Le telecronache delle partite di calcio sono un fattore
trainante dell'industria televisiva. Gli italiani spendono in un anno quasi 1
miliardo di euro per seguire le gesta delle squadre "del cuore".
Questi soldi tengono in piedi le squadre di calcio e costituiscono un introito
rilevante per molti distributori di contenuti. Basti pensare che dei 4,8 milioni
di abbonati Sky, ben 3,8 milioni hanno acquistato il pacchetto calcio o sport;
ma anche per Mediaset premium e Dahlia tv il calcio (oltre all’eros, ma
soltanto per la seconda) rappresenta il punto di forza dell'offerta commerciale.
Nel sistema mediatico le partite sono uno spettacolo del quale le squadre
detengono i "diritti d'autore". Diritti che vengono ceduti ai
fornitori di contenuti a caro prezzo e secondo modalità ben diverse rispetto al
passato.
Fino all’attuale campionato, infatti, ogni singola società
di calcio è stata titolare dei diritti di sfruttamento sugli eventi disputati
dalla propria squadra nello stadio di casa: era pertanto legittimata a
commercializzarli singolarmente, ma ciò determinava evidenti disparità di
introiti tra grandi e piccoli club.
Con l’'entrata in vigore della legge Melandri (DLGV
9/2008) si è invece passati al meccanismo della contitolarità dei diritti
tra Lega calcio e singole società. È la Lega, cioè, e non i singoli club, a
commercializzare i diritti con tutti gli operatori presenti sulle varie
piattaforme, attraverso distinte procedure competitive e attenendosi alle linee
guida stilate da AGCOM e AGCM.
Se da un lato ciò si è reso necessario per rendere il calcio italiano “più
competitivo, più equo e attento ai vivai e ai dilettanti” (sono le parole
dell’allora ministro dello sport Giovanna Melandri), dall’altro la
centralizzazione delle vendite ha costituito un’importante deroga alla
disciplina antitrust e può ritenersi consentita, in via eccezionale, solo se
viene garantito un efficace sistema di controllo e verifica ad opera delle
istituzioni competenti, in primis l’AGCM.
Ora il problema sale agli onori delle cronache in virtù di
un’ordinanza della Corte d'appello di Milano, con la quale è stato inibito
alla Lega calcio di procedere all’assegnazione del pacchetto dei diritti pay
(su piattaforma satellitare) in favore di Sky.
Si tratta solo di un tassello nell’intricata vicenda della vendita dei diritti
televisivi sui campionati di calcio 2010/2012. Che ha però toccato un nervo
scoperto, come dimostrano le reazioni a caldo degli interessati (Cellino –
presidente del Cagliari calcio: “Conto Tv crea danni al sistema”, Galliani
– presidente dell’A.C. Milan: “È un danno collaterale della legge
Melandri”). D’altronde sul tavolo ci sono i 1.149 milioni di euro che SKY si
era impegnata a versare alla Lega come corrispettivo per l’acquisizione dei
diritti pay-tv sulle prossime due stagioni del campionato.
La parola chiave, in questa vicenda, è “pacchetto”.
La questione: la Lega calcio procede alla commercializzazione dei diritti tv
sulla serie A e B attraverso la predisposizione di diverse offerte. È del tutto
naturale: con l’avvento delle nuove tecnologie multi-piattaforma, anziché
cedere tutti i diritti ad un solo interlocutore, è più conveniente
suddividerli (“spacchettarli”) a seconda delle modalità con cui è fruito l’evento
sportivo (free/pay; satellite/digitale terrestre/mobile ecc.). In tal modo si
massimizzano i profitti poiché si cedono i diritti sul medesimo evento a una
pluralità di soggetti (Sky, Mediaset, Dahlia, Rai, H3G ecc.). Ai sensi del DLGV
9/2008 la Lega deve predisporre più pacchetti, equilibrati tra loro, che non
potranno essere tutti acquisiti da un solo operatore. È inoltre vietato
acquisire in esclusiva tutti i pacchetti relativi alle dirette, perché deve
essere assicurata la presenza di più operatori del settore.
È proprio questo il punto. Secondo Conto Tv e la Corte d’appello di Milano,
la predisposizione di questi “pacchetti”, e in particolare del pacchetto “Platinum
Live”, è perfettamente tarata sulle esigenze di Sky. Si costringono in
sostanza gli interessati a presentare un’offerta per un pacchetto
omnicomprensivo (eccessivamente oneroso), di fatto tagliando fuori tutte le
emittenti minori. Con evidenti limitazioni alla concorrenza e danni per i
consumatori, costretti a pagare prezzi più alti.
Già l’Antitrust, in effetti, aveva suggerito di predisporre, all’interno di
ciascuna piattaforma, più pacchetti “nell’ottica di promuovere la massima
partecipazione possibile alle procedure competitive e l’ingresso di nuovi
operatori” (delibera AGCM del 22 luglio 2009). Per questo Conto Tv
vorrebbe ottenere i diritti residuali (meno pregiati) del satellite, obbligando
di fatto SKY a cederle una parte del pacchetto, fino a ieri regolarmente
acquisito.
La Lega calcio, da parte sua, che vede da un giorno all’altro
sfuggire i 570 milioni di euro a stagione garantiti da SKY, non ci sta: ritiene
di aver seguito alla lettera le indicazioni dell’Authority nell’elaborazione
dei bandi di gara; rivendica una sorta di libertà si scelta del partner (SKY,
più affidabile, professionale ed economica); ma soprattutto teme che un
ulteriore frazionamento dei diritti possa ridurne il valore complessivo.
La questione è tutt’altro che chiusa: c’è attesa per la pronuncia dell’AGCOM
(che ha rinviato più volte la sua decisione, ed è stata accusata dal patron di
Conto Tv di scarsa imparzialità poiché uno dei suoi consiglieri, Roberto
Napoli, ha una figlia giornalista che lavora per Sky Tg 24).
Ma a ben vedere il nodo della questione sembra un altro, ottimamente
sintetizzato dal presidente del Palermo Maurizio Zamparini: le soluzioni
predisposte dalla Lega calcio sono effettivamente adattate alle esigenze di Sky,
per il banale motivo che “Sky le dà un pacco di soldi”.
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