Incertezza dell’identità dei titolari delle mailbox, sicurezza della custodia
dei messaggi, mancanza del meccanismo della compiuta giacenza, rischi per il
contenzioso e per l’efficienza degli uffici pubblici. Questi sono alcuni dei
principali problemi nell’uso della PEC e che è bene considerare essendo
oramai obbligatorio per i professionisti possedere (ma non utilizzare) questo
strumento.
In primo luogo, va ricordato che la PEC serve solo per attestare data di invio e
ricezione di un messaggio. Per attribuire valore al suo contenuto è necessario
usare la firma elettronica. In altri termini, la PEC “valida” la busta, la
firma digitale il foglio contenuto all’interno (attenzione, è vero che la la
ricevuta torna al mittente con la firma digitale del gestore, ma se manca quella
del mittente, il documento non è attribuibile giuridicamente a quest’ultimo).
In secondo luogo, si deve tenere conto che i messaggi PEC viaggiano in rete con
protocolli sicuri, ma sono memorizzati sui server dei gestori senza alcuna
protezione crittografica. Spetta all’utente che vuole proteggere la
riservatezza della propria corrispondenza dotarsi di un software di cifratura
(invitando i suoi corrispondenti a fare lo stesso).
E' evidente che si tratta di una deficienza progettuale del sistema PEC, e
spero che a nessuno venga in mente di giustificare la cosa scaricando sugli
utenti l'obbligo di adottare ulteriori misure di sicurezza, o addirittura di
scegliere cosa inviare via PEC (messaggi meno rilevanti) e cosa via posta
cartacea. Come anche mi auguro che si eviti di dire che il livello di sicurezza
è garantita dal fatto che i gestori PEC sono obbligati al rispetto delle misure
minime in materia di dati personali. Un antivirus aggiornato una volta l'anno,
un firewall e un backup sono, francamente, un po' pochino.
Per concludere sul punto, mi auguro infine che a nessuno venga in mente di
rispolverare il vecchio argomento "ma alla fin fine, a chi volete che
interessi la PEC della zia Maria?" Magari a nessuno (quella della zia Maria),
però andando per phishing nei grandi numeri (tanti utenti, tantissimi
messaggi) qualcosa si porte sempre a casa. Una casella PEC, inoltre, non è
necessariamente assegnata a un soggetto pienamente identificato.
A differenza di quanto stabilito per la firma digitale, non esiste un vincolo
operativo per identificare il richiedente di una mailbox PEC, e infatti sul
mercato ci sono diversi metodi per la stipulazione del contratto per ottenerne
una. Alcuni gestori chiedono la sottoscrizione di un documento cartaceo, in
altri casi la transazione avviene in modo completamente dematerializzato,
affidando l’identificazione del contraente alla comunicazione di una mailbox
non PEC, allo strumento di pagamento (carta di credito) e all’invio tramite
fax del documento di identità. Procedura, quest’ultima, che in astratto non
sembra apparire sufficientemente rigorosa per scongiurare furti di identità
(una carta di credito può essere prepagata, l’indirizzo di posta - specie se
estero - potrebbe essere stato ottenuto senza troppe verifiche sull’identità
dell’utente, e un documento di identità da spedire via fax può essere
alterato abbastanza agevolmente).
E’ un’ipotesi ovviamente patologica, ma che attiene in ogni caso al
novero della possibilità e che si potrebbe scongiurare semplicemente usando la
firma digitale. Un messaggio PEC si considera ricevuto quando arriva nella
casella di posta del gestore del servizio, non quando viene materialmente letto
dal destinatario. In pratica non si prevede un sistema analogo alla “compiuta
giacenza” della posta cartacea.
Sull’impiego delle ricevute di consegna di un messaggio PEC in ambito
contenzioso, va detto che le regole ordinarie del processo civile conferiscono
una fede particolare alla busta in questione e dunque chi dichiara di non avere
ricevuto un messaggio PEC quando l’altra parte (mittente) esibisce la ricevuta
di consegna, non può limitarsi a “fare catenaccio” negando la circostanza.
D’altra parte, sarebbe possibile - anche se processualmente non necessario
- eseguire una verifica presso il gestore del servizio che è tenuto a
conservare la ricevuta in questione. Sempre in ambito patologico, un problema
potrebbe porsi se il gestore PEC avesse cancellato (per esempio per decorso del
tempo) le proprie copie delle ricevute. In questo caso potrebbe essere
sicuramente più complesso, in caso di contestazione, dimostrare l’effettivo
invio del messaggio.
D'altra parte, nè la firma digitale né la PEC hanno risolto il problema della
validità nel tempo. Oggi è sempre possibile eseguire verifiche di originalità
su un documento vecchio anche di millenni. Mentre l'aspettativa di vita dei
certificati digitali (anche di quelli usati per validare la PEC) è molto, molto
più breve.
Concludiamo con un rapido cenno sull’impatto della PEC sull’operato della
pubblica amministrazione. La PEC offre la possibilità concreta di inviare
pressoché contemporaneamente un numero molto rilevante di richieste che
implicano l’apertura di altrettanti procedimenti amministrativi. Questi
saranno ovviamente tutti assoggettati allo stesso termine di legge per la loro
conclusione e in assenza di una efficiente organizzazione di “backoffice” il
rischio sarebbe la paralisi operativa dell'ente (come avverrebbe in assenza dell’integrazione
fra il sistema PEC e quello del protocollo informatico).
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