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 Firma digitale

Non volevo difendere il legislatore
di Massimilano Pappalardo* - 10.07.03

Caro Direttore,
con riferimento al suo articolo dal titolo Non possiamo fare a meno della firma digitale pubblicato il 3 luglio scorso, mi pare opportuna una breve replica.
Preliminarmente e senza alcun intento polemico, vorrei chiarire un equivoco: la mia lettera, da lei associata al titolo Il recepimento della direttiva: in difesa del legislatore, non voleva essere nel modo più assoluto una difesa della vigente normativa in materia di firma elettronica, che mi pare evidente necessiti di mirate rettifiche, quanto piuttosto un insieme di considerazioni in ordine ai rilievi critici da lei espressi in merito ad alcuni aspetti specifici della riforma con l'articolo Sparita l'equivalenza tra firma autografa e digitale.

Quand'anche, poi, di una difesa si fosse trattato, il fatto che la sentenza di condanna venga pronunciata da chi poco prima aveva sostenuto l'accusa mi pare una circostanza bizzarra.
Per tornare al tema della questione, continuo a nutrire più di una perplessità in relazione alla sua affermazione che per rendere la normativa italiana coerente con la direttiva comunitaria - in materia di efficacia probatoria - "sarebbe bastato abrogare la frase 'e ha efficacia probatoria ai sensi dell'articolo 2712 del codice civile' nella versione previgente del primo comma dell'art. 10".
Considerato che tale disposizione si riferiva, in via esclusiva, alla "firma digitale", non mi è chiaro sulla base di quali elementi - in mancanza di una normativa più articolata al riguardo - il giudice avrebbe potuto determinare il valore da riconoscere ad un documento sottoscritto con un qualsiasi altro tipo di firma elettronica contemplato dalla direttiva: semplice, avanzata o qualificata che fosse.

Un intervento nei termini da lei auspicati non avrebbe fatto altro che trasferire tutti i problemi dal legislatore al giudice, attribuendo a quest'ultimo poteri discrezionali del tutto esorbitanti.
La questione mi sembra molto più complessa.
La distanza siderale esistente tra le disposizioni contenute nel DPR 513/97 e i principi espressi dalla direttiva 1999/93/CE; il fatto che mai come in questo caso il dato normativo ha di gran lunga anticipato la prassi; il fatto che l'oggetto della disciplina è una materia inevitabilmente condizionata dall'incessante sviluppo delle tecnologie informatiche; tutti questi fattori, unitamente alla mancanza di adeguate competenze tecniche, hanno contribuito a condurci al quadro normativo attuale.

Un quadro normativo che indiscutibilmente presenta delle incongruenze, come ha lucidamente evidenziato Guido Scorza con il suo intervento Il rischio di travolgere certezze giuridiche e informatiche.
L'individuazione degli interventi necessari a restituire all'impianto equilibrio e solidità mi sembra, però, operazione tutt'altro che agevole.
Il rischio è quello della coperta troppo corta che, se tirata da una parte, disattende gli indirizzi comunitari; se tirata dall'altra, crea pericolose situazioni di incertezza.

Solo una breve replica sul punto che riguarda l'efficacia probatoria: il testo originario del DPR 513/97, al di là di alcune interpretazioni aberranti, attribuiva efficacia probatoria ai sensi dell'art. 2712 c.c. solo al documento sottoscritto con la firma digitale. Abolendo questa discutibile disposizione, qualsiasi documento informatico sarebbe rientrato nel novero delle "riproduzioni meccaniche", il cui valore come prova è rimesso al libero convincimento del giudice. Che, come è noto, costituisce una regola del processo civile e non configura "poteri discrezionali del tutto esorbitanti". (M. C.)