblico che stimolino le imprese e gli utenti dei nuovi servizi. Tra queste, ad esempio: Garantire la progressiva riduzione delle tariffe di accesso alla rete in rame da parte dei concorrenti (servizi Bitstream) per consentire una maggiore diffusione dei servizi a banda larga e una riduzione dei prezzi al dettaglio.

Ridurre l’Iva per le transazioni commerciali on line. Oltre che ad incentivare l’e-commerce l’Iva agevolata potrebbe costituire un robusto contributo antievasione tale da non incidere in modo significativo sui saldi fiscali.

Assegnare un bonus banda larga a tutte le famiglie prive di connessione. Il bonus potrebbe consistere in un anno di collegamento base free e verrebbe assegnato al nucleo famigliare al compimento del quindicesimo anno di età da parte di un figlio.

Introdurre regole fiscali favorevoli agli investimenti di medio-lungo termine per le infrastrutture in banda larga, sul modello in vigore per le energie rinnovabili.

Introdurre gradualmente l’obbligo di adottare Pos wireless e contactless per esercenti, professionisti e artigiani. Tale introduzione potrebbe essere accompagnata da un periodo di deduzione fiscale per chi la adotta.

Varare un piano di sostegno alle start up digitali con misure di defiscalizzazione, leve finanziarie pubbliche e embarghi normativi per semplificare lo sviluppo di nuove imprese.

Decisivo infine, e forse più di ogni altra cosa, è lo sviluppo di nuovi contenuti digitali per incrementare la domanda. In questo campo più che l’intervento pubblico sarà fondamentale l’evoluzione del mercato. Un’Agenda digitale italiana deve comunque spingere in questa direzione, con scelte normative (nel quadro Ue) come quelle relative a un “nuovo” diritto d’autore, alla riduzione dell’Iva per il mercato emergente dell’e-book, alle facilitazioni per gli investimenti paperless del comparto editoriale. Cruciale al fine dello sviluppo dei contenuti digitali, deve essere il contributo del servizio pubblico radiotelevisivo con le sue originali caratteristiche di universalità e gratuità. La Rai è tenuta a svolgere un ruolo trainante, oltre che nell’alfabetizzazione digitale del Paese, nella diffusione di contenuti digitali e nella divulgazione di best practices. Si tratta di assegnare alla Rai, nella transizione dal broadcasting generalista al “personal market”, il compito di presidiare quei segmenti del mercato che il privato non è in grado o non è interessato ad affrontare. I contenuti digitali del servizio pubblico devono essere offerti su piattaforme non proprietarie, aperte alla fruizione di qualsiasi device e in licenza Creative Commons.

4). Aggiornare il quadro normativo e regolatorio per salvaguardare la neutralità della Rete, semplificare il sistema e accrescere la competitività delle imprese.

Sul piano delle norme si tratta in primo luogo di salvaguardare la libertà e la neutralità della Rete. I tentativi di risolvere i problemi con misure restrittive non sono accettabili. Il confronto italiano va inserito nella discussione europea e globale, senza iniziative provinciali come il recente decreto Romani.

Sul tema della neutralità tecnologica, occorre accelerare il recepimento dei principi contenuti nel quadro europeo delle TLC e cominciare a porre il problema di una cornice regolatoria che salvaguardi la libera navigazione nella Rete dalla minaccia costituita dal peso preponderante dei circuiti chiusi costituiti attorno ai grandi motori di ricerca o al binomio tra device e applicazioni in piattaforme proprietarie.

Sul diritto d’autore, riteniamo conciliabile la libertà della Rete con la valorizzazione delle opere dell’ingegno. A due condizioni: che ben si comprenda che l’essenziale è promuovere il consumo legale dei prodotti culturali in rete; e che non ci si illuda su scorciatoie repressive o di tassazione. Il nuovo Regolamento Agcom sul diritto d’autore sembra andare in una direzione positiva.

Per promuovere lo sviluppo di un mercato legale e favorire la circolazione di contenuti digitali, è necessario introdurre l’obbligo di interoperabilità di reti distributive, di codifiche e formati di dati, e di sistemi di pagamento, disponendo un sistema reputazionale condiviso.

Quanto alla privacy l’allarme crescente per le minacce che possono venire dalla Rete è pienamente giustificato. Vanno in particolare sostenute le richieste stringenti e coordinate dei garanti europei nei confronti di piattaforme e motori di ricerca. L’azione normativa deve inoltre liberare la rete da regole inutili o troppo complicate che ne danneggiano lo sviluppo. L’abolizione del decreto Pisanu che limita il Wifi, promessa dal Governo in seguito ad una nostra iniziativa parlamentare bipartisan che ha sbloccato lo stallo prolungato in materia, può essere un primo esempio positivo.

Infine, sarà fondamentale definire da parte di Agcom le regole di accesso e condivisione delle nuove infrastrutture per rendere possibili investimenti nella Rete. Occorre in particolare definire le condizioni regolamentari affinché, all’uscita dei soggetti pubblici, vengano mantenute condizioni di concorrenzialità ed economicità necessarie allo sviluppo ed all’utilizzo della rete NGN.

La nuova infrastruttura dovrebbe essere realizzata in prima applicazione evitando le duplicazioni, così da privilegiare l’espansione della copertura rispetto alla competizione su limitate aree geografiche. In un secondo momento, all’uscita degli investitori pubblici, il mercato potrebbe scegliere di duplicare l’infrastruttura laddove sussistano le condizioni di convenienza economica.

Un ultimo tema di particolare rilevanza per l’infrastruttura di rete è la gestione della migrazione dal rame alla fibra. L’esperienza fatta in settori analoghi come quello televisivo insegna che molti sforzi vanno concentrati da parte del regolatore nella gestione della transizione dal vecchio al nuovo sistema e che questa spesso avviene solo se forzata dall’esterno (ad esempio con atto normativo). È possibile pensare anche per le reti NGN sistemi di switch off che, garantendo l’accessibilità dei prezzi dei nuovi servizi di accesso, forzino l’utenza al passaggio alle nuove tecnologie.

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