La sigla DRM sta per Digital Rights Management, ovvero "gestione
dei diritti digitali", ma molti oramai la interpretano come Digital
Restrictions Management, ossia "gestione delle restrizioni digitali". Già,
perché sino ad oggi (ed anche nel prevedibile futuro) tutti i sistemi di DRM
proposti dall'industria non hanno fatto altro che una cosa: limitare i
possibili utilizzi da parte dell'utente di una risorsa (testo, musica, video,
software.) coperta da diritti. In modo spesso maldestro e controproducente,
oltretutto: così da creare un sacco di fastidi all'utente legittimo o in
buona fede, senza tuttavia limitare realmente i fenomeni di copia sistematica da
parte dei professionisti del crimine. Come scrive Andrea
Monti nel suo intervento in questo forum, l'unico risultato sicuro dei DRM è una limitazione della
libertà di pensiero (DRM: l'inaccettabile limitazione dei diritti dell'utente).
Eppure oggi l'industria dell'intrattenimento sta
chiedendo ai produttori di sistemi audio-video e ICT meccanismi di DRM sempre
più evoluti e pervasivi, convinta che solo attuando una rigorosa prevenzione a
tappeto sull'utilizzatore finale si potrà arginare il dilagante fenomeno
della copia indiscriminata e dell'abuso di materiali protetti da copyright.
Ancora una volta dunque, in buona o (più probabilmente) in cattiva fede, si
travisa la reale natura di un problema, spacciando per questione tecnica ciò
che non lo è; e si chiede al mondo della tecnica una soluzione operativa ad un
problema che invece deve essere affrontato su altri tavoli, perché non può
essere risolto (solo) con questioni tecniche.
Per di più tutto ciò che si chiede alla tecnica è di
limitare la capacità dell'utente di disporre a proprio piacimento della
risorsa "protetta", cosa che spesso ne inibisce anche usi assolutamente
legittimi e va addirittura in conflitto con alcuni elementari principi di legge.
In pratica dunque si è scelto deliberatamente di vessare solo l'anello finale
della catena, ossia l'utente fruitore, perché più facilmente identificabile
e soprattutto più indifeso; tralasciando invece di agire strutturalmente su
tutti gli altri livelli della filiera, dove invece è conveniente mantenere
inalterato lo status quo.
Per fortuna qualcosa ogni tanto si muove contro questo
assunto diabolico. Proprio recentemente, ad esempio, una corte francese
si è pronunciata apertamente contro i meccanismi di protezione dalla copia dei
DVD, stabilendo che essi contrastano col legittimo diritto dell'acquirente di
farsi una copia ad uso personale, anche su supporto differente da quello
originale, del prodotto regolarmente acquistato; ed ha anche affermato che la
presenza di meccanismi anticopia andrebbe segnalata con grande evidenza sulla
confezione dei DVD, così che l'utente possa evitare l'acquisto del prodotto
se ritiene sgradita o indesiderata la loro presenza.
Il problema vero, che l'industria dell'intrattenimento
non vuole affrontare perché ne scardinerebbe le stesse basi, è che i
meccanismi tecnici di DRM non funzionano e non funzioneranno mai. Il problema
della salvaguardia dei diritti non è tecnologico, ma economico e legale, nel
senso che per risolverlo adeguatamente occorre ripensare l'intero modello
concettuale del diritto d'autore e della distribuzione delle opere. Ignorare
questa realtà è futile, perché prima o poi la situazione esploderà e l'industria
dovrà adeguarsi o perire; attaccarsi alla tecnica per impedire sostanzialmente
ogni forma di copia "non autorizzata" è un tentativo non solo miope ed
antistorico, ma soprattutto destinato al sicuro fallimento.
Naturalmente questo tentativo viene fatto perché in passato
ha sempre funzionato. almeno in apparenza ed almeno per qualche tempo. In
effetti nei tempi andati era assai più semplice mettere delle barriere fisiche
alla "fuga delle idee": tutti i mezzi tecnologici per la propagazione della
conoscenza erano costosi, complessi e farraginosi, ossia di scarsa diffusione e
fuori della portata del comune cittadino, cosicché risultava facile per le
autorità controllarne i pochi e noti utilizzatori.
Ma, in passato come oggi, il progresso si è sempre mosso
nella direzione della democratizzazione o popolarizzazione delle tecnologie,
rendendo sempre più facile ed economico, e quindi alla portata di tutti, ciò
che in passato era difficile e costoso e dunque alla portata di pochi.
Rimanendo, tanto per fissare le idee, nel dominio della parola stampata, è
chiaro che quando i torchi da stampa erano oggetti rari, era facile controllarne
la diffusione e in certa misura l'uso; è stato invece sempre più difficile
imporre un paragonabile livello di controllo sulle macchine da ciclostile prima
e sulle fotocopiatrici poi, ed è pressoché impossibile farlo oggi sulle
stampanti laser.
In passato la "protezione dalla copia" era dunque un
gradito ma non intenzionale effetto collaterale della complessità tecnologica
degli strumenti di memorizzazione e riproduzione. Era ovviamente impossibile per
una persona qualsiasi duplicare un disco fonografico a 78 giri dei primi decenni
del '900, perché semplicemente la tecnologia per farlo non era disponibile,
per ovvi motivi di costo.
Mezzo secolo dopo la duplicazione di un disco in vinile era ancora impossibile,
ma il riversamento dei suoi contenuti su un altro supporto era invece diventata
alla portata di tutti, grazie alla commercializzazione massiccia da parte di
Philips del suo economico registratore portatile K7, basato sul pratico ed
innovativo nastro a cassette. Col CD le cose sono andate anche peggio: la
duplicazione del supporto è rimasta tecnologicamente fuori della portata dell'uomo
comune solo per pochissimi anni, in quanto ben presto l'industria ha cominciato
a sfornare masterizzatori sempre più economici e veloci.
Per inciso, uno dei motivi per cui il problema della copia
non autorizzata affligge soprattutto i dati digitali è che la copia di dati
analogici (ad esempio un nastro VHS) è intrinsecamente più difficile e costosa
di quella digitale, richiede più tempo e produce copie di qualità inferiore
all'originale. La copia digitale invece è più pratica e veloce, dunque meno
costosa, e per di più produce copie identiche all'originale, quindi si presta
a produzioni di massa senza scadimento di qualità. D'altronde è proprio per
questi motivi che l'industria è passata dall'analogico al digitale!
In passato, inoltre, si potevano esercitare azioni di
controllo anche sui supporti, per limitarne l'utilizzo a fini di diffusione
illecita di opere protette. Tale controllo poteva avvenire tanto a monte, per
prevenire la copia, che a valle di essa, per impedire la diffusione delle copie
eventualmente effettuate. Un esempio del primo tipo di restrizione riguardava ad
esempio la musica suonata e stampata: limitando adeguatamente la diffusione
delle partiture a stampa si tutelava egregiamente la proprietà intellettuale
dei brani da essi rappresentati. Forse il caso più noto che riguarda questo
tipo di politica protezionista è quello legato al famosissimo Miserere
di Gregorio Allegri, un brano a cappella composto nel 1514 su richiesta
di papa Urbano VIII per essere cantato nella Cappella Sistina durante le
funzioni della settimana santa, ed in particolare nei giorni di mercoledì e
venerdì santi.
Il brano era di una tale ineffabile bellezza che, per evitare
che venisse copiato o imitato, ne venne formalmente limitata l'esecuzione in
pubblico ai soli due eventi solenni per cui era stato commissionato, e venne
altresì proibito a chiunque di effettuare copie o trascrizioni della partitura
originale pena la scomunica. Questo "meccanismo di tutela dei diritti"
funzionò egregiamente per oltre due secoli: benché infatti di tanto in tanto
qualche corte europea annunciasse di avere una presunta copia del Miserere,
nessuna di esse mostrava realmente quei caratteri di bellezza e complessità del
brano originale che veniva eseguito nella Sistina solo due volte l'anno.
Ci volle nientemeno che Mozart per. infrangere la
protezione e copiare il Miserere. Appena dodicenne, giunto col padre a Roma in
periodo pasquale nell'ambito di una delle sue tournee per le corti europee, il
giovane Amadeus venne portato ad assistere alla funzione solenne del mercoledì
santo ed ebbe così modo di ascoltare estasiato l'antico e tutelatissimo brano
dell'Allegri. Nel pomeriggio, tornato in albergo, il fanciullo prodigio
trascrisse su carta da musica l'intera partitura che aveva mandato a memoria
durante l'ascolto della mattina! Non contento di ciò, fece in modo di tornare
ad assistere alla funzione del venerdì santo per poter correggere alcune
piccole incertezze che gli erano rimaste dal primo ascolto. Qualche tempo dopo
il manoscritto venne ceduto allo storico inglese Charles Burney che, una volta
tornato a Londra, lo fece pubblicare a stampa. La Chiesa a questo punto
cancellò tutti i vincoli di segretezza e acconsentì a considerare il brano,
come diremmo noi oggi, "di pubblico dominio", cosa che ne fece un vero e
proprio best-seller religioso per almeno un altro secolo.
Oggi l'arma di chi vuole proteggere la proprietà
intellettuale su un brano musicale o un filmato memorizzati in forma digitale
non è più la scomunica, ma la crittografia. Il concetto che guida coloro che
escogitano soluzioni anti-copia è grosso modo sempre lo stesso: il materiale da
proteggere viene "marcato" crittograficamente in qualche modo, più o meno
nascosto ed intrusivo, così che il dispositivo che verrà chiamato a suonarlo o
visualizzarlo potrà accorgersi della limitazione imposta e prendere le
opportune contromisure per limitarne gli utilizzi illeciti.
Teoricamente tutto fila liscio, ma all'atto pratico sorgono
due gravi problemi: da un lato è difficile, per un dispositivo chiamato a
riprodurre un brano, capire se quel particolare utilizzo sia lecito o no; dall'altro
è difficile impedire ad un utilizzatore legittimo un uso illecito del materiale
che ha legittimamente acquistato. L'unica alternativa è dunque proibirgli tutti
gli utilizzi al di fuori dei più elementari ed innocui, una scelta draconiana
che ovviamente non attira le simpatie di nessuno (e spesso attira anzi poderosi
fulmini legali).
Questa posizione apre inoltre tutta una serie di
problematiche nuove e spinose, che al momento nessuno ha ancora affrontato
seriamente. Ad esempio: il mio bel contenuto protetto comprato oggi, fra qualche
anno potrebbe diventare legalmente privo da diritti in quanto essi saranno
regolarmente scaduti: ma come faranno il disco ed il lettore a saperlo, ed a
consentirmi di conseguenza l'uso più ampio e libero del mio prodotto?
Mantenere le limitazioni all'utilizzo dopo la scadenza dei diritto diventa
ovviamente un vero e proprio illecito perpetrato dall'industria ai danni degli
acquirenti, ma la tecnologia attuale non consente di "sproteggere" a tempo
materiale protetto.
Tuttavia il vero punto debole concettuale è che se l'utente
è legittimo ma non in buona fede, nessun blocco o limitazione potranno
impedirgli di utilizzare in modo illecito del materiale ottenuto lecitamente.
Inoltre ogni limitazione tecnologia è superabile, basta avere solo abbastanza
tempo e soldