L’avvento dell’era digitale sta cambiando l’economia, le forme di
comunicazione e di impegno politico, le nostre stesse vite. Nei Paesi privi di
democrazia e libertà, Internet è uno straordinario motore di cambiamento. A
livello comunitario, il mercato digitale viene definito come la “quinta
libertà” e, come tale, il suo sviluppo viene considerato prioritario.
L’innovazione tecnologica ha un ritmo tale da modificare continuamente e in
profondità la realtà della Rete. I mutamenti più recenti, con l’enorme
incremento dell’accesso da reti mobili legato agli smartphone e ai nuovi
tablet, moltiplicano le possibilità di superare il digital divide ma allo
stesso tempo pongono nuovi problemi. Libertà e neutralità della Rete vanno ora
difese anche dall’eccessiva diffusione di circuiti chiusi e a pagamento che
sono l’altra faccia della medaglia del successo dei motori di ricerca e dei
nuovi device e delle loro applicazioni proprietarie.
L’Agenda Digitale del Commissario Kroes e del Parlamento europeo indica
traguardi importanti che l’Unione propone ai paesi membri e a tutti i
cittadini europei. L’Italia è il solo grande paese privo di una propria “agenda
digitale”. Non può e non vuole rinunciare al futuro, ma procede troppo
lentamente e rischia di finire in un vicolo cieco. A distanza di oltre due anni
dall’annuncio del primo Piano Caio non solo non sono stati ancora assegnati
fondi pubblici necessari per un’opera di tale rilevanza, ma non si è ancora
individuato un progetto di sviluppo chiaro che porti anche l’Italia al passo
delle nazioni più avanzate.
Il quadro d’insieme è quello di un governo “televisivo” che nei
confronti dei media diversi dalla tv alterna indifferenza, tagli e misure
discriminatorie spesso segnate dal conflitto d’interessi. E che, in
particolare verso Internet e la sua libertà, manifesta una certa ostilità.
Appare assai lontana la consapevolezza del rischio per l’Italia di restare
indietro nell’era digitale: siamo l’ottava economia industriale ma solo la
ventesima economia digitale al mondo. Eppure il futuro del digitale non riguarda
lo sviluppo di un settore ma è condizione di crescita dell’intera economia.
Per questo gli investimenti in questo campo vedono sestuplicato il loro valore.
Di fronte alla linea di questo governo il Pd deve indicare la propria
visione, contribuendo al confronto per varare finalmente un’Agenda digitale
italiana e mettendo al centro della propria iniziativa i temi della cittadinanza
digitale. Le nostre proposte si articolano attorno a quattro grandi obiettivi
1). Garantire il diritto all’accesso al digitale a tutti i cittadini.
Si tratta di un diritto fondamentale che alcuni paesi hanno introdotto tra i
principi costituzionali. L’accesso a Internet deve considerarsi un nuovo
servizio universale. Servizio universale significa che la politica di sviluppo
dell’innovazione e di reti a banda larga deve essere ispirata ad alcuni
obiettivi di fondo: promuovere l’inclusione sociale delle fasce di popolazione
più deboli; garantire l’accesso a tutti i cittadini e le imprese,
indipendentemente dall’ubicazione geografica e a costi accessibili; garantire
l’accesso a tutti i contenuti che sulle reti vengono veicolati, senza forme di
censura o discriminazione secondo il principio di neutralità della rete così
definito dalla Fcc negli Stati Uniti “Tutti i consumatori devono avere il
diritto di accedere a tutti i contenuti fruibili su Internet”. In generale, si
tratta di garantire livelli crescenti di inclusione, senza farsi abbagliare da
un miope tecno-ottimismo: garantire la connettività è un prerequisito
imprescindibile ma rappresenta solo il primo passo verso una vera cittadinanza
digitale.
2). Investire sulle reti per assicurare a tutti i cittadini un’offerta
digitale adeguata e competitiva con gli altri paesi europei.
