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Diritto d'autore

Francia: la legge sul diritto d’autore, una strada da non seguire

di Eugenio Prosperetti* - 22.05.06

 

La nuova legge francese sul diritto d’autore è denominata DADVSI (Droit d’Auteur et Droit Visins dans la Societé de l’Information, diritto d’autore e diritti connessi nella società dell’informazione).
I principali punti trattati da tale legge di riforma, che emenda la legge francese sul diritto d’autore, sono tra i più delicati dei recenti dibattiti sul rapporto tra contenuti digitali e proprietà intellettuale – argomenti discussi, tra l’altro, al recente Forum OCSE di Roma – e riguardano due temi fondamentali:
a) l’interoperabilità, in particolare l’interoperabilità tra sistemi di Digital Rights Management;
b) il rapporto tra sanzioni e diritti, specie per quanto riguarda il peer-to-peer.

In questa breve nota, si discuterà come la “vicina” (normativamente e geograficamente) Francia ha ritenuto di affrontare i due temi appena menzionati e come l’approccio prescelto, se calato nel contesto italiano, potrebbe generare problemi sul piano del mercato e della regolamentazione.
La normativa in questione è stata approvata dalla camera bassa del Parlamento (Assemblea Nazionale) ed è stata successivamente emendata al Senato e ora ritorna all’esame dell’Assemblea Nazionale (è possibile seguire i lavori su http://www.assemblee-nationale.fr/12/dossiers/031206.asp) per quanto riguarda le parti emendate.

Si ricorderanno le polemiche che seguirono l’approvazione da parte dell’Assemblea Nazionale del primo testo, che conteneva una radicale previsione per quanto riguarda l’interoperabilità dei sistemi di Digital Rights Management – quelli, per capirsi, che regolano la possibilità di trasferire e scambiare contenuti multimediali protetti - e per quanto riguarda il sistema di sanzioni previsto per il peer-to-peer, profondamente innovativo.
Il Senato ha ora ritenuto di effettuare alcune modifiche, sulla scorta dei dibattiti che sono sorti, puntando l’attenzione soprattutto sulla parte che riguarda l’interoperabilità. Vediamo nel dettaglio cosa prevede allo stato la normativa in questione.

Scorrendo il testo, rileviamo incidentalmente che una delle prime norme che si incontra riconosce il diritto alla copia privata per un ampia categoria di disabili mentali, sensoriali e cognitivi. Il problema esiste anche in Italia e la soluzione adottata potrebbe forse essere presa a modello.
Venendo direttamente al tema dell’interoperabilità, la normativa francese stabilisce quanto segue:

Una misura di protezione è definita “efficace” dove esista “un controllo da parte del titolare dei diritti, grazie all’applicazione di un codice d’accesso, di un procedimento di protezione quale il criptaggio, la codifica o altra trasformazione dell’oggetto della protezione oppure di un meccanismo di controllo della copia che consegua detto obiettivo di protezione.

Viene esplicitamente affermato che protocolli, formati, codifiche da soli non costituiscono misure tecnologiche di protezione. La vera novità, rispetto alla versione dell’Assemblea Nazionale, è costituita dall’introduzione di una autorità di regolazione delle misure tecnologiche, che vigila sul fatto che l’applicazione di una misura tecnologica non abbia come conseguenza, per il fatto “della loro reciproca incompatibilità o della loro incapacità di interoperare” di introdurre limitazioni aggiuntive nell’utilizzo rispetto a quelle che intendeva introdurre il titolare dei diritti.
Ciò vuol dire che la non interoperabilità sarà consentita solo in quanto non leda i titolari dei diritti e pone in una ideale scala di importanza prima la volontà del titolare dei diritti rispetto all’uso che dell’opera dell’ingegno deve essere fatto e poi la protezione del modello di business adottato per diffondere l’opera dell’ingegno stessa.

Il regime appena descritto rappresenta un temperamento. Il testo precedente alle modifiche era il seguente, ben più drastico:

Le misure tecnologiche non devono esprimersi nell'ostacolare l'interoperabilità. Le misure tecniche non possono rappresentare un ostacolo al libero utilizzo dell'opera o del contenuto protetto (art. 7 comma 4 del progetto di legge Assemblea Nazionale prima lettura)
(...)
Nessuno può vietare la pubblicazione del codice sorgente e della documentazione tecnica della porzione di un software indipendente che interagisce per scopi legali con una misura di protezione tecnologica
(art. 7 ultimo comma progetto di legge Assemblea Nazionale prima lettura)

La conseguenza delle disposizioni appena viste sarebbe stata che grandi multinazionali, operanti anche sul mercato francese, quali Apple, Sony e Microsoft, si sarebbero viste – quale immediata conseguenza - imporre l’obbligo di rendere pubbliche le parti proprietarie dei loro sofisticati sistemi di Digital Rights Management. Attualmente i modelli di business appena citati possono continuare ad esistere, salvi i temperamenti che deciderà, caso per caso, l’autorità di cui si è detto prima.
L’autorità avrebbe anche varie altre competenze. In particolare, chi desidera rendere il proprio sistema di misure tecnologiche “interoperabile” con altro/altri, si può rivolgere a tale organismo per ottenere le specifiche di protocollo ed i sorgenti.

