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Commercio elettronico

Giochi e scommesse on line: la "finanziaria" contro la UE? - 1

di Andrea Pascerini* - 14.10.05

 
Il testo della legge finanziaria in via di approvazione prevede, in tema di giochi e scommesse, una "innovazione" che per la sua peculiarità già avrebbe dovuto essere oggetto, al suo apparire, di clamorosi commenti da parte di organi di stampa e mass media. All'inquietante silenzio è necessario far corrispondere una seria analisi delle varie problematiche che hanno portato (al momento) ad ipotizzare un principio che definire "medioevale" è un eufemismo.

Ecco il testo in questione:
--. Il Ministero dell'Economia e delle Finanze - Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato, fermi i poteri dell'autorità e della polizia giudiziaria ove il fatto costituisca reato, comunica ai fornitori di connettività alla rete internet ovvero ai gestori di altre reti telematiche o di telecomunicazioni o agli operatori che in relazione ad esse forniscono servizi tematici o di telecomunicazione, i casi di offerta, attraverso le predette reti di giochi, scommesse o concorsi pronostici con vincite in denaro in difetto di concessione, autorizzazione licenza od altro titolo autorizzatorio o abilitativi o comunque in violazione delle norme di legge o di regolamento o dei limiti o delle prescrizioni definiti dall'Amministrazione stessa.
--. I destinatari delle comunicazioni hanno l'obbligo di inibire l'utilizzazione delle reti, delle quali sono gestori o in relazione alle quali forniscono servizi per lo svolgimento dei gioch, delle scommesse o dei concorsi pronostici di cui al comma --, adottando a tal fine misure tecniche idonee in conformità quanto stabilito con uno o più provvedimenti del Ministero dell'Economia e delle Finanze - Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato.

In sostanza, se venisse approvato questo testo, i siti esteri di soggetti legittimamente operanti secondo le leggi del paese della Comunità Europea in cui hanno sede verrebbero oscurati (e così verrà impedito agli italiani di accedere a quel servizio).
Si eviteranno in questa sede i fin troppo banali paragoni con quanto notoriamente avviene in Cina e si svilupperà - al contrario - un approfondito esame della materia con particolare attenzione, per oggi, agli antefatti che hanno portato alla proposta di questa norma.

L'art. 4 della legge 401/89 - pensata ed originariamente emanata quando ancora il gioco on line non era conosciuto, aveva lo scopo di eliminare il "totonero" e fu il prodotto, come spesso accade nel nostro paese, di una classica legislazione di emergenza.
All'inizio degli anni 80, con le prime iniziative di alcuni bookmaker inglesi di operare in Italia - anzi, più correttamente: di offrire il loro servizio agli utenti italiani - (tentativi che si estrinsecavano con modalità operative all'epoca spesso molto differenti tra loro) ebbero inizio i primi tentativi di bloccare tale iniziative.

È da tenere ben presente un dato storico fondamentale: all'epoca, cioè fino al 1998, in Italia nessuno accettava scommesse sul modello di quello inglese, (a quota fissa) sugli eventi sportivi essendo, l'unico prodotto proposto il Totocalcio, tipico concorso pronostico.
In questo contesto ha inizio nel 1993 uno scontro giudiziario che, su un aspetto specifico, tuttora perdura.

Un po' di storia

La materia delle scommesse on line è già stata "esplorata" da vari organi giudiziari; un attento lettore si stupisce per la varietà di interpretazioni circa la legittimità o meno dei comportamenti che vengono fatti rientrare nell'art. 4 della legge 401/89.
Il punto fondamentale oggetto di valutazione era il seguente: la normativa italiana - con le restrizioni imposte ex art. 4, l. 401/89 e art. 88 TULPS - violava i principi di libera circolazione dei servizi all'interno della Comunità europea: tale limite non era giustificato e quindi la norma italiana andava disapplicata.

Esiste una prima fase giurisprudenziale (anteriore al 1999) nella quale si erano delineate due tendenze: da un lato vi era la giurisprudenza di merito caratterizzata da reiterate assoluzioni, dall'altro la Corte di cassazione che aveva sempre dato, seppur con motivazioni spesso diverse tra loro, una interpretazione della norma assolutamente "blindata" (per cui era reato, ai sensi dell'art. 4 L. 401/89, ad esempio, consentire l'utilizzo di un terminale a persona che giocasse o facesse scommesse con operatori esteri direttamente, pur avendo già depositato, secondo modalità ufficiali, il danaro presso l'organizzatore del gioco).

Dopo la sentenza della Corte di Giustizia Zenatti (causa N. C-67/98 del 21 ottobre 1999), i giudici di merito trovarono ancora più fondato il loro agire (assoluzione e/o disapplicazione della norma e violazione dei principi fissati dall'organo comunitario).
In sostanza, la sentenza Zenatti si esprimeva in questi termini: le restrizioni sono ammissibili
- se si persegue effettivamente l'obiettivo di un'autentica riduzione delle opportunità di gioco;
- se il finanziamento di attività sociali attraverso un prelievo sugli introiti derivanti dai giochi autorizzati costituisce solo una conseguenza vantaggiosa accessoria e non la reale giustificazione della politica restrittiva.

Già allora era sufficiente porre attenzione a come il fenomeno delle scommesse si stava sviluppando in Italia dal '94 in poi per rendersi conto che:
1. dopo anni di silenzio, il legislatore (proprio a causa dell'inizio di offerta di scommesse e giochi da parte di gestori esteri) ha sviluppato  - annualmente - una normativa in materia (inserita non casualmente nelle varie leggi finanziarie di fine anno);
2. gli interventi normativi non erano stati tesi a ridurre le scommesse e giochi d'azzardo, ma al contrario la strada scelta dallo Stato Italiano era stata quella di sviluppare le une e gli altri.
Ne era conferma sia la moltiplicazione della agenzie ippiche e di scommesse attraverso i noti bandi, sia l'aumento vertiginoso dei giochi d'azzardo supermiliardari (questo sì veramente immorale tale da giustificare, addirittura, l'intervento del Ministro delle finanze).

Era già evidente che su questa realtà, oggettivamente inoppugnabile, i limiti posti dalla normativa italiana non rispondevano ai requisiti imposti dalla normativa comunitaria a giustificazioni di eventuali restrizioni.
Ma l'aspetto in assoluto più rilevante nell'ambito di questo procedimento avanti la Corte di giustizia europea fu il riconoscimento esplicitamente espresso sia da parte dell'Avvocatura dello Stato italiano sia da parte dell'avvocato generale della Corte di giustizia del principio della libertà per il cittadino italiano di giocare direttamente con un allibratore estero. (E ciò, si badi bene, nonostante l'art. 4, comma 3 L. 401/89).
La Corte di cassazione perseverava in una interpretazione sempre più restrittiva della norma, che in realtà aveva come unico concreto effetto quello di favorire i soli soggetti italiani (SNAI, SISAL ecc.), a scapito di chi operava nel settore all'estero .

Il contrasto giurisprudenziale proseguì e a seguito del nuovo coinvolgimento della Suprema Corte europea (Sentenza Gambelli, procedimento N. C-243/01 del 6 novembre 2003) si sperava che il tutto cessasse. Di questo specifico procedimento, ai fini di focalizzare ancor più il problema, è utile sottolineare, oggi, alcuni punti delle conclusioni dell'Avvocato Generale presso la Corte di Giustizia:

106 e seguenti: OSTACOLO ALLA LIBERA PRESTAZIONE DI SERVIZI E LA SUA GIUSTIFICAZIONE. In particolare:

115: "tuttavia la Corte ha ritenuto <una limitazione siffatta (.) ammissibile solamente se essa anzitutto persegue effettivamente l'obiettivo di un'autentica riduzione delle opportunità di gioco e se il finanziamento di attività sociali attraverso un prelievo sugli introiti derivanti dai giochi autorizzati costituisce solo una conseguenza vantaggiosa accessoria (.)>(59)".

Sull'idoneità dei mezzi al raggiungimento dello scopo:

118: "se dunque un operatore di un altro Stato membro soddisfa i requisiti che vengono richiesti in questo Stato, ciò dovrebbe essere sufficiente per gli uffici nazionali dello Stato membro destinatario dei servizi ed essi dovrebbero considerare tale circostanza come una garanzia sufficiente dell'onestà dell'operatore";

121: "nel presente procedimento è stato osservato che gli organizzatori concessionari di scommesse sportive si mettono in evidenza tramite una pubblicità aggressiva. Un comportamento del genere è finalizzato a suscitare e favorire il desiderio del gioco. Ma questo non basta. Anche lo Stato italiano ha per legge creato le possibilità di ampliare chiaramente sul mercato italiano l'offerta di giochi (63). Inoltre è stato osservato, senza dare adito a contestazioni, che lo Stato italiano ha anche avuto cura di rendere più facile la raccolta delle scommesse. È stata già citata l'estensione dell'infrastruttura con il rilascio di 1000 nuove concessioni";

122: "alla luce di questo quadro non può più parlarsi di una coerente politica per la restrizione dell'offerta dei giochi d'azzardo";

123: "per quanto riguarda la modifica legislativa dell'anno 2000 ad opera della legge finanziaria e le circostanze della sua adozione, con la quale modifica sono state inasprite le disposizioni fino ad allora in vigore - già esaminate dalla Corte nella causa Zenatti - occorre rilevare che in conformità ai materiali di legge citati nelle osservazioni scritte, la modifica di legge è stata adottata almeno anche per proteggere i concessionari interni. Si tratta al riguardo senza dubbio di motivazioni protezionistiche che non possono giustificare la modifica di legge e che allo stesso tempo gettano una luce dubbia sulla disciplina nel complesso. Nella misura in cui la normativa originaria debba essere considerata non più sostenuta dagli obiettivi eventualmente perseguiti al momento della sua adozione, perché la situazione di diritto e quella di fatto sono cambiate, un inasprimento in questa forma non avrebbe potuto in nessun caso essere adottato".

Significato degli introiti statali:

124: "anche la circostanza che la normativa fosse contenuta in una Legge finanziaria mette in rilievo il non irrilevante interesse dello Stato al gioco d'azzardo per ragioni di carattere economico";

129: "conseguentemente la restrizione della libera prestazione di servizi non può considerarsi giustificata da motivi imperativi di interesse generale per motivi addotti e alla luce delle circostanze date".

La chiarezza di tali puntualizzazioni non richiede - almeno all'apparenza - ulteriori commenti. Quanto alla motivazione della sentenza: devono essere evidenziati i seguenti punti:

57: "tale divieto, penalmente sanzionato, di partecipare a scommesse organizzate in Stati membri diversi da quello sul cui territorio risiede il giocatore, costituisce una restrizione alla libera prestazione dei servizi";

58: "lo stesso vale per il divieto, del pari penalmente sanzionato, nei confronti degli intermediari, quali gli indagati nella causa principale, di agevolare la prestazione di servizi di scommesse su eventi sportivi organizzati da un prestatore, quale (...), con sede in uno Stato membro diverso da quello in cui i detti intermediari svolgono la propria attività, poiché un tale divieto costituisce una restrizione al diritto del bookmaker alla libera prestazione dei servizi, anche se gli intermediari si trovano nello stesso Stato membro dei destinatari dei servizi medesimi";

61: "quanto agli argomenti fatti valere, in particolare, dai governi ellenico e portoghese al fine di giustificare le restrizioni ai giuochi di azzardo e alle scommesse, è sufficiente ricordare che, secondo costante giurisprudenza, la riduzione o la diminuzione delle entrate fiscali non rientra fra i motivi enunciati all'art. 46 CE e non può essere considerata come un motivo imperativo di interesse generale che possa essere fatto valere per giustificare una restrizione alla libertà di stabilimento o alla libera prestazione dei servizi (v., in tal senso, sentenze 16 luglio 1998, causa C-264/96, ICI, Racc. pag. I-4695, punto 28, e 3 ottobre 2002, causa C-136/00, Danner, Racc. pag. I-8147, punto 56)";

62: "come si evince dal punto 36 della menzionata sentenza Zenatti, le restrizioni devono perseguire in ogni caso l'obiettivo di un'autentica riduzione delle opportunità di giuoco e il finanziamento di attività sociali attraverso un prelievo sugli introiti derivanti dai giuochi autorizzati costituisce solo una conseguenza vantaggiosa accessoria, e non la reale giustificazione, della politica restrittiva attuata";

64: "in ogni caso, per risultare giustificate, le restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazioni di servizi devono presentare i requisiti previsti dalla giurisprudenza della Corte (v., in particolare, sentenze 31 marzo 1993, causa C-19/92, Kraus, Racc. pag. I-1663, punto 32, e 30 novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard, Racc. pag. I-4165, punto 37)";

65: "ai sensi di tale giurisprudenza, infatti, le dette restrizioni devono, in primo luogo, essere giustificate da motivi imperativi di interesse generale; in secondo luogo, devono essere idonee a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e, in terzo luogo, non andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo. In ogni caso, devono essere applicate in modo non discriminatorio";

67: "anzitutto, anche se, nelle menzionate sentenze Schindler, Läärä e a. e Zenatti, la Corte ha ammesso che le restrizioni alle attività di giuoco possono essere giustificate da motivi imperativi di interesse generale, quali la tutela del consumatore e la prevenzione della frode e dell'incitazione dei cittadini ad una spesa eccessiva collegata al giuoco, occorre tuttavia che le restrizioni fondante su tali motivi e sulla necessità di prevenire turbative all'ordine sociale siano idonee a garantire la realizzazione dei detti obiettivi, nel senso che tali restrizioni devono contribuire a limitare le attività di scommessa in modo coerente e sistematico";

68: "a tale riguardo, riferendosi ai lavori preparatori della legge n. 388/00, il giudice del rinvio ha sottolineato che lo Stato italiano persegue, a livello nazionale, una politica a forte espansione del giuoco e delle scommesse allo scopo di raccogliere fondi, tutelando i concessionari del CONI";

69: "orbene, laddove le autorità di uno Stato membro inducano ed incoraggino i consumatori a partecipare alle lotterie, ai giuochi d'azzardo o alle scommesse affinchè il pubblico erario ne benefici sul piano finanziario, le autorità di tale Stato non possono invocare l'ordine pubblico sociale con riguardo alla necessità di ridurre le occasioni di giuoco per giustificare provvedimenti come quelli oggetto della causa principale";

73: "il giudice del rinvio dovrà inoltre chiedersi se la circostanza di imporre restrizioni penalmente sanzionate sino a un anno di arresto per gli intermediari che facilitino la prestazione di servizi da parte di un bookmaker stabilito in uno Stato membro diverso da quello in cui i detti servizi sono offerti, mettendo a disposizione degli scommettitori nei propri locali la concessione via Internet con il bookmaker, costituisca una restrizione che ecceda quanto necessario per la lotta alla frode, soprattutto in considerazione del fatto che il prestatore di servizi è sottoposto, nello Stato membro in cui è stabilito, ad un sistema normativo di controlli e sanzioni, gli intermediari sono legittimamente costituiti e, prima delle modifiche normative di cui alla legge n. 388/00, tali intermediari si ritenevano autorizzati a trasmettere scommesse su eventi sportivi esteri";

75: "spetta al giudice del rinvio verificare se la normativa nazionale, alla luce delle sue concrete modalità di applicazione, risponda realmente ad obiettivi tali da giustificarla e se le restrizioni che essa impone non appaiano sproporzionate rispetto a tali obiettivi".

La giurisprudenza di merito, immediatamente successiva, trovò così ulteriore e fondatissima ragione.
Peraltro, la Corte di cassazione, sezioni unite (sentenza 26 aprile 2004) a sorpresa, riuscì, pur ammettendo la correttezza dell'impostazione della Corte di giustizia a sostenere che la normativa italiana non contrastava con quella comunitaria con riferimento alla "pubblica sicurezza" (requisitoria contraria della Procura generale presso la Corte di cassazione).
Talmente fantasiosa (eufemisticamente) e strumentale (a parere di molti soggetti interessati all'argomento) era tale "motivazione" che non solo numerosi tribunali continuarono a disattendere quanto espresso dalla Cassazione disapplicando la norma, ma, di più, alcuni tribunali si trovarono "costretti" a riproporre la questione alla Corte di giustizia proprio sul punto contestato.
Nel contempo anche dell'art. 88 TULPS veniva chiesto un vaglio di legittimità avanti la Corte costituzionale. Entrambe le questioni, oggi, sono pendenti avanti i rispettivi supremi organi.

Per una sintesi delle argomentazione che la giurisprudenza di merito ha adottato si riporta la parte in diritto della sentenza della Corte di Appello di Milano N. 5202 in data 27.11.2003 che ha il pregio di rappresentare, con semplicità, le argomentazioni fondamentali.
Sul prossimo numero, anche alla luce delle novità che potrebbero emergere dalla discussione sul disegno di legge, entreremo nel dettaglio e faremo una valutazione circa la compatibilità della nuova finanziaria con i principi già espressi dalla Corte di giustizia.

SENTENZA CORTE DI APPELLO DI MILANO N. 5202 - 27.11.2003

.Omissis .
Nulla quaestio sulla conformità del fatto alla norma incriminatrice, ma occorre verificare la compatibilità di quest'ultima con la legislazione comunitaria, che vieta ogni ostacolo alla libertà di stabilimento e alla prestazione di servizi tra le imprese dei Paesi Membri.
Per vero, nell'ambito della propria competenza, il giudice nazionale è tenuto a disapplicare le norme di diritto interno che pongano in contrasto col diritto comunitario e, in particolare, con l'interpretazione vincolante che del diritto comunitario proviene dalla Corte di Giustizia Europea.
In data 6 novembre 2003, pronunciandosi in causa Gambelli C-243/01, la Corte di Giustizia Europea ha affermato il seguente principio di diritto: "una normativa nazionale contenente divieti - penalmente sanzionati - di svolgere attività di raccolta, accettazione, prenotazione e trasmissione di proposte di scommessa, relative, in particolare, a eventi sportivi, in assenza di concessione o autorizzazione rilasciata dallo Stato membro interessato, costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi previste, rispettivamente, agli artt. 43 e 49 CE". Spetta al giudice nazionale verificare se la normativa nazionale "alla luce delle sue concrete modalità di applicazione, risponda realmente ad obbiettivi tali da giustificarla e se le restrizioni che essa impone non risultino sproporzionate rispetto a tali obbiettivi".
La ratio della decisione richiamata è, tutto sommato, assai semplice: la gestione di scommesse non è un'attività imprenditoriale qualunque, giacchè, come sottolineato dal Procuratore Generale appellante, comporta elevati rischi di frode, costituisce un veicolo dissennato di spesa e urta diffusi principi morali e sociali; è pertanto giustificato che tale attività sia limitata da ciascun Paese membro in base a parametri di sensibilità differenziati, tuttavia le restrizioni devono essere coerenti alle motivazioni indicate ed operare uniformemente, senza discriminazioni in danno degli operatori economici degli altri Paesi membri.
Ebbene, è palese che lo Stato Italiano non persegue una politica contenitiva del gioco e delle scommesse per ragione di ordine pubblico o di moralità pubblica, bensì attua una politica apertamente espansiva di tale fenomeno economico-sociale.
Per vero, le restrizioni normative vigenti in materia, lungi dall'inibire o sfavorire la propensione dei cittadini ad investire denaro nel gioco e nelle scommesse e neppure dal preoccuparsi di possibili inquinamenti malavitosi nello sfruttamento del fenomeno, si preoccupano unicamente di confinare entro barriere protezionistiche, se non addirittura monopolistiche, la gestione delle relative attività, in modo da convogliare essenzialmente verso l'erario i lucrosi proventi.
Nei fatti, lo Stato Italiano non combatte, anzi incentiva, la spesa della popolazione nelle scommesse e nei giochi aleatori, però pretende di mantenere, in modo diretto o attraverso i propri concessionari, il controllo esclusivo delle attività speculative connesse, tenendo fuori dal mercato i concorrenti stranieri, cui è praticamente inaccessibile la partecipazione alle gare di concessione.
Per verificare l'assunto, basti osservare, in primo luogo, che nessuna particolare disciplina tende a fronteggiare il pericolo di possibili investimenti malavitosi nelle attività economiche in questione, vuoi dal punto di vista dell'accaparramento delle concessioni, vuoi dal punto di vista del riciclaggio di denaro di provenienza illecita.
L'Amministrazione concedente non è tenuta ad assumere informazioni presso gli organi di polizia, né a pretendere referenze di altra natura, circa la moralità dei concessionari, i quali, per partecipare alle gare, non sono tenuti a presentare il cosiddetto certificato "antimafia" e nemmeno semplici certificati penali o dei carichi pendenti.
Conseguentemente, lo Stato italiano non ha motivo di far gravare sugli operatori comunitari un maggiore e non controllabile rischio criminale, di cui non si cura in Patria, con ciò manifestando di non avvertire il bisogno di derogare sotto tale profilo al principio della libertà d'impresa.
In secondo luogo, le verifiche imposte sulla solidità economica del concessionario appaiono dirette a garantire l'adempimento degli obblighi verso lo Stato, piuttosto che ad assicurare il pagamento delle scommesse vincenti agli scommettitori.
Conseguentemente, non si può dire che la normativa nazionale tenda a tutelare questi ultimi dal pericolo di frode in modo più efficiente di quanto non faccia, per restare al nostro caso, l'ordinamento giuridico inglese, laddove è autorizzata ad operare la Eurobet 2000 ltd, vale a dire il soggetto per conto del quale raccoglieva le puntate il Rognoni.
Nemmeno a questo riguardo, pertanto, emergono nelle pieghe del sistema nazionale vigente concrete di tutela idonee a giustificare una deroga al libero accesso degli operatori nel mercato comunitario.
In terzo luogo, passando dal terreno dell'ordine pubblico e quello della moralità pubblica, è sotto gli occhi di tutti la proliferazione dei giochi aleatori che si è verificata negli ultimi anni in Italia: è stata accorciata la periodicità delle estrazioni del Lotto, è stato introdotto il Superenalotto, sono stati moltiplicati i concorsi pronostici legali al gioco del calcio, sono state inventati una miriade di giochi cosiddetti da banco tipo "gratta e vinci", il tutto con adeguato sostegno pubblicitario e non celato compiacimento nell'evidenziare l'incremento delle entrate alternative al prelievo fiscale, ciò che costituisce inconfutabile e matematica riprova dell'assunto.
Non a caso, gli interventi più rilevanti in materia sono stati attuati per mezzo della legge finanziaria annuale, che in particolare nel 2000 ha modificato l'art. 88 TULSP, facendo cadere il divieto generale di esercizio delle scommesse ed aprendo la possibilità di scommettere su eventi sportivi anche esteri, semprechè, si badi, la raccolta delle puntate sia riservata allo Stato o ai suoi concessionari.
In sostanza, il "business" delle scommesse è stato costantemente incentivato dall'Amministrazione italiana, senza riguardo per la sua eventuale dannosità sociale, ma con il chiaro intento di fagocitarne i proventi.
Questo esclude la possibilità d'invocare ragioni di carattere sociale, religioso o morale per impedire la raccolta delle scommesse all'estero e quindi per giustificare restrizioni in danno degli operatori comunitari del settore.
A spiegare teleologicamente la disciplina del gioco, resta obbiettivamente percepibile soltanto il perseguimento di interessi di carattere finanziario, che, però, sicuramente non consentono alcuna deroga alla libertà di stabilimento e di libera circolazione dei servizi prevista dal trattato CE.
Ne consegue che tutti gli operatori economici infracomunitari autorizzati a svolgere quel tipo di attività nello Stato di appartenenza hanno diritto di raccogliere puntate provenienti dal nostro Paese senza subire discriminazioni e, viceversa, tutti i cittadini italiani hanno diritto di rivolgersi ad operatori infracomunitari per sfogare la propria propensione al gioco.
Ciò posto, perde persino d'importanza il discrimine evidenziato dal giudice di primo grado nell'entrata in vigore della legge finanziaria del 2000, che, come si è accennato, ha svincolato la sanzione penale dal presupposto amministrativo un tempo richiamato dall'art. 88 TULPS.
La novella non ha mutato l'assetto fondamentale del problema, giacchè, se indubbiamente la punibilità non può essere mantenuta sulla base di un mero presupposto amministrativo illegittimo alla luce della disciplina comunitaria, è altrettanto vero che anche le norme incriminatrici dirette sono destinate a perdere efficacia quando si scontrino con l'ordinamento comunitario sovraordinato, senza alcuna necessità, come suggerisce il Procuratore Generale, di rimettere la questione alla Corte Costituzionale.
Giova ricordare che le norme comunitarie fanno parte a tutti gli effetti del nostro ordinamento giuridico, sicchè, davanti alla constatazione di un conflitto insanabile, l'interprete è tenuto a restituire coerenza al sistema ritenendo l'abrogazione implicita della norma sottoordinata.
Nel nostro caso, insomma, non viene in considerazione l'eventuale illegittimità costituzionale di una norma vigente, bensì l'incompatibilità tra norme ordinarie del sistema, che va risolta dal giudice ordinario facendo ricorso agli usuali canoni ermeneutici.

(Continua sul prossimo numero)

* Avvocato in Bologna

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