I traguardi dell’Agenda europea sono, al 2013, di una banda larga “di
base” per tutti che elimini completamente il digital divide e, al 2020, di
almeno 30 Mb per tutti e di oltre 100 Mb per il 50% degli utenti domestici. Si
tratta di obiettivi ambiziosi, che vanno perseguiti rilanciando gli investimenti
anti digital divide, definendo una via italiana per le Ngn e liberando una parte
dello spettro radio ormai indispensabile allo sviluppo delle reti mobili. L’intervento
anti digital divide, coordinato tra Stato e Regioni, non può subire
rallentamenti se si vuole raggiungere l’obiettivo di una copertura minima al
100% della popolazione entro due o tre anni al massimo. Almeno una parte delle
risorse promesse nel Piano Romani va effettivamente investita, sapendo che si
tratta di interventi che producono comunque un positivo effetto anticiclico sull’economia.
L’eliminazione del digital divide deve essere preceduta da una mappatura
dell’offerta reale presente sul territorio con le diverse tecnologie di
accesso fisse e wireless (su frequenze licenziate o ad uso libero).
Per realizzare un’infrastruttura di rete in fibra capillare e di qualità
occorre individuare un modello italiano, replicabile su base territoriale, che
consenta di diluire gli investimenti ed aumentare il numero degli investitori
che possono trarre un immediato beneficio locale. Gli enti locali stanno ben
cogliendo con le proprie iniziative territoriali il fatto che non esiste un’unica
rete ma una rete di reti interconnesse tra loro, realizzate con tecnologie
diverse, anche da operatori economici differenti, purché seguendo standard
internazionali ed interoperabili.
In tale progetto potrebbero rientrare anche i piani di investimento privati
recentemente presentati non solo dai maggiori operatori nazionali (Telecom
Italia da un lato ed il consorzio Fibra per l’Italia costituito da Fastweb,
Vodafone, Wind e Tiscali dall’altro) ma anche da operatori di medie
dimensioni. E al progetto potrebbe riferirsi la disponibilità della Cassa
Depositi e prestiti.
In una prima fase, per consentire rapidamente l’avvio di un flusso di
investimenti significativo potrebbe essere prevista una forma di coinvestimento
pubblico – privato, che spinga verso la realizzazione di reti innovative anche
sul piano tecnologico. Ai fini di questo progetto il memorandum firmato dal
Governo con sette operatori di Tlc rappresenta solo un primissimo passo che
andrà messo alla prova della sua concreta evoluzione.
Per far fronte all’aumento degli accessi a internet da reti radiomobili e
realizzare le reti wireless LTE, occorre assegnare con un’asta entro il 2011
le frequenze della banda 800 Mhz liberate dalla transizione della tv dall’analogico
al digitale. Questo obiettivo, indicato dal Pd nel 2009 e fino a pochi mesi fa
osteggiato dal Governo, si è fatto finalmente strada nella legge di stabilità.
Noi poniamo due condizioni. 1) a pagare questo “dividendo di spettro” in
termini di capacità trasmissiva dovranno essere innanzitutto gli incumbent Rai
e Mediaset, la cui posizione dominante non può aumentare ulteriormente grazie
al digitale. Non è possibile che mentre si organizza l’asta per le frequenze
della banda 800 momentaneamente assegnate ad emittenti locali, con il beauty
contest sulle frequenze tv si regalino altri due multiplex a Rai e Mediaset. Si
tratta di una capacità trasmissiva superflua per gli incumbent della Tv e
preziosa per mettere a disposizione frequenze per le emittenti chiamate a
liberare la banda 800.
2) una parte significativa dei proventi dell’asta dovranno essere usati per
investimenti nell’innovazione e nel digitale, come ha chiesto di recente anche
la Commissaria Kroes.
