La proprietà, come tradizionalmente la concepiamo, ha una caratteristica non
sempre evidenziata: se eliminiamo l'uomo, scompare pure il diritto e con esso il
concetto di proprietà, ma rimane l'oggetto di quello che tradizionalmente ha
caratterizzato tale diritto, i beni materiali.
C'è anche un altro tipo di proprietà (conosciuto anche in
passato e disciplinato partendo dai presupposti della proprietà tradizionale);
e questo è tale che il venire meno dell'uomo, fa venire meno non solo il
diritto (come regola umana) ma anche l'oggetto della proprietà rappresentato
dall'intelletto, dalle idee, che si concretizzano in un termine che
convenzionalmente possiamo chiamare informazione.
Sul presupposto della materialità, si è sviluppato, storicamente, in tutte le
società che lo hanno elaborato, il concetto di proprietà come anche il nostro
ordinamento lo concepisce.
Ma la disciplina tradizionale con la quale si è cercato di
regolamentare anche la nuova forma di proprietà crea evidenti problemi in vari
campi, come nel libero mercato.
Non si può coscientemente affrontare e cercare risolvere normativamente, anche
in via provvisoria, il problema della disciplina del diritto di proprietà
intellettuale, se non si tiene conto del rischio di un paradosso: ogni tentativo
di riconoscere all'autore un diritto esclusivo ed assoluto (perché
tradizionalmente si cercava di garantirgli quella sicurezza economica
presupposto per la sua creatività e giusta remunerazione dei suoi sforzi) porta
inevitabilmente a cadere in una logica monopolistica che è la negazione stessa
dell'obiettivo che si vuole raggiungere garantendo una tutela siffatta.
Tale obiettivo è la disciplina efficientistica del fenomeno,
in modo da poter garantire, da un lato, che le idee si possano formare dando a
Cesare quel che è di Cesare (al produttore la remunerazione degli investimenti)
e all'autore quello che gli permette di vivere; dall'altro costituisca nel
contempo uno stimolo per continuare a produrre il suo genio.
Partendo dal presupposto che le idee sono comunque alla base
dello sviluppo della società, del suo benessere, e quindi anche dei diritti
democratici ed umani che questa esprime in modo tanto più compiuto quanto più
è sviluppata (almeno così dovrebbe essere), si è cercato di fornire una
disciplina che garantisca un'efficiente produzione ed una conveniente
distribuzione con quello che lo stato dell'arte giuridica aveva a disposizione,
e cioè la struttura dei diritti di proprietà (così come tradizionalmente
conosciuti) traslati e riadattati alla nuova forma di proprietà che però è
ontologicamente e geneticamente diversa.
Si è pensato di riconoscere un diritto esclusivo all'autore,
il quale inevitabilmente poi lo cederà in gran parte al produttore che sostiene
i costi maggiori e quindi ha necessariamente bisogno di un 'tornaconto' per
stare sul mecato; esattamente così come la proprietà tradizionale attribuisce
al titolare un potere pieno ed assoluto sul bene oggetto della stessa (nei
limiti della Carta costituzionale); ma per la proprietà intellettuale tali
limiti costituzionali spesso cadono nell'oblio o, meglio, pare si faccia finta
di scordarsi che esistano; più semplicemente, si evita di parlarne.
Il mercato, caratterizzato dal diritto assoluto dei creatori
e (derivato) dei produttori sul bene immateriale, ha subìto una spinta verso la
monopolizzazione, che è la negazione stessa del presupposto giuridico
utilizzato in partenza per disciplinare questa realtà, cioè la distribuzione
efficiente del bene mediante l'attribuzione dei diritti in modo assoluto agli
autori/produttori (secondo una logica che postula la proprietà tradizionale non
dissimile da quella intellettuale) .
Il paradosso, dunque, sta nel fatto che per ottenere una
maggior efficienza produttiva e distributiva, la scelta giuridica ha creato una
situazione di diritti assoluti a favore di soggetti determinati che favorisce
una spirale monopolistica che ne è la negazione.
L'attribuzione esclusiva di diritti e tutele, comprese quelle
sui metodi di accesso, solo a certe categorie, sul presupposto di un principio
di giustizia naturale (quello della proprietà a chi produce il
bene-informazione e a chi ne sostiene i costi di distribuzione) e su quello di
una più efficiente allocazione delle risorse collegate alla proprietà
intellettuale per gli interessi della società, soffre di due problemi che, se
trascurati (come si è fatto sino ad oggi), creeranno una situazione di crescita
esponenziale dei costi da investimento, che porterà i produttori ad una corsa
verso una sempre maggiore estensione dei diritti sulle opere che, restringendo
di fatto gli spazi concorrenziali, creerà una realtà monopolistica; a questa
contribuisce anche l'attribuzione dei diritti in modo sempre più esponenziale
ai pochi che hanno capitali enormi da impiegare; realtà che giuridicamente
sarà pur normatizzata, ma che al contempo porterà ad un forte ed insanabile
contrasto con i diritti di accesso degli altri soggetti (protagonisti ma al
contempo emarginati, i fruitori), se ad essi non sarà dato lo spazio necessario
a creare un equilibrio equo tra le parti.
