Quando, proprio quasi dieci anni fa, venne promulgata la
legge 3 agosto 1998, n. 269 "Norme contro lo sfruttamento della prostituzione,
della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di
riduzione in schiavitù" gli internettiani italiani della prima ora storsero
non poco il naso.
Non certo perché, finalmente, la piaga della pedofilia veniva presa
seriamente in considerazione dal legislatore, quanto per "superflui"
riferimenti alla Rete (l'"anche per via telematica" dell'art. 3),
oggettivamente e incomprensibilmente criminalizzata - e con essa tutti gli
utenti, allora considerati soggetti quanto meno "originali".
Per non parlare, poi, della previsione di attività di contrasto (art. 14 l.
269/98), 14, caso unico nel nostro ordinamento per l'ampia "libertà di
azione" accordata agli inquirenti - in un chiaro atteggiamento
machiavelliano - e che non ha mancato di far sorgere interrogativi sulla
morale dello Stato, di recente anche a fronte di applicazioni concrete non
sempre conformi alla legge.
Molte sono state le indagini svolte dopo l'entrata in vigore della legge,
concentrate soprattutto negli ultimi anni. Anche in grande stile e con grossi
numeri. Peccato che, dopo le conferenze stampa della prima ora non siano giunte
costanti notizie sul prosieguo e sugli esiti finali: in certi casi i cittadini
(o contribuenti, se vogliamo spostare l'attenzione sull'uso del danaro
pubblico) ne avrebbero sentite delle belle. Come per l'operazione "Game Over"
(circa 1.500 indagati) fondata su un azzardato "incrocio" di dati numerici
relativi transazioni effettuate con carte di credito, passata per numerosi
sequestri di materiali informatici e terminata (nelle sedi conosciute a chi
scrive) con una percentuale impressionante di archiviazioni.
Ma, è noto, "il fine giustifica i mezzi" ancora oggi ed ecco che, a
quasi dieci anni di distanza, dal primo intervento legislativo, la
pedopornografia è tornata prepotentemente all'attenzione del legislatore,
evidentemente non soddisfatto dei risultati ottenuti dalla citate indagini.
Presentato all'inizio del 2004 e subito accompagnato dalle prime critiche, il
DLL C4599, unito ad altri progetti concorrenti, è giunto all'esame dell'Aula
proprio in queste ultime settimane, peraltro dopo un passaggio critico in
commissione Giustizia. E il titolo è subito emblematico: "Disposizioni in
materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la
pedopornografia anche a mezzo INTERNET" (il maiuscolo compare nel testo
ufficiale).
Al di là di alcuni ritocchi peggiorativi delle pene (ad esempio, per i fatti
di mera detenzione e di cessione o addirittura mera offerta gratuite in
riferimento ai quali multa e reclusione saranno congiunte e non più
alternative) tra l'altro, in parte, particolarmente pesanti se si pensa alla
più blande indicazioni sovranazionali, i punti critici del disegno di legge
sembrano essere principalmente tre:
- la pedopornografia "apparente";
- la pedopornografia "virtuale";
- il ruolo dei provider con i riflessi sulla libertà telematica.
Nella primo testo del disegno di legge era, infatti, prevista la rilevanza
penale delle condotte contemplate dagli artt. 600-ter e 600-quater
c.p. "anche se il materiale pornografico è prodotto utilizzando persone che,
per le loro caratteristiche fisiche, hanno le sembianze di minori degli anni
diciotto". Con tutti gli imbarazzi del caso circa l'introduzione di un'inversione
dell'onere della prova circa la dimostrazione dell'età del soggetto (unica
possibilità, ma soltanto per il produttore di materiale illecito, di evitare la
sanzione), l'impossibilità di tracciare confini definiti quando ci si esprime
in termini di "apparenza" e i dubbi in merito al fine realmente perseguito
dal legislatore, ufficialmente l'integrità psico-fisica dei minori,
ovviamente esistenti (e non anche "apparenti").