3). Sviluppare i contenuti digitali e contribuire a ridurre il divario
della nostra domanda rispetto agli altri paesi europei
E’ urgente un intervento generale adottato insieme dallo Stato e dalle
Regioni che da un lato acceleri la digitalizzazione della PA e delle imprese e
dall’altro coordini gli investimenti ed i progetti di nuovi servizi. Tale
intervento potrà consentire il rapido sviluppo della domanda di servizi
digitali che potrà fungere da volano anche per gli investimenti nelle
infrastrutture. La sfida riguarda innanzitutto la digitalizzazione delle piccole
imprese che da sola può dare una scossa alla produttività dell’intero
sistema. Questo è forse il capitolo più importante per un’Agenda digitale
italiana. Al fine di promuovere la domanda vanno concentrate le risorse
pubbliche disponibili. Nel campo della Pubblica amministrazione i propositi e
gli annunci anche condivisibili del Ministro Brunetta non hanno dato luogo a
risultati apprezzabili. Serve una svolta. Si tratta in particolare di sviluppare
la domanda di servizi digitali, così da stimolare l’adozione della tecnologia
da parte dei cittadini. Lo sviluppo della domanda può avvenire attraverso
azioni come:
l’adozione negli oltre seimila comuni non in digital divide di un termine
di 24 mesi per lo switch off dei servizi dal supporto fisico (carta) a quello
digitale (online) che renda quindi obbligatorio l’accesso ai servizi tramite
Internet; lo switch off dovrebbe cominciare dall’erogazione di contributi a
persone fisiche ed aziende, allestendo punti di accesso in uffici comunali per
le persone non informatizzate;
l’obbligatorietà dell’utilizzo della firma digitale;
la definizione di standard e livelli di autentificazione: da quelli basati su
smartcard (Cns) a quelli che usano tecnologie cellulari; l’adozione di
programmi di alfabetizzazione informatica per i cittadini più disagiati
(disabili, anziani e a basso reddito, minoranze etniche e sociali) e di new
media education in tutto il sistema formativo; l’insegnamento di fondamenti e
principi di programmazione nelle scuole primarie e secondarie;
l’obbligo per il settore pubblico di rendere disponibili - su basi
trasparenti e senza vincoli al riutilizzo - informazioni e contenuti in proprio
possesso e/o ottenuti tramite fondi pubblici che agevolino il coordinamento e l’efficacia
dei servizi;
l’utilizzo da parte del settore pubblico –e della Rai- di software open
source e di piattaforme non proprietarie, l’obbligo di acquisto nella Pubblica
amministrazione di una quota –anche minima- di forniture Ict da parte di start
up.
Dal lato dei servizi al pubblico, molte opportunità potrebbero essere colte
già sull’attuale infrastruttura a banda larga senza attendere la
realizzazione delle NGN: dall’amministrazione digitale e digital democracy
alla sanità digitale e telemedicina; dalla scuola digitale ed e-learning alla
giustizia e sicurezza digitale. E poi ancora l’intelligent transportation
systems, logistica digitale e telelavoro. In generale va diffusa la
consapevolezza del fatto che la digitalizzazione dei servizi è in molti casi l’unico
modo per ottenere riduzioni rilevanti dei loro costi.
Dovrebbero inoltre essere previste forme di incentivo pubblico che stimolino
le imprese e gli utenti dei nuovi servizi. Tra queste, ad esempio: Garantire la
progressiva riduzione delle tariffe di accesso alla rete in rame da parte dei
concorrenti (servizi Bitstream) per consentire una maggiore diffusione dei
servizi a banda larga e una riduzione dei prezzi al dettaglio.
Ridurre l’Iva per le transazioni commerciali on line. Oltre che ad
incentivare l’e-commerce l’Iva agevolata potrebbe costituire un robusto
contributo antievasione tale da non incidere in modo significativo sui saldi
fiscali.
Assegnare un bonus banda larga a tutte le famiglie prive di connessione. Il
bonus potrebbe consistere in un anno di collegamento base free e verrebbe
assegnato al nucleo famigliare al compimento del quindicesimo anno di età da
parte di un figlio.
Introdurre regole fiscali favorevoli agli investimenti di medio-lungo termine
per le infrastrutture in banda larga, sul modello in vigore per le energie
rinnovabili.
Introdurre gradualmente l’obbligo di adottare Pos wireless e contactless
per esercenti, professionisti e artigiani. Tale introduzione potrebbe essere
accompagnata da un periodo di deduzione fiscale per chi la adotta.
Varare un piano di sostegno alle start up digitali con misure di
defiscalizzazione, leve finanziarie pubbliche e embarghi normativi per
semplificare lo sviluppo di nuove imprese.
