Pagina pubblicata tra il 1995 e il 2013
Le informazioni potrebbero non essere più valide
Documenti e testi normativi non sono aggiornati

 

 Diritto d'autore

Brevetto software: una direttiva ambigua e inutile
di Guido Scorza - 20.11.03

L'approvazione del testo emendato della proposta di direttiva sulla brevettabilità delle invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici ha rianimato un dibattito antico, iniziato nel lontano 1967 nell'ambito dei lavori preparatori della Legge francese n° 68-1 del 2 gennaio 1968 sui brevetti per invenzioni.
L'approvazione di detto provvedimento di legge, infatti, venne preceduta da un vivace confronto tra fautori dell'opportunità di vietare espressamente la brevettabilità dei programmi per elaboratore e sostenitori della tesi opposta, secondo cui tale decisione avrebbe dovuto essere rimessa, caso per caso, alle autorità chiamate a valutare la brevettabilità di un determinato trovato o, piuttosto, a pronunziarsi sulla validità di un brevetto relativo ad un programma per elaboratore.

All'esito di tale discussione, prevalse il primo dei due richiamati orientamenti e l'art. 7 della legge 68-1 divenne così la prima disposizione al mondo a stabilire che ne constituent pas, en particulier, des inventions industrielles: 1°les principes, découvertes et conceptions theoriques ou purement scientifiques; 2° les creations de caractère exclusivement ornemental; les méthodes financières ou comptables, les règles de jeux et tous autres systèmes de caractère abstrait, et notamment les programmes ou séries d'instructions pour le déroulement des opérations d'une machine calculatrice.

Successivamente, come è noto, analoga previsione è stata inserita all'art. 52.2 della Convenzione di Monaco sul brevetto europeo stabilendo che i programmi per elaboratore "in quanto tali" non avrebbero dovuto essere considerati come invenzioni brevettabili.
Sono trascorsi oltre trent'anni da allora, eppure, a leggere i lavori preparatori che accompagnano l'iter normativo della proposta di direttiva ed il dibattito in corso nelle più diverse sedi ad opera di addetti ai lavori, giuristi ed economisti sembra che poco o nulla sia cambiato e ciò, nonostante, il software, all'epoca cenerentola di un'industria informatica appena agli albori, sia oggi divenuto l'indiscusso protagonista della società dell'informazione e di un settore industriale che costituisce il motore dell'economia di gran parte dei Paesi industrializzati.

A tali profondi cambiamenti nel mercato e nell'industria informatica si sono poi accompagnati altrettanto significativi mutamenti sul piano della brevettabilità del software: dapprima negli Stati Uniti e, quindi, anche in Europa, infatti, ormai da decenni si è fatto strada - almeno a livello di uffici brevetti - il convincimento che anche il software, o meglio le invenzioni contenenti software, possano e debbano essere brevettate qualora ricorrano tutti i presupposti di brevettabilità richiesti dalla normativa vigente.

In tali condizioni continuare ad interrogarsi - proprio come si faceva nei primi anni '70 - sulla brevettabilità dei programmi per elaboratore, costituisce un esercizio sterile, poco produttivo e, anzi, deleterio per la stabilità e l'equilibrio di un mercato e di un'industria che in ragione del proprio dinamismo hanno, per contro, bisogno di regole certe e precise.
D'altro canto che il software disponga delle caratteristiche ontologiche proprie di ogni altra invenzione industriale è circostanza pacifica ed indiscutibile, confermata - qualora ve ne fosse bisogno - proprio dalla circostanza che, in passato, si sia avvertita l'esigenza di escludere detto trovato dalla brevettabilità, esigenza che non è stata avvertita per altri prodotti dell'ingegno umano palesemente estranei al mondo brevettuale: basti pensare alle opere letterarie, a quelle musicali o a quelle cinematografiche.

Egualmente pacifico - almeno nell'orientamento dell'Ufficio europeo dei brevetti e del Patent Office statunitense - è che, qualora ricorrano i presupposti previsti nella vigente normativa in tema di invenzioni industriali - i trovati contenenti software possano e debbano formare oggetto di brevetto per invenzione industriale.

In tale contesto, a ben vedere, il dibattito ormai da tempo in corso dovrebbe semmai essere spostato sull'opportunità o meno che - in ragione delle innegabili peculiarità dei programmi per elaboratore nell'universo delle invenzioni industriali - in relazione al software vengano adottati, ex lege, parametri e criteri di accesso alla privativa industriale diversi da quelli utilizzati in altri domini della tecnica o, piuttosto, meccanismi e procedure di funzionamento del sistema brevettuale più rispondenti alle specifiche esigenze del mercato, dell'industria e degli operatori del settore.

Il problema, infatti, non è se il software possa o meno essere brevettato perché la risposta a questa domanda è, evidentemente, positiva non essendo neppure ipotizzabile che un'industria dinamica ed innovativa quale quella informatica sia privata di uno strumento, quale quello brevettuale, che negli ultimi 600 anni ha garantito il progresso scientifico e tecnologico dell'industria mondiale, ma, piuttosto, come a ciò si debba procedere.
In questa prospettiva l'impostazione ed il contenuto della proposta di direttiva non appaiono condivisibili ed, anzi, risultano ambigui ed inutili.