Come si può ben vedere, siamo di fronte ad un problema
ineludibile; l'unica soluzione è farcene carico e tentare di trovare le
risposte ai quesiti che pone; lasciarlo senza risposta ha come conseguenza il
monopolio dell'informazione, o il blocco della produzione della stessa, perché
antieconomico produrla e distribuirla; dei due mali non è dato sapere quale sia
il minore.
Vero è che a questo fenomeno, in Europa, si è cercato di far fronte
sanzionando l'abuso di posizione dominante; ciò non toglie che tale soluzione,
intervenendo solo in via successiva e non preventiva, stante i tempi della
giustizia, e quelli dell'obsolescenza delle idee applicate alle nuove tecnologie
(molto più veloce) non è efficace e da sola non basta a scongiurare le spinte
monopolistiche.
Vero anche che in Italia occorre fare i conti (quando però
troveremo i giudici che ne abbiano voglia - e pare che, anche se tra molte
critiche, qualcuno inizi coraggiosamente a seguire questa strada) anche con una
Costituzione che contrappone ai diritti esclusivi dei proprietari/autori, alcuni
diritti o, meglio, principi fondamentali come quello dello sviluppo e della
ricerca, della libertà di espressione del pensiero, libertà di arte e scienza
e, non ultima per importanza, la necessità che la proprietà sia indirizzata
verso fini sociali. Ma non possiamo delegare solo alla situazione patologica, al
magistrato incaricato di risolverla, la soluzione che la deriva monopolistica
pone al rapporto tra diritto di accesso, da un lato, e di diritto di proprietà
intellettuale, dall'altro, senza rischiare che il sistema soffra di un forte
squilibrio.
Questo quadro ci fa comprendere come accanto ai diritti degli
autori/produttori, vadano considerati anche quelli dei fruitori.
La società moderna, fondando la propria economia (ma anche la propria cultura,
il proprio equilibrio democratico) soprattutto sulle informazioni, contenuto
primario del diritto di proprietà intellettuale, non può permettersi di
attribuire in via esclusiva i benefici di questo bene (pubblico) solo a
determinate categorie di soggetti, trascurando tutti gli altri.
Per scendere dalle nuvole in cui certi discorsi portano, e
toccare con mano una delle miriadi di conseguenze negative che già oggi fanno
da corollario a questi due problemi principali, basta vedere come sia bassa la
percezione del disvalore sociale che sottostà ad alcuni tipi di reati nati per
tutelare l'attribuzione esclusiva del dritto di proprietà intellettuale a
determinati soggetti senza tener debitamente conto del contesto sociale e
giuridico in cui si è intervenuti, a fronte del necessario disvalore che la
norma penale dovrebbe avere per giustificare l'applicabilità di una sanzione
come la limitazione della libertà personale.
Tale situazione, in cui la maggior parte dei nostri figli, ma
probabilmente anche molti di noi, è a rischio di manette, senza però che vi
sia la consapevolezza della gravità di certi comportamenti (perché la gravità
non è percepita come tale e non fa da remora a tali comportamenti che, seppur
comuni, possono chiamarsi criminali - non so se è più criminale fare leggi che
vengono disattese da tutti o violarle perché non comprese), è la conseguenza
di una normazione del fenomeno avvenuta senza tener adeguatamente nella dovuta
considerazione la realtà in cui questo fenomeno si sviluppa.
Concludo con una battuta paradossale: questo è solo
l'inizio; per evitare tali catastrofiche derive, monopolio o antieconomicità e
conseguente riduzione della produzione intellettuale, incomprensione del
disvalore, non considerazione dei diritti degli altri (fruitori), monopolio del
diritto di accesso...ecc... ecc..., occorre che economisti e giuristi si mettano
al servizio della società e disinteressatamente, con fantasia, trovino una
soluzione adeguata al problema, stando attenti a non cadere vittime di qualcuno
che, preso dalla corsa alla proprietà intellettuale, prigioniero di una logica
costruita da norme e realtà di mercato che sfuggono anche al suo controllo, non
cerchi in buona fede di brevettare il metodo risolutivo del problema, negandolo
al mercato in modo che nessuno possa più adottarlo.
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