Decisivo infine, e forse più di ogni altra cosa, è lo sviluppo di nuovi
contenuti digitali per incrementare la domanda. In questo campo più che l’intervento
pubblico sarà fondamentale l’evoluzione del mercato. Un’Agenda digitale
italiana deve comunque spingere in questa direzione, con scelte normative (nel
quadro Ue) come quelle relative a un “nuovo” diritto d’autore, alla
riduzione dell’Iva per il mercato emergente dell’e-book, alle facilitazioni
per gli investimenti paperless del comparto editoriale. Cruciale al fine dello
sviluppo dei contenuti digitali, deve essere il contributo del servizio pubblico
radiotelevisivo con le sue originali caratteristiche di universalità e
gratuità. La Rai è tenuta a svolgere un ruolo trainante, oltre che nell’alfabetizzazione
digitale del Paese, nella diffusione di contenuti digitali e nella divulgazione
di best practices. Si tratta di assegnare alla Rai, nella transizione dal
broadcasting generalista al “personal market”, il compito di presidiare quei
segmenti del mercato che il privato non è in grado o non è interessato ad
affrontare. I contenuti digitali del servizio pubblico devono essere offerti su
piattaforme non proprietarie, aperte alla fruizione di qualsiasi device e in
licenza Creative Commons.
4). Aggiornare il quadro normativo e regolatorio per salvaguardare la
neutralità della Rete, semplificare il sistema e accrescere la competitività
delle imprese.
Sul piano delle norme si tratta in primo luogo di salvaguardare la libertà e
la neutralità della Rete. I tentativi di risolvere i problemi con misure
restrittive non sono accettabili. Il confronto italiano va inserito nella
discussione europea e globale, senza iniziative provinciali come il recente
decreto Romani.
Sul tema della neutralità tecnologica, occorre accelerare il recepimento dei
principi contenuti nel quadro europeo delle TLC e cominciare a porre il problema
di una cornice regolatoria che salvaguardi la libera navigazione nella Rete
dalla minaccia costituita dal peso preponderante dei circuiti chiusi costituiti
attorno ai grandi motori di ricerca o al binomio tra device e applicazioni in
piattaforme proprietarie.
Sul diritto d’autore, riteniamo conciliabile la libertà della Rete con la
valorizzazione delle opere dell’ingegno. A due condizioni: che ben si
comprenda che l’essenziale è promuovere il consumo legale dei prodotti
culturali in rete; e che non ci si illuda su scorciatoie repressive o di
tassazione. Il nuovo Regolamento Agcom sul diritto d’autore sembra andare in
una direzione positiva.
Per promuovere lo sviluppo di un mercato legale e favorire la circolazione di
contenuti digitali, è necessario introdurre l’obbligo di interoperabilità di
reti distributive, di codifiche e formati di dati, e di sistemi di pagamento,
disponendo un sistema reputazionale condiviso.
Quanto alla privacy l’allarme crescente per le minacce che possono venire
dalla Rete è pienamente giustificato. Vanno in particolare sostenute le
richieste stringenti e coordinate dei garanti europei nei confronti di
piattaforme e motori di ricerca. L’azione normativa deve inoltre liberare la
rete da regole inutili o troppo complicate che ne danneggiano lo sviluppo. L’abolizione
del decreto Pisanu che limita il Wifi, promessa dal Governo in seguito ad una
nostra iniziativa parlamentare bipartisan che ha sbloccato lo stallo prolungato
in materia, può essere un primo esempio positivo.
Infine, sarà fondamentale definire da parte di Agcom le regole di accesso e
condivisione delle nuove infrastrutture per rendere possibili investimenti nella
Rete. Occorre in particolare definire le condizioni regolamentari affinché, all’uscita
dei soggetti pubblici, vengano mantenute condizioni di concorrenzialità ed
economicità necessarie allo sviluppo ed all’utilizzo della rete NGN.
La nuova infrastruttura dovrebbe essere realizzata in prima applicazione
evitando le duplicazioni, così da privilegiare l’espansione della copertura
rispetto alla competizione su limitate aree geografiche. In un secondo momento,
all’uscita degli investitori pubblici, il mercato potrebbe scegliere di
duplicare l’infrastruttura laddove sussistano le condizioni di convenienza
economica.
Un ultimo tema di particolare rilevanza per l’infrastruttura di rete è la
gestione della migrazione dal rame alla fibra. L’esperienza fatta in settori
analoghi come quello televisivo insegna che molti sforzi vanno concentrati da
parte del regolatore nella gestione della transizione dal vecchio al nuovo
sistema e che questa spesso avviene solo se forzata dall’esterno (ad esempio
con atto normativo). È possibile pensare anche per le reti NGN sistemi di
switch off che, garantendo l’accessibilità dei prezzi dei nuovi servizi di
accesso, forzino l’utenza al passaggio alle nuove tecnologie.
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