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Diritto d'autore

Tra Grokster e Futura City: equivoci e strumentalizzazioni

di Andrea Monti - 07.07.05

 
Scrivo questo pezzo sull’onda del fastidio generato dalla mia partecipazione alla puntata di Nove in punto trasmessa il 5 luglio 2005 dalle frequenze di Radio24. Gli altri partecipanti erano Fiorello Cortiana (senatore dei Verdi), Enzo Mazza (FIMI) e Paolo Vigevano (capo della segreteria tecnica del Ministro dell'innovazione e tecnologie). L’argomento era il file-sharing all’indomani della sentenza della Corte suprema USA nel caso Grokster che è stata presentata – mi si passi il gioco di parole – in modo veramente “groktesco”.

La trasmissione si è dipanata sulle solite giaculatorie dei produttori sui danni provocati dalla duplicazione abusiva e sulle dichiarazioni istituzionali sull’importanza dei contenuti (con le solite appendici sul prezzo elevato dei CD e via discorrendo) mentre sono rimaste lettera morta – fra gli intervistati e fra il pubblico – le richieste di chiarimento sull’adozione (art. 171-novies LDA) di regimi di pentitismo di stampo mafioso e sul tentativo di usare la legge sul diritto d’autore (e in particolare la legge Urbani) come cavallo di Troia per mettere fuori legge la crittografia(vedi l’analisi dei contenuti del Decreto Urbani a cura di ALCEI) sulla criminalizzazione del Peer-to-Peer. E in questo senso, il silenzio dei rappresentanti istituzionali – a parte un timido accenno di Cortiana - è stato veramente fragoroso.

Mentre, a proposito del merito della sentenza, merita di essere evidenziata – e criticata – la posizione di Enzo Mazza secondo cui la sentenza Grokster stabilirebbe che ai provider che non adottano filtraggi o altre misure di controllo possano essere attribuite responsabilità.
In realtà questo non è vero. Chi si fosse preso la briga di leggersi le quasi sessanta pagine della sentenza, avrebbe scoperto che il ragionamento della Corte è tutto basato su un principio di straordinaria ovvietà: se qualcuno promuove un prodotto (e ne trae un utile economico) invitando ad utilizzarlo per violare la legge, questo qualcuno è corresponsabile delle violazioni che vengono commesse tramite il prodotto stesso.

E non rileva che il prodotto in questione (a differenza dei videoregistratori oggetto della celeberrima sentenza Sony corp. vs Universal City Studios) sia suscettibile di utilizzi leciti. Quando gli indizi vanno al di la delle caratteristiche di un prodotto o della consapevolezza del suo utilizzo illecito – scrive la Corte a pag.17 della sentenza – e mostrano atti o azioni diretti a promuovere la commissione di illeciti, la sentenza Sony non consente di escludere la responsabilità.

Ma da questo non si può derivare alcun obbligo dei provider di controllare le attività degli utenti, nè di filtrare i contenuti. Dopo aver ricordato l’opinione della Corte d’appello della California sulla inesistenza dell’obbligo di monitaraggio degli utenti in carico ai provider, la Corte, è estremamente netta nell’affermare che (pag. 22, nota 12) naturalmente, in assenza di altri indizi del dolo, un tribunale sarebbe impossibilitato a configurare una responsabilità per concorso nell’illecito, basata semplicemente sulla mancata adozione di azioni dirette a prevenire le violazioni, se lo strumento è suscettibile di utilizzi leciti.

Dunque, contrariamente a quanto si vorrebbe (o desidererebbe) far dire alla sentenza, filtri e controlli sugli utenti sono fuori discussione.
Ma siccome nessuno leggerà mai la sentenza, si potrà continuare a dire impunemente sui mezzi di informazione che i filtri sono “cosa buona e giusta” e che sono stati “santificati” persino dalla Corte suprema americana. Con la conseguenza che gli ineffabili politici saranno più tranquilli nel continuare l’opera di sistematico smantellamento del sistema di tutela giuridica della libertà individuale in corso da tempo con la scusa della duplicazione abusiva e dei “pedofili”.

In questo senso, i contenuti della puntata di “Nove in punto” fanno il paio con un altro “straordinario pezzo” di televisione: la puntata di Futura City dedicata agli "hacker" dal titolo “Non si è mai troppo sicuri”, andata in onda il 7 giugno 2005.
Gli autori della trasmissione hanno celebrato - peraltro senza riferimento a dati concreti e verificabili - tutti i luoghi comuni (e indimostrati) che caratterizzano la pubblicistica di settore. Dal "crimine virtuale"
(che invece è estremamente reale), al furto di carte di credito, al ricorso ad "esperti" più o meno titolati in altre discipline, che per ciò solo ritengono di essere autorevoli anche in un settore del quale palesemente non hanno competenza, al "terrorismo informativo", alle piaggerie nei confronti delle forze dell'ordine (la cui realtà concreta è molto lontana da quella mostrata in trasmissione).

Se solo avessero approfondito un po' il tema - e non era difficile, vista la quantità enorme di materiale liberamente disponibile - avrebbero scoperto che l'attività delle forze di polizia è quasi esclusivamente dedicata a inquisire lo scambio di musica, software e immagini pornografiche. I casi tratti a giudizio di accesso abusivo sono - in dodici anni di esistenza della legge - pochissimi. Avrebbero anche potuto verificare che le "apocalissi informatiche" sono vaticinate, solitamente, da "venditori di insicurezza", da chi vuole usare la scusa del terrorismo per legittimare controlli e invasività altrimenti inaccettabili e da chi ha paura di un'informazione indipendente e che va alla fonte delle notizie. Avrebbero anche scoperto che la parola hacker non ha il significato che le hanno arbitrariamente appiccicato e che i temi della libertà di accesso alle informazioni (lungi dall'essere uno slogan per questo o quel movimento politicizzato) pongono sfide cruciali al rispetto dei diritti delle persone.

A parte domandarsi quale sia la ragione che spinge a trattare temi culturalmente così importanti in questo modo tanto desolantemente scalcinato, la cosa che lascia più perplessi, nel caso di Futura City (che ha un indirizzo e-mail, ma non risponde alle critiche) ma più ancora in quello di Nove in punto – per tornare all’attualità - è la totale “assenza mentale” del pubblico, che nelle telefonate continuava a lamentarsi del costo dei CD, del “perchè non posso scaricare musica in pubblico dominio”, del fatto che Internet (con la “I” maiuscola - ha ucciso il business ecc. ecc.) invece di andare oltre e preoccuparsi dei problemi veri suscitati dall’applicazione distorta del diritto d’autore.
Gli “autori” della legge avranno senz’altro tirato un sospiro di sollievo.

 

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