Viene allora attivata una sorta di procedura di mediazione in cui l’autorità cerca di mediare un accordo tra i due soggetti volto ad assicurare l’interoperabilità e le relative condizioni economiche.
In difetto di accordo di conciliazione, l’autorità ha potere di ingiunzione in materia, cercando di evitare un pregiudizio nella propria decisione al titolare dei diritti.
Occorre dire che non tutti possono effettuare una richiesta di interoperabilità: occorre essere editori di software, costruttori di sistemi o service provider: la domanda, insomma, è qualificata.
Rispetto alla prima versione della legge sul diritto d’autore francese si è quindi optato per un approccio molto più strutturato e sicuramente più difficile da liquidare con argomenti basati sulla anticoncorrenzialità.

Si ricordi che la forma che si intende istituire in Francia è solo una delle declinazioni possibili della categoria “DRM interoperabili”. Il problema di tale approccio risiede nella bontà del funzionamento dell’organo controllore deputato a regolarlo. Altre soluzioni sono incentrate sulla tecnologia.
In particolare, un diverso approccio, propugnato anche dal Digital Media Project (www.dmpf.org), è, in generale, quello di istituire un protocollo “terzo” che si occupi di trasportare i contenuti da una piattaforma DRM all’altra. Ciò preserverebbe l’esistenza di modelli di business e relativi formati “proprietari” (e quindi la concorrenza) ma assicurerebbe, appunto, la cosiddetta “interoperabilità”.
Un modello come quello appena descritto sarebbe probabilmente immune da tendenze e orientamenti dell’autorità regolatrice, consentendo al contempo ad ognuno di giocare la propria strategia commerciale.

E’ di tutta evidenza che la battaglia, all’interno di ciascuno “store” di contenuti digitali, sia commerciale: Microsoft ha annunciato di aver approntato il proprio store con condizioni economiche non del tutto sovrapponibili a quelle di Apple, sua principale concorrente. D’altra parte il consumo dei contenuti digitali dipende anche dalla struttura della normativa sulle sanzioni e da quella, in genere, sui diritti.

Come si diceva, la normativa francese cambia molto anche a questo riguardo. La nuova normativa vedrebbe la copia privata come “eccezione” e non come diritto primario, l’autorità dovrebbe regolare il numero di copie private consentito dietro richiesta dei titolari dei diritti (anche qui con un sistema di conciliazione).
Questo sembra il primo passo verso l’abolizione totale della copia privata che dovrebbe essere, ad avviso di molti, il punto di partenza per una disciplina dei contenuti digitali in sintonia con i principi della convergenza delle reti e dei servizi.
Proibire la copia privata non significa infatti abolirla, il fenomeno continuerà ad esistere.

Quello che occorre trovare – lo si ribadisce – è una mediazione per cui il fenomeno rimanga entro accettabili limiti di legalità e non divenga il punto debole della normativa, a giustificazione di atti di pirateria su larga scala.
In questo senso è necessario che in Italia non trovino spazio concezioni per cui l’utente acquisisce una “copia”, non ulteriormente riproducibile e non un “diritto a detenere una copia” dell’opera dell’ingegno.

A tutela del diritto assoluto a controllare la circolazione dell’opera la normativa francese pone un formidabile apparato di sanzioni:
- i fornitori di contenuti hanno il diritto di proteggere le opere dell’ingegno da essi distribuite con misure tecniche di protezione e DRM che, la cui rimozione/inabilitazione, comporta sanzioni che vanno da ammende pari a 30,000 Euro e sei mesi di pena detentiva per i fornitori di sistemi di cracking a multa di 750 euro per chi usa i suddetti sistemi;
- i sistemi DRM (questo è il paradosso!) dovranno consentire l’esercizio del diritto alla copia privata, che può invece essere limitato in assenza di DRM, verso qualsiasi device scelto dal consumatore.

Sembra quindi illegale una forma di protezione come quella in essere sui sistemi PVR (personal video recorder) proprietari protetti da DRM MySky o britannico Sky+ e occorrerà approfondire la legalità dei sistemi di DRM in uso su supporti quali i DVD e i videogiochi per Playstation, Nintendo e altre consolle similari. Il software è escluso espressamente dall’applicazione del regime dell’interoperabilità “ex lege”.
La violazione del diritto d’autore per quanto riguarda gli audiovisivi, se commessa con l’ausilio di sistemi peer-to-peer è sanzionata forfettariamente nella misura di 38 EURO (download) e 150 euro (upload). Occorre tuttavia la flagranza di reato.