Ciò, tuttavia, non per le ragioni che, ormai da anni commentatori ed addetti ai lavori, si affannano a sostenere nel tentativo di fermare la corsa delle istituzioni comunitarie - e, forse, di una parte dell'industria informatica - verso la definitiva approvazione della direttiva ma, piuttosto, perché tale provvedimento non affronta - ed evidentemente non risolve - i reali termini del problema rischiando, anzi, di crearne di nuovi su di un piano interpretativo ed attuativo così come accade ogni qualvolta il legislatore "edifica" costruzioni normative inutili e non richieste.
Più in particolare, l'ambiguità della proposta di direttiva deriva dalla circostanza che le istituzioni comunitarie continuano a manifestare una sorta di timore riverenziale nel sancire in modo chiaro ed univoco che i programmi per elaboratore appartengono all'universo delle invenzioni industriali ed al ricorrere di determinati presupposti devono essere brevettati.

L'inutilità, invece, discende dall'incapacità - ma forse sarebbe più corretto parlare di mancanza di volontà - di enucleare in modo altrettanto chiaro, se e quali ulteriori e specifici presupposti - rispetto a quelli richiesti per il brevetto di ogni altro trovato - debbono ricorrere perché possa procedersi al riconoscimento di una privativa industriale in relazione ad una invenzione attuata attraverso un programma per elaboratore.
A ben vedere, infatti, l'articolato della Proposta di Direttiva e l'insieme dei considerando, che lo precedono non aggiungono nulla a limiti e criteri individuati sin dall'ottobre del 2001 (ed in realtà in gran parte sin dalla seconda metà degli anni '80) dall'Ufficio europeo brevetti nell'ambito delle direttive sull'esame delle domande di brevetto contenenti invenzioni di software.

In tali direttive, infatti, ormai da tempo, l'Ufficio brevetti, ricorda che, un'invenzione, per poter essere brevettata deve essere nuova, suscettibile di applicazione industriale, implicante un'attività inventiva e disporre di carattere tecnico ovvero rapportarsi ad un dominio della tecnica, risolvere un problema tecnico o, piuttosto, possedere caratteristiche tecniche.
Secondo le medesime direttive, inoltre, la domanda di brevetto deve essere formulata in modo tale da consentire - conformemente al disposto dell'art. 83 della Convenzione di Monaco - ad un uomo di media esperienza nel settore, di attuare, sulla base delle sole informazioni ricavabili dalla predetta domanda - il trovato di cui si chiede il brevetto.

Sebbene, la circostanza, possa ritenersi pacifica, il documento richiama, inoltre, l'attenzione degli esaminatori sulla necessità di prendere in considerazione il trovato nel suo complesso senza compiere valutazioni circa la brevettabilità dei singoli elementi che lo compongono.
Con più specifico riferimento alle domande di brevetto concernenti trovati contenenti software, le stesse direttive chiariscono che la procedura da seguire allorquando si tratta di valutare la brevettabilità (di un trovato contenente software) è - in line a di principio - la stessa da adottare per ogni altra categoria brevettuale. Nonostante i 'programmi per elaboratore' figurino tra gli elementi esclusi dalla brevettabilità che sono individuati all'art. 52(2), se il trovato rivendicato presenta un carattere tecnico, questo non potrà essere considerato escluso dalla brevettabilità a norma dell'art. 52(2) e (3).

Al riguardo, peraltro, nelle direttive si precisa che ai fini del riconoscimento del brevetto, detto carattere tecnico deve essere rintracciato in aspetti diversi ed ulteriori rispetto alla semplice interazione tra il software ed il computer sul quale esso viene fatto girare.
A ben vedere ed a scorrere con attenzione l'intero testo di tale documento risulta chiaro quanto poco la proposta di direttiva aggiunga "allo stato dell'arte" e quanto, pertanto, essa appaia inutile.

Se non si vuole sprecare un'eccezionale occasione per tentare di "mettere ordine" nella disciplina del brevetto software, occorre concentrare gli sforzi nello spostare l'attenzione dall'alternativa tra brevettabilità e non brevettabilità dei programmi per elaboratore all'individuazione di chiari e stringenti modalità e criteri di accesso al regime brevettuale per le invenzioni contenti software.

In questa prospettiva occorrerebbe, tra l'altro, prestare particolare attenzione: a) alla circostanza che il riconoscimento del brevetto sia effettivamente subordinato alla messa a disposizione della collettività di informazioni ed elementi sufficienti ad attuare l'invenzione brevettata, b) all'organizzazione ed alla gestione di un database che consenta l'effettuazione di ricerche di anteriorità in tempi brevi ed in modo puntuale ed efficace, c) ai costi della procedura brevettuale, da più parti additati come una delle principali ragioni per le quali il brevetto software rischierebbe di consegnare il destino della relativa industria nelle mani della sole grandi imprese.

L'interesse al progresso tecnologico costituisce un fattore trasversale che dovrebbe valere a superare ogni diversità di vedute e consentire, dunque, ai diversi schieramenti che, sino ad oggi, si sono contrapposti sull'argomento di dar vita ad un confronto aperto e costruttivo nel nome di tale comune interesse che, peraltro, dipende largamente dal destino dell'industria del software e da quanto essa verrà posta nella condizione di continuare a crescere e rinnovarsi.