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 Attualità

Abolire le tasse sulle attività telematiche
di Manlio Cammarata - 25.11.99

E' proprio vero: come qualcuno aveva osservato due mesi fa lo scemo del villaggio (globale) è scomparso dai piani del Governo, e in particolare dalla legge finanziaria che naviga nelle aule parlamentari (vedi Ma il computer non è uno status symbol).
Il fatto è grave, perché la scelta di affidare a un'immagine così negativa la promozione delle tecnologie dell'informazione in Italia era sbagliata, ma le premesse erano corrette.

Rileggiamo il paragrafo IV.4 del DPEF 2000-2003, nel quale è elencata una serie di "grandi obiettivi":

  • Campagna di comunicazione integrata (radio, televisione, stampa).
  • Corsi di informatica in diversi cicli scolastici anche tramite partnership con istituzioni private e non profit o educazione a distanza; uso delle tecnologie nella didattica e creazione di servizi in rete per le scuole.
  • Possibilità concrete per i giovani e gli insegnanti di accedere all'uso del computer e alla rete.
  • Corsi di formazione e riqualificazione professionale anche per la pubblica amministrazione.
  • Sviluppo delle reti veloci.
  • Diffusione di Internet nelle PMI e nelle pubbliche amministrazioni (anche con collegamenti continui alla rete), quale strumento per la erogazione e la fruizione di servizi.
  • Completamento dei progetti infrastrutturali per scuole e pubbliche amministrazioni e rapida attuazione - tra gli altri - dei programmi in tema di rete unitaria, firma digitale e carte intelligenti.
  • Fondo per la ricerca da destinare al settore; promozione di una rete sperimentale Internet di nuova generazione e supporto ai progetti tra università e imprese.
  • Sviluppo dell'industria dei servizi on line (e quindi dei centri servizi), dell'industria multimediale e dei contenuti (con la valutazione della possibile estensione delle norme e delle agevolazioni previste per l'editoria).
  • Incentivazione dell'introduzione e dell'uso del Commercio elettronico e della creazione di punti di accesso pubblici a Internet.
  • Sostegno del telelavoro.
  • Accelerazione della trasformazione del sistema radiotelevisivo da analogico a digitale e rapida introduzione della telefonia mobile di terza generazione (UMTS).

Scomparsa dalla legge finanziaria buona parte di queste previsioni, si era detto che gli incentivi sarebbero stati introdotti nel "collegato". Ma ben poco di quelle buone intenzioni è rimasto nei disegni di legge collegati, peraltro ancora non reperibili sui siti istituzionali. Solo nella newsletter del Forum per la società dell'informazione sono indicati 450 miliardi nel triennio 2000-2002 al Ministero della pubblica istruzione "per finanziare l'acquisto di attrezzature informatiche da parte delle istituzioni scolastiche... e per consentire l'affidamento in comodato di tali attrezzature ai docenti", 330 miliardi al Fondo speciale per l'innovazione tecnologica del Ministero dell'industria (dei quali 80 all'anno "per le imprese che attivano o rinnovano siti internet finalizzati al commercio elettronico") e una serie di esenzioni di imposta per i trasferimenti a titolo gratuito di apparecchiature obsolete (vorremmo vedere con quale faccia il Ministro delle finanze potrebbe pretendere il pagamento di imposte sul riciclaggio di vecchi arnesi altrimenti destinati alla spazzatura!).

Tutto qui. Per la verità, nella finanziaria c'è un'innovazione positiva, del quale abbiamo già parlato: l'abolizione dei bolli sugli atti giudiziari, che elimina un ostacolo fondamentale alla loro formazione con la firma digitale e alla conseguente trasmissione telematica (vedi Le tecnologie rinnoveranno il diritto?).

Ma nella legge finanziaria e nei collegati sembra del tutto dimenticato uno dei "grandi obiettivi" del DPEF: lo "sviluppo dell'industria dei servizi on line (e quindi dei centri servizi), dell'industria multimediale e dei contenuti (con la valutazione della possibile estensione delle norme e delle agevolazioni previste per l'editoria)".
Questo potrebbe essere un punto fondamentale per l'effettivo decollo della società dell'informazione nel nostro Paese, perché è sempre vero che se non ci sono contenuti la gente non sa che farsene degli strumenti.

Apro una parentesi. Da tutte le parti si inneggia all'esplosione del numero degli abbonati all'internet, innescata dalle offerte gratuite: si parla addirittura di cinque milioni di abbonati alla fine di quest'anno. In realtà bisognerebbe parlare di "cinque milioni di abbonamenti", perché è noto che sono in molti ad aver stipulato il contratto gratuito con due o anche tre fornitori, sicché non è forse esagerato ridurre alla metà il numero effettivo degli italiani "connessi". Chiusa la parentesi.

Ora è lecito chiedersi che cosa fanno tutti questi neofiti della rete quando si collegano, se continuano a non trovare i contenuti la cui mancanza giustificava la scarsa propensione alla spesa per l'abbonamento. Sono tutti dediti a fare acquisti on-line? E allora, a che servono gli incentivi per il commercio elettronico, se questo va avanti da solo?

Eppure ci sarebbe un ottimo strumento per diffondere tra gli italiani un impiego utile e costruttivo della rete: l'accesso gratuito ai documenti pubblici.
Se è vero, come affermava la responsabile dei sistemi informativi della Giustizia nell'
intervista di due mesi fa, che l'unico ostacolo alla diffusione via internet della Gazzetta ufficiale è il costo della copia, non c'è occasione migliore della legge finanziaria per eliminare questa piccola "tassa".
Nello stesso modo si potrebbero eliminare gli altri balzelli che ostacolano l'accesso alle banche dati pubbliche, come quelle della Corte di Cassazione o del fisco.

Fra l'altro, l'eliminazione di questi pedaggi e degli anacronistici regimi di concessione avrebbe altri risvolti positivi. Per quanto riguarda l'accesso alla legge, si otterrebbe un momento non secondario di parità tra accusa e difesa nel processo penale: il pubblico ministero accede gratis alle fonti normative, l'avvocato deve sborsare cifre non indifferenti. Quanto al fisco, si eliminerebbe l'assurdità di dover pagare le tasse per pagare le tasse, perché chi accede, per esempio, all'Ufficio tecnico erariale per conoscere il valore catastale di un'immobile e calcolare l'ICI, deve pagare una tassa sulla visura. Nel caso in cui voglia consultare i registri per via telematica, deve stipulare una convenzione (del costo di alcuni milioni) con il Ministero delle finanze. Questa situazione è intollerabile in una società che dice di voler fare dell'informazione un cardine dello sviluppo economico: la prima cosa da fare, per favorire lo sviluppo delle attività telematiche, è abolire le procedure inutili e i balzelli vessatori che si oppongono alla sua diffusione.

Si dirà che lo Stato non può rinunciare a queste entrate, ma in realtà i costi di esazione sono tali che l'abolizione delle "tasse sulla telematica" potrebbe addirittura risolversi in un risparmio. E in ogni caso nella legge finanziaria si possono indicare i mezzi per risolvere questo problema.

Non è difficile, basterebbe la "volontà politica". Come basterebbe la volontà politica per individuare gli incentivi alla produzione di contenuti di tipo informativo e culturale. O si vuole che la società dell'informazione sia soltanto la società del commercio elettronico?