Tale approccio è, con tutta probabilità, da imputarsi all’entusiasmo generato dalla proposta di istituire un canone forfettario per prelevare contenuti peer-to-peer, che aveva condotto all’approvazione di un testo di legge in questo senso da parte di uno dei due rami del Parlamento francese.
Tuttavia, chi volesse leggere una completa apertura francese a politiche liberali sul fronte della proprietà intellettuale è presto smentito dal rilevare, tra le molte ipotesi previste, quali siano le sanzioni per chi il peer-to-peer rende possibile: la sanzione arriva a tre anni di prigione e 300.000 EURO di multa per chi fabbrica software peer-to-peer o incita al loro uso attraverso pubblicità (con l’esclusione di software per la collaborazione scientifica).

Si mantiene dunque una distinzione tra il lato “utente” e il lato “business”: il reato di violazione del diritto d’autore è personale mentre, analogamente a quanto stabilito nella Decisione Grokster, gli editori di software “sciemment” (sono i software con i quali è possibile realizzare peer-to-peer e, in generale, violazione del diritto d’autore) sono civilmente e penalmente responsabili degli usi del proprio creato.
La normativa francese manca delle procedure, mututate dalla direttiva E-commerce (notice and takedown, notice and notice and terminate), che avrebbero potuto introdurre maggiore certezza nella gestione in rete dei contenuti digitali.
Pertanto, ammesso che la normativa entri in vigore e si arrivi a un improbabile mercato dominato dai soli fornitori di contenuti, questi ultimi non risolverebbero comunque il problema del peer-to-peer.

In una prospettiva italiana occorre considerare che la legge francese dichiaratamente vuole attuare la direttiva 2001/29/CE e, dunque, non deve essere vista come una normativa “isolata” nel quadro comunitario. Ma una normativa di uno Stato membro avrebbe dovuto tener conto di esperienze analoghe degli Stati confinanti.
Non si è invece tenuto conto della esperienza italiana – certo non positiva – del cosiddetto “decreto Urbani”, che conteneva disposizioni simili per quanto riguarda il peer-to-peer.
Già all’indomani della pubblicazione del decreto Urbani, la gran parte dell’industria e dell’utenza chiedeva modifiche. Particolarmente invise erano le norme che criminalizzavano proprio la diffusione delle conoscenze relative al peer-to-peer e si domandava, al contrario, la regolamentazione attraverso procedure quali il “notice and takedown/notice and notice” sopra citato.

In effetti, se si guarda a come, negli Stati Uniti, la AOL/Universal sta sfruttando la tecnologia peer-to-peer per distribuire contenuti, si vede che è possibile risparmiare sui costi all’utente della distribuzione: l’utente “vende” capacità di redistribuire il contenuto al provider in cambio di un prezzo del contenuto più basso.
Il nuovo Napster, inoltre, in via di start-up, promette miracoli: l’utente potrà “vendere” i propri dischi alle case discografiche. Queste ultime risparmieranno i costi della masterizzazione digitale e del riallestimento del catalogo.
Se le case saranno interessate ad acquisire un brano o una playlist posseduta da un utente pagheranno un prezzo predeterminato, altrimenti no. Brani di cui il titolare dei diritti non vuole distribuzione all’interno del sistema saranno esclusi, attraverso un sistema di “blacklist” dalla negoziazione.

Se si proibisce la “cultura del peer-to-peer”, come si era fatto in Italia e come sembra avverrà in Francia, si proibiscono idee come le due appena esposte, nel segno dell’innovazione e della cultura della legalità.
L’Italia, su questo fronte ha particolare bisogno di trovare legalità e regolamentazione “positiva” e non “proibizionista”.
In questo senso, un campo su cui ragionare è quello della promozione dei beni culturali digitali: esperienze come Google Print, che consente l’accesso a molteplici biblioteche statunitensi, dovrebbero trovare cittadinanza anche in Italia.

Sono tuttavia impedite da fattori regolamentari legati alla gestione dei diritti. Infatti, la necessità per le biblioteche di corrispondere agli editori forme di compensazione per le opere fotocopiate non ha ancora trovato una equivalenza completa dal punto di vista digitale. E’ una questione da approfondire.
E’ anche questa una forma di “Digital Rights’ Management”, di particolare interesse per il nostro ordinamento, vista la ricchezza del patrimonio culturale italiano.
Insomma, il dibattito sul diritto d’autore è aperto. Dai nostri vicini di Oltralpe possiamo prendere qualche spunto, ma è meglio non farsi prendere la mano…
 

 * Portolano Colella Cavallo Studio Legale of counsel - eprosperetti @ portolano.it

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