Forse, proprio a causa di questi aspetti problematici e delle critiche
conseguenti, la previsione è stata, però, soppressa durante il passaggio in
Commissione. Non così è stato per le regole sulla pedopornografia "virtuale"
vale a dire quella costituita da "immagini realizzate con tecniche di
elaborazione grafica non associate in tutto o in parte a situazioni reali, la
cui qualità di rappresentazione fa apparire come vere situazioni non reali" e
che molti hanno inteso diretta alla repressione del fenomeno "hentai"
(fumetti di origine giapponese, manga e anime erotici con contenuti spesso
sessualmente espliciti, talvolta aventi con personaggi chiaramente minorenni).
Come anticipato, la previsione della punibilità della pedopornografia "virtuale"
è passata all'Aula, ma è bene chiarire che, come si può agevolmente
desumere dalla definizione di cui sopra, essa non coincide con i fumetti veri e
propri. Per la legge è pur sempre necessario l'utilizzo di immagini o
porzioni di esse ritraenti un minore e successivamente elaborate in modo
realistico; e i fumetti, per quanto possano essere sofisticati, sono pur sempre
disegni.
Particolarmente critica, infine, è risultata essere la posizione dei
provider. Il testo originario prevedeva, anzitutto, l'inserimento, nel codice
penale, dell'art. 528-bis con rinvio all'art. 528 c.p. (relativo alle
pubblicazioni oscene), di fatto rendendo i provider lunga mano della giustizia.
Secondo detta disposizione, infatti, era contemplata la punibilità del provider
che non avesse ottemperato all'ordine dell'autorità di impedire la
trasmissione di materiali illeciti. Disposizione superflua, attesa l'esistenza
di principi generali sufficientemente chiari, e, come tale, di breve vita.
Cancellata questa regola, ne sono, però, rimaste altre parimenti vincolanti
(anche perché correlate a sanzioni di una certa gravità) per i tutti i "fornitori
dei servizi della società dell'informazione resi attraverso reti di
comunicazione elettronica":
- in primis, l'obbligo di segnalazione, ad un apposito Centro regolato
dallo stesso DDL, sia degli utenti che distribuiscono materiale illecito che
delle informazioni contrattuali agli stessi relative; disciplina, a ben vedere,
analoga a quella introdotta con il già molto discusso DLgs 70/2003;
- in secondo luogo, l'obbligo di predisposizione di filtri atti ad impedire l'uso
delle fonti illecite individuate con decreto ministeriale redatto secondo le
segnalazioni giunte al citato Centro, misure, peraltro, affini a quanto
contemplato dal "Codice di autoregolamentazione Internet@Minori"
(sottoscritto soltanto da una minoranza di provider italiani e, comunque,
scarsamente efficace, non godendo di forza di legge).
Il cammino del disegno di legge, malgrado le prime correzioni sulla
pedopornografia "apparente" e il ruolo dei provider, si annuncia, in ogni
caso, ancora pieno di ostacoli proprio perché relativo ad un argomento assai
delicato, con le sue implicazioni morali ed i suoi equilibri (specie riguardo la
telematica) assai delicati.
Di certo, alcuni affinamenti della legge già vigente sarebbero stati forse più
auspicabili. Nell'interesse di tutti: degli inquirenti che necessitano di
regole più chiare e dei cittadini che, comprensibilmente, non vogliono trovarsi
indagati (per reati tanto infamanti) per il solo fatto, ad esempio, di aver
visitato, per errore, un sito dai contenuti illeciti.
D'altro canto, in luogo di specificazioni spesso inutili, superflue e
dannose per la certezza del diritto e di scelte punitive non sempre
comprensibili e condivisibili, sarebbe stato più opportuno potenziare
effettivamente la collaborazione internazionale contro la pedofilia e la
pedopornografia, ancora troppo indietro rispetto al dettato della Convezione di
Budapest sul cybercrime (datata novembre 2001.).
In questo campo, è chiaro che la diplomazia è ancora politicamente - e
colpevolmente - inerte nei confronti di quei Paesi che sui turpi traffici
basano larga parte della propria economia. Come dire: fate pure quello che
volete a casa vostra, noi colpiremo gli ultimi anelli della catena e questo ci
salverà la coscienza. Auguriamoci, invece, che si capisca definitivamente che
la priorità è la salvaguardia dei bambini e non tanto la mera punizione, "a
cose fatte", di chi traffica materiali la cui carica criminale si è già, in
larga parte, tragicamente stemperata con la produzione.
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