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Commercio elettronico

Peer-to-peer e responsabilità: un quadro sempre più confuso

di Roberto Manno - 06.04.05

 
Nel dibattito suscitato dalle ripercussioni delle disposizioni previste dal decreto legge 35/05 "Disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale" sulla condivisione di contenuti digitali possono essere avanzate alcune considerazioni di ordine generale.

Ecco il comma 7 dell'art. 1,  oggetto di discussione:
Salvo che il fatto costituisca reato, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria fino a 10.000 euro l'acquisto o l'accettazione, senza averne prima accertata la legittima provenienza, a qualsiasi titolo di cose che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l'entità del prezzo, inducano a ritenere che siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà intellettuale. La sanzione di cui al presente comma si applica anche a coloro che si adoperano per fare acquistare o ricevere a qualsiasi titolo alcuna delle cose suindicate, senza averne prima accertata la legittima provenienza.

In Francia il Forum des droits sur l'Internet ha istituito un gruppo di lavoro ad hoc in materia di proprietà intellettuale e peer to peer, dal quale sono scaturite interessanti osservazioni.
Le nuove tecnologie digitali hanno modificato gli equilibri che tradizionalmente regolavano i rapporti tra titolari dei diritti sulle opere protette/produttori e i loro acquirenti. Il diritto d'autore riservava ai primi (tra gli altri) il diritto di riproduzione e commercializzazione al pubblico, salva la possibilità per gli acquirenti di effettuare copie private ad uso interno, domestico, familiare.

Questa dinamica "discendente" è stata sconvolta dall'ICT e dal peer-to-peer: il consumatore può trasformarsi in contraffattore, copiando l'opera e distribuendola a sua volta, vale a dire esercitando facoltà esclusive del titolare del diritto d'autore. All'origine di un file sharing illegale v'è sempre l'acquisto da parte di un legittimo consumatore, che diviene successivamente contraffattore.
Pertanto, più che l'utente che effettua il download, è in chi mette a disposizione del pubblico materiale coperto da diritti esclusivi che andrebbe individuato il vero contraffattore.

I DRM sono la risposta con la quale i titolari dei diritti d'autore cercano di fermare la tendenza "ascendente" che le tecnologie digitali hanno impresso alla circolazione delle opere protette. Ma è soprattutto con l'erosione del diritto (o facoltà?) alla copia privata, confinato negli angusti limiti concessi dai DRM, che lo status quo ante può essere efficacemente conservato.
Si ricorda come in Canada la Corte federale abbia stabilito come il download di opere protette possa essere del tutto legittimo, in base all'eccezione di copia privata di cui al diritto d'autore canadese, che non ha subito alcuna mortificazione.

Alla luce di tali considerazioni, applicando al file sharing (ma in generale alla comunicazione via internet) le disposizioni del decreto-legge, si può rilevare come la prima parte del citato articolo miri a sanzionare direttamente i comportamenti degli utenti finali, mentre la seconda quelli di chi mette a disposizione del pubblico contenuti oggetto di diritti esclusivi.

La norma evoca alcuni elementi costitutivi del reato di ricettazione, nel quale tuttavia l'illecita provenienza della merce acquistata assume un'evidenza (quando c'è) che ben difficilmente potrebbe individuarsi on line, tra i bit.
Il riferimento a "coloro che si adoperano per fare acquistare o ricevere", invece, rischia di chiamare in causa non solo le piattaforme di peer-to-peer, ma qualsiasi host dal quale sia possibile effettuare un download di contenuti digitali.
Vengono immediatamente alla mente i principi di cui agli artt. 12-14 della direttiva 200/31/CE sul commercio elettronico, che il rapporto della Commissione ha ulteriormente chiarito. Riportiamo un passaggio del rapporto, sulla natura trasversale di tali limitazioni di responsabilità:

The limitations on liability provided for by the Directive are established in a horizontal manner,
meaning that they cover liability, both civil and criminal, for all types of illegal activities initiated by third parties
.

Infine, come dev'essere intesa l'espressione "coloro che si adoperano"?
E' immaginabile il gestore di un client colmo di contenuti digitali contraffatti, da lui messi a disposizione del pubblico, il quale "si adoperi" per distribuirli ad un numero indefinito di utenti. Possiamo ritenere che in tali casi saremmo di fronte a comportamenti attivi, consapevoli e dolosi. Le eccezioni previste dai citati articoli 12-14 della direttiva non trovano applicazione, potendo affermarsi la consapevolezza e la relativa colpevolezza di chi mette a disposizione (tramite l'upload) opere protette.

Nel caso contrario di chi gestisce piattaforme di e-commerce e le tecnologie, eventualmente peer-to-peer, accessibili tramite essi, tale "attività" può anche mancare, come di fatto manca, ad esempio, per chi offre al pubblico una piattaforma di aste on line.

Inoltre, la distinzione nell'ambito dell'ICT tra comportamenti attivi (tra cui potremmo inserire l'upload) e passivi (download) trova riscontro giuridico in sede di regolamentazione comunitaria degli accordi di distribuzione verticale.

Siamo in un campo, quello degli accordi di distribuzione, distante anni luce - in virtù anche del principio dell'esaurimento dei diritti di proprietà intellettuale - dalla contraffazione dei diritti esclusivi sulle opere dell'ingegno, dal quale possiamo tuttavia trarre alcune considerazioni su come sia stato possibile cogliere, in sede comunitaria, importanti differenze.

Ecco la definizione contenuta nelle linee guida (GUCE C 291 del 13.10.2000) :
vendite «passive»: la risposta ad ordini non sollecitati di singoli clienti, incluse la consegna di beni o la prestazione di servizi a tali clienti. Sono vendite passive le azioni pubblicitarie o promozioni di portata generale realizzate attraverso i media o via Internet che raggiungano clienti all'interno del territorio esclusivo o del gruppo di clienti esclusivo di un altro distributore, ma costituiscano un modo ragionevole per raggiungere clienti al di fuori di tali territori o gruppi di clienti, ad esempio per raggiungere clienti in territori non concessi in esclusiva o all'interno del proprio territorio.

Il diritto comunitario della distribuzione, dunque, vieta assolutamente ogni restrizione alle vendite passive (tra cui internet e i siti di aste on line) imposta dal fornitore nei confronti del distributore.

Per vendite attive le linee guida intendono invece
vendite «attive»: il contatto attivo con singoli clienti all'interno del territorio esclusivo o del gruppo di clienti esclusivo di un altro distributore, una ad esempio per posta o mediante visite ai clienti, oppure il contatto attivo con uno specifico gruppo di clienti, o con clienti situati in uno specifico territorio attribuito in esclusiva ad un altro distributore attraverso inserzioni pubblicitarie sui media o altre promozioni specificamente indirizzate a quel gruppo di clienti o a clienti in quel territorio, oppure l'apertura di un deposito o punto vendita all'interno del territorio esclusivo di un altro distributore.

Il rigore di tali distinzioni andrebbe applicato anche in sede di repressione della pirateria musicale, come indicano i numerosissimi studi condotti in sede internazionale. La disposizione del nuovo decreto legge, da questo punto di vista, non è soddisfacente.

V'è infatti il rischio di interpretare in maniera errata la pura tecnologia, sulla base di un'equazione tanto rigida quanto miope. Così come in passato sono stati notificati numerosi verbali di accertamento della violazione del famigerato divieto delle "aste on line", potremmo assistere ad altri verbali in cui si contesta al responsabile dell'host la sanzione di 10.000 euro per essersi "adoperato" nella diffusione dell'opera protetta.

Dopo l'erosione del diritto alla copia privata; le "simboliche" sanzioni contro il download domestico (che, si ricorda, non sono previste dalle direttive europee, vedi Le "disarmonie comunitarie" del decreto Urbani), le disposizioni del recente decreto-legge rischiano di peggiorare un quadro poco chiaro.

Non resterebbe, per gli irriducibili del download, che acquistare casette piccoline in Canadà.
 

* weblegal at tin.it 

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