Introduzione
La diffusione delle tecnologie e il conseguente sviluppo della società dell’informazione
sono processi inarrestabili. Aumenta il numero delle attività che si svolgono a
distanza e sono ormai assolutamente normali i rapporti tra persone ed enti che
non si sono mai incontrati fisicamente. La digitalizzazione delle informazioni
è al tempo stesso motore e conseguenza logica della trasformazione.
In tutto questo emerge sempre più pressante la necessità del riconoscimento
sicuro dei soggetti interconnessi, dell’autenticità dei contenuti e, non
ultimo, del valore legale dei documenti digitali, ai quali non è possibile
apporre firme, timbri e altri strumenti tradizionali di validazione.
Per ognuna di queste esigenze esistono soluzioni tecnologiche sempre più
affidabili. Il problema è come trasformare le certezze tecniche in certezze
legali. L’ordinamento giuridico è un complesso sistema di regole stratificate
nei secoli, che hanno come presupposto la fisicità delle scritture e degli
altri mezzi di prova. Nel momento in cui tutto si smaterializza attraverso la
digitalizzazione e non esistono più gli oggetti fisici sui quali il diritto ha
costruito le sue regole, è necessario costruire regole nuove.
Il nostro Paese è stato il primo nel mondo ad affrontare questo problema con
una visione sistematica proiettata al futuro. Invece di adottare disposizioni
limitate a determinati ambienti e a determinate transazioni, come è stato fatto
altrove, ha cercato di costruire un ponte di collegamento tra la tecnologia e il
diritto, stabilendo i requisiti che un documento informatico deve presentare per
avere piena rilevanza e validità legale, alla pari con il documento
tradizionale.
Il valore innovativo di questa visione appare tanto più rilevante se si
riflette sul periodo in cui nacque l’intuizione della possibilità di usare la
firma digitale come strumento di validazione legale dei documenti: correva l’anno
1996, l’internet in Italia era ancora una "cosa" per pochi eletti e
non esisteva una concezione diffusa della società dell’informazione come
modello di sviluppo destinato a trasformare radicalmente anche i rapporti
giuridici.
Il primo passo di questa evoluzione risale al 18 settembre 1996, quando fu
pubblicato sul sito internet dell'Autorità per l'informatica nella pubblica
amministrazione un documento piuttosto singolare, che qualcuno considerò subito
come il manifesto di una rivoluzione. Si intitolava "Atti e documenti in
forma elettronica - Schema di disegno di legge". Era la prima bozza di una
normativa volta ad attribuire ai documenti informatici, provvisti di un
"sigillo elettronico", la stessa rilevanza e validità giuridica dei
documenti tradizionali. Non era una novità assoluta, perché del principio si
discuteva da tempo a livello internazionale e negli Stati Uniti erano già stati
emanati alcuni provvedimenti che attribuivano effetti legali alle firme
elettroniche, allora conosciute solo dagli informatici. Ma l’originalità
della proposta italiana era nella previsione di un quadro organico e sistematico
della materia, senza limitare l’uso del documento informatico a particolari
situazioni o ambiti.
Con la proposta dell'AIPA si chiudevano alcuni anni di inconcludenti
dibattiti sull'efficacia legale delle scritture elettroniche. La novità
consisteva nell'accoglimento nel dominio del diritto di un sistema di certezza
tecnica reso possibile dal progresso tecnologico.
Un altro aspetto rivoluzionario dell'iniziativa era proprio nella pubblicazione
sull’internet di una bozza di disegno di legge, con l'esplicito invito a
formulare osservazioni e critiche sui contenuti del testo. La comunità
telematica italiana, a quel tempo ancora poco numerosa, rispose con entusiasmo
offrendo diversi contributi di rilievo.
I principi ispiratori della bozza furono accolti in un semplice comma della
prima legge di semplificazione amministrativa, la n. 59 del 1997, che rimandava
a specifici regolamenti per la determinazione degli aspetti tecnico-legali.
L’AIPA tenne conto dei contributi ricevuti nella stesura delle successive
versioni della bozza, che poi diventarono il d.p.r. 10 novembre 1997, n. 513
"Regolamento contenente i criteri e le modalità di applicazione
dell'articolo 15, comma 2, della legge 15 marzo 1997, n. 59 in materia di
formazione, archiviazione e trasmissione di documenti con strumenti informatici
e telematici".
In poco più di un anno aveva preso forma un progetto che metteva il nostro
Paese al primo posto nel mondo per l'evoluzione dell'ordinamento giuridico in
relazione allo sviluppo delle tecnologie dell'informazione. La formulazione
della norma che definisce i documenti informatici come "validi e rilevanti
a tutti gli effetti di legge" è ancora oggi un punto fermo, l’inizio di
un'evoluzione normativa e organizzativa che dovrebbe, nel giro di alcuni anni,
portare a un sostanziale cambiamento dei rapporti tra cittadini e Stato. Con lo
Stato al servizio del cittadino, e non il contrario.
Il percorso è iniziato con una ormai nutrita serie di provvedimenti, fra i
quali si devono ricordare le norme sul protocollo informatico, l'archiviazione
dei documenti su supporti ottici e la carta d'identità elettronica, senza
dimenticare il grande progetto delle "norme in rete", che dovrebbe
mettere a disposizione dei cittadini, attraverso lo strumento telematico,
l'insieme dei testi normativi vigenti. Sono in attesa di un'attuazione che non
sembra facile né rapida anche le prime disposizioni sulla documentazione
informatica nel processo civile e amministrativo, emanate con il d.p.r. 13
febbraio 2001, n. 123. Il tutto nel quadro sistematico della Rete unitaria della
pubblica amministrazione, che collegherà uffici e cittadini applicando il
modello universale dell'internet.
Per la concreta realizzazione di questi modelli innovativi, che l'Italia ha
iniziato a "esportare" anche in altri Paesi, occorre però anche
un'evoluzione di tipo culturale, che non appare né rapida né facile. E' vero
che il problema della cosiddetta "alfabetizzazione telematica" (vista
fino a poco tempo fa come un ostacolo difficile da sormontare) si sta risolvendo
da solo, grazie alla spinta del mercato verso la diffusione dell'uso del
personal computer e dell'internet. Le statistiche più aggiornate indicano che
il ritardo italiano nella diffusione di questi strumenti, in confronto agli
altri Paesi industrializzati, sia sta riducendo rapidamente, ma resta il fatto
che possedere un PC e un modem non significa disporre automaticamente di una
"cultura" dell'uso delle tecnologie. Cultura che consiste soprattutto
nella consapevolezza che i nuovi strumenti non servono tanto a fare meglio o
più rapidamente le cose che prima si facevano "a mano", ma che è
necessario ripensare i metodi della produzione e della comunicazione in modo
diverso, sfruttando le nuove opportunità offerte dalla tecnologia.
In ultima analisi si verifica un problema di difficile soluzione: con il
documento informatico disponiamo di uno strumento formidabile per migliorare i
rapporti civili, il commercio e la pubblica amministrazione, ma non riusciamo a
impadronirci dei principi tecnico-giuridici sui quali è fondato, né quali
siano tutte le sue effettive possibilità di impiego, né quali possano essere i
suoi effetti nell'ambito della pubblica amministrazione e nei rapporti tra i
privati.
Si introduce qui un altro aspetto problematico. Nella formulazione originaria
la normativa italiana era destinata, senza distinzioni, al settore pubblico e a
quello privato e si integrava (per quanto possibile) con l'ordinamento
amministrativo e civilistico costruito dall'unità d'Italia ai nostri giorni. E'
venuta poi la direttiva 1999/93/CE, relativa a un quadro comunitario per le
firme elettroniche, che ha gettato un certo scompiglio in un sistema ancora non
stabilizzato e soggetto a non pochi miglioramenti. La direttiva ha obiettivi del
tutto diversi da quelli delle norme italiane del '97. Queste hanno come fine
sostanziale e dichiarato l'attribuzione di specifici effetti giuridici ai
documenti informatici, mentre il testo europeo è stato scritto in un'ottica di
mercato, per assicurare il commercio dei prodotti dell'industria informatica, e
considera gli effetti giuridici delle firme elettroniche come un effetto
secondario e solo in funzione della libera circolazione dei prodotti dell’industria.
Inoltre è stato varato troppo in fretta, accogliendo solo nell'ultima fase
della discussione, e senza un raccordo organico con le disposizioni sulle firme
elettroniche generiche (sostanzialmente insicure), i principi della firma
digitale "sicura" anticipati dall'Italia. In più presenta ambiguità
terminologiche e persino errori tecnici. Invece che costruire un quadro di
certezze, la direttiva ha introdotto non poche incertezze, a partire dalla
questione apparentemente elementare di quante categorie di firme siano state
previste dal legislatore comunitario.
Nel recepimento delle disposizioni europee, operato con il d.lg. 23 gennaio
2002, n. 10, il legislatore italiano ha complicato ulteriormente la situazione.
Non solo non ha fatto chiarezza dove la direttiva è oscura, ma è andato oltre
la delega legislativa, che era limitata all'accoglimento delle disposizioni
comunitarie, "evitando disarmonie" con l'ordinamento vigente. Infatti
ha messo in discussione i principi della firma digitale stabiliti nel '97,
determinando persino un rischio di stravolgimento del diritto processuale, con
una disciplina del valore probatorio dei documenti informatici incoerente sia
con la stessa direttiva, sia con il nostro codice civile.
La delega legislativa del 1997 era chiara e lungimirante, ma incompleta, e la
sua attuazione con il d.lg. 513 e con le "regole tecniche" del 1999
aveva lasciato irrisolti alcuni aspetti importanti. Ma ora le incongruenze sono
tante e così gravi che si impone una revisione dell'intero sistema, per la
quale non bastano le disposizioni regolamentari: occorre ripartire dalla delega
legislativa.
E’ necessario anche avviare un serio programma di formazione, in particolare
nella pubblica amministrazione e tra gli operatori del diritto. Per molti di
loro le disposizioni della normativa sul documento informatico sono
incomprensibili, come dimostrano numerosi interventi sulla materia. In fatto è
che alla base delle procedure della firma digitale ci sono complicati principi
matematici, e ai più poco importa che essi siano del tutto invisibili nella
pratica. Anzi, quel tanto di "esoterico" che spesso per l’umanista
è insito nella matematica, diventa un motivo in più per tenersi alla larga
dalle nuove diavolerie tecnologiche.
Figuriamoci quale ilarità e quale senso di sconcerto susciterebbe uno
scritto in materia di firma digitale nelle cui prime battute si leggesse:
"La sicurezza della firma digitale trova fondamento nell’irrisolto
problema del logaritmo discreto applicato ai numeri adamici…." Una
verità scientificamente ineccepibile, ma certamente non alla portata di tutti.
Per il giurista, come per l’amministrativo o il dirigente pubblico o privato,
che non abbiano una discreta preparazione tecnologica, l’approccio ai problemi
del documento informatico non è facile. Una difficoltà consiste nella mancanza
di aspetti dell’esperienza quotidiana ai quali possano essere paragonate le
procedure connesse alla firma digitale. Di solito, per spiegare le realtà
tecnologiche, si ricorre a paragoni che sono alla portata di tutti. Per esempio,
si dice che la schermata iniziale di un personal computer è la metafora di una
scrivania e si fa vedere come i documenti si "appoggiano" sulla
scrivania stessa o si mettono e si tolgono dalle "cartelle". Invece le
procedure della firma digitale nascono direttamente dalle moderne tecnologie
applicate alla crittografia, scienza antica quanto segreta, la cui conoscenza è
patrimonio di pochi specialisti. Ed è oggettivamente difficile trarre
dall'esperienza comune esempi che si adattino a questa particolare materia.
Per i giuristi c'è un'altra difficoltà, non facile da superare: il
documento informatico è un quid novi, molto diverso dal documento
tradizionale, perché la sua esistenza e la sua rilevanza prescindono dalla
presenza di un supporto fisico. Non sempre gli studi e le teorie sul documento,
tradizionalmente inteso, possono soccorrerci per capire le novità, e spesso
esse stesse possono rivelarsi fonte di equivoci.
Con l'introduzione della firma digitale nell'ordinamento si è verificata in
pieno l'affermazione di un giurista del secolo scorso: "Tre appropriate
parole del legislatore e intere biblioteche diventano carta straccia".
Infatti tutto il sapere giuridico in materia di copie, duplicati,
certificazioni, autenticazioni e quant'altro deve essere rivisto alla luce di
una novità essenziale: la carta non c'è più, il documento è soltanto
contenuto, informazione. Esso vive e produce i suoi effetti passando
indifferente da un supporto a un altro, portando con sé la propria
autenticità. Per fare un solo esempio: scompaiono le nozioni di
"copia" e "copia autenticata", sostituite dal
"duplicato", che è di per sé "autocertificante".
I vantaggi determinati dall'adozione del documento informatico saranno enormi,
in termini di efficienza e anche di economia: uno studio svolto nel 1994
dall'Autorità per l'informatica nella pubblica amministrazione indicava tra i
dieci e i quindicimila miliardi di lire il costo dell'archiviazione cartacea,
con un impegno di cinquantamila ore/uomo/anno.
Va però detto che fase iniziale dell’introduzione della firma digitale si
stanno verificando gravi difficoltà. In parte esse vanno addebitate anche al
comportamento dei certificatori, che si sono iscritti in un numero
imprevedibilmente alto nel registro dell’AIPA. Ma alcuni non hanno ancora
iniziato l’attività, altri la svolgono in sordina o dedicandosi a settori di
mercato particolari. Nessuno, nemmeno l’associazione che hanno costituito, ha
svolto un’azione di informazione e promozione presso il pubblico.
Inoltre sono state scoperte gravi lacune in alcuni programmi per la generazione
e la verifica delle firme, anche distribuiti dagli stessi certificatori, errori
che rendono assolutamente insicuro un sistema che dovrebbe garantire la massima
sicurezza. E questo non contribuisce a generare nei potenziali utilizzatori la
fiducia indispensabile a determinare l’adozione dei documenti informatici al
posto di quelli tradizionali.
Un altro aspetto negativo della fase iniziale è nella difficoltà di
convertire l'intera pubblica amministrazione, l'intero comparto della giustizia
(compresi gli studi legali), in ultima analisi l'intero sistema-paese, al
documento informatico. Cioè all'uso quasi esclusivo del computer e dei sistemi
telematici per la formazione e la trasmissione dei documenti. Documento cartaceo
e documento informatico convivranno per molto tempo, fino a quando i vantaggi
della nuova forma non saranno così evidenti da costringere anche i più
riottosi misoneisti a cambiare strumenti e ad allargare gli orizzonti della
propria cultura, fino a impadronirsi di pochi, essenziali fondamenti delle
tecnologie dell'informazione. Perché alla base di tutto il meccanismo di
certezze che fa della firma digitale uno strumento più sicuro e più flessibile
della firma autografa ci sono solo alcuni principi "tecno-logici". E
siccome la "logica" non difetta al giurista, è necessario solo
applicarsi alla comprensione di alcuni semplici aspetti della "tecno".
Ma soprattutto è necessario abituarsi a convivere con la tecnologia, a usarla
per non essere usati da essa. Il personal computer e il collegamento
all'internet devono diventare un'abitudine per chiunque, senza mitizzazioni, ma
anche senza avversioni. E poiché nel nostro Paese non c'è ancora una diffusa
cultura tecnologica che favorisca questo cambiamento, il documento informatico
(già oggi obbligatorio - o quasi - per alcuni adempimenti, come la trasmissione
di documenti dalle società alle Camere di commercio) contribuirà anche a
questo aspetto del progresso, oltre che a favorire un’altra forma di cultura
del tutto inesistente nel nostro Paese: la cultura della sicurezza informatica.
Lo scopo che ci siamo proposti con questo libro è di tracciare un quadro
generale il più possibile completo degli aspetti tecnico-giuridici del
documento informatico, in funzione delle esigenze degli operatori del diritto.
Operare nel mondo del diritto non significa solo essere magistrati, avvocati o
docenti di materie giuridiche, perché misurarsi con le leggi è un compito che
coinvolge anche altre attività, in primo luogo quelle degli amministratori
pubblici e privati. Quindi non ci siamo addentrati in dettagliate analisi
giuridiche, ma abbiamo cercato di porre la massima attenzione nel chiarire i
presupposti tecnologici che sono alla base della normativa, senza peraltro
indugiare in approfondimenti tecnici non necessari. Nello stesso tempo abbiamo
dedicato una particolare cura all’analisi del dettato normativo in vista delle
possibili applicazioni pratiche e tenendo dei risultati conto delle prime
esperienze concrete.
Alla fine del lavoro (se mai una fine ci può essere nell’analisi di una
materia in continua evoluzione), ci auguriamo di essere riusciti a illustrare
almeno a grandi linee un progetto di enorme portata innovativa, frutto
dell'intuizione di un piccolo gruppo di appassionati che, sotto la guida
dell'Autorità per l'informatica nella pubblica amministrazione, hanno tracciato
con straordinaria lungimiranza l'inizio di un percorso che condurrà a un
profondo rinnovamento di tutto l'ordinamento giuridico, e non solo nel nostro
Paese.
I tempi non saranno brevi come si poteva forse immaginare all’inizio, ma la
strada è segnata: nell’autunno del 2002, con la comparsa nei negozi dei primi
"kit" di firma digitale a disposizione del pubblico professionale, e
con l’iscrizione del Consiglio nazionale del notariato nell’elenco pubblico
dei certificatori, la firma digitale esce dalla fase del progetto e diventa
realtà. Ora si può veramente dire che la rivoluzione è iniziata. |