Quando si coniugano diritto e tecnologia
di Andrea Monti -
08.10.98
Prendete una
tecnologia, lasciate - nellindifferenza di tutto e
tutti - che si diffonda dappertutto fino a diventare uno
standard di fatto. Ad un certo punto inserite un
legislatore "distratto" che intende creare
delle regole ad hoc per questo "moderno e
sofisticatissimo" ritrovato e, poco dopo, una serie
di imprese che cominciano a pensare ad applicazioni
commerciali e quindi a propagandare allarmismo e
disinformazione. Aggiungete una nutrita schiera di
tuttologi e avrete lo schema di ciò che quasi sempre
accade quando si coniugano diritto e tecnologia. Anche le
vicende che caratterizzano la vita della firma digitale -
seppur con significative variazioni - sono lesatta
riproduzione di un pattern applicato al software,
alla Rete e Dio sa a cosaltro.
Accennavo
prima ad alcune significative variazioni sul tema: bene,
la più rilevante è quella che - a mio modo di vedere -
questa volta si sta cercando di vederci chiaro prima di
compiere anche solo un piccolo passo: è accaduto in sede
di emanazione del DPR 513/97, sta accadendo ora con
larticolato tecnico espressamente richiamato dal
regolamento sulla firma digitale. Il gruppo di lavoro che
se ne sta occupando ha compiuto - per la seconda volta -
un gesto di grande coscienza rendendo pubblica la bozza
ed invitando gli interessati ad esprimere valutazioni e
suggerimenti; non cè dubbio che parlare dopo
la predisposizione del testo definitivo non avendo
sfruttato la possibilità di farlo prima, qualche dubbio
pure lo fa sorgere...
Ciò detto, e
ribadito lapprezzamento per il metodo seguito e il
rigore dimostrato, non posso nascondere più di una
perplessità sulla bozza in questione.
La prima - e
di ordine generale - riguarda la presenza di elementi
(direttamente o indirettamente) normativi in un testo che
dovrebbe avere un esclusivo contenuto tecnico, e quindi
escludere qualsiasi valutazione di matrice normativa.
Rinvio ad altra sede considerazioni maggiormente
analitiche - conscio peraltro che stiamo parlando di una
bozza e come tale soggetta a revisioni anche profonde -
per affrontare questioni di respiro più ampio.
Ci sono
alcune questioni sulle quali è di capitale importanza
fare delle scelte chiare.
Una di queste
riguarda il mutuo riconoscimento delle certificazioni
rilasciate dallapposito ente (pubblico o privato):
sarebbe poco ragionevole trasformare i cittadini in
novelli emuli di San Pietro, dotandoli di un portachiavi
elettronico (poco importa se fosse una smart-card)
da utilizzare a seconda delle necessità o dei desiderata
di questa o quella branca della Pubblica Amministrazione.
In altri termini dovrebbe essere sancito il principio
dellobbligatorietà del mutuo riconoscimento del
chiavi (senza differenziazioni di costi fra la chiave
certificata da un soggetto e quella certificata da più
entità).
Un altro
punto da non trascurare è quello relativo
allinserimento - già a livello di testo normativo
- di criteri valutativi allinsegna della
"ragionevole sicurezza" o "di
"impossibilità probabilistica". Sicuramente il
mondo delle regole, ferreamente dominato da una logica
aristotelica mal si concilia con questo tipo di concetti,
ma proprio per questo sarebbe opportuno lasciarli al
prudente apprezzamento del giudice piuttosto che alla
fissità delle parole.
Certo,
nessuno si nasconde i problemi derivanti
dallapplicazione concreta di questo modello, ma
lesperienza insegna che ogni legge viene
sistematicamente applicata in misura estremamente ridotta
(o disapplicata per anni, vedi la vicenda
dellautocertificazione), quindi nel concepirla è
opportuno mirare agli obiettivi finali e non a tappe
intermedie, perché altrimenti passando dal testo della
Gazzetta Ufficiale allattuazione concreta si
rischia di avere risultati ancora inferiori alle
aspettative.
Il problema
serio è che - come già mi è capitato di scrivere in
altre occasioni - leccessiva complessità (vorrei
dire farraginosità) del meccanismo ipotizzato potrebbe
orientare la stragrande maggioranza degli operatori
privati verso forme alternative di sistemi di
certificazione. Se infatti il documento firmato nei modi
previsti dal DPR 513/97 è equiparato ex lege
allequivalente cartaceo, questo non significa che
gli altri - firmati ad esempio con un normale PGP - siano
privi di valore giuridico. In caso di contenzioso
sarebbe, si, necessario dimostrare tutta una serie di
cose (ad esempio, lunivocità fra chiave pubblica e
sedicente titolare) che lutilizzo del sistema
previsto dal DPR 513/97 consente di non discutere
nemmeno, ma ciò a tutto vantaggio delleconomicità
e della rapidità di gestione delle transazioni.
In altri
termini, ciò significa che se un merchant -
poniamo un internet provider - avendo identificato
personalmente i propri clienti, si facesse garante delle
loro firme PGP e attribuisse per contratto valore ai
messaggi firmati con quelle chiavi, potrebbe organizzare
un sistema commerciale efficace anche sotto il profilo
giuridico.
Quando poi
verranno finalmente resi noti dei dati ufficiali
sullincidenza delle transazioni internet based
sulle frodi con carta di credito delle quali, come
lAraba Fenice, si parla senza averle mai viste,
forse verrà esorcizzato anche lennesimo luogo
comune che molto gioco fa ad interessi
"chiaramente" super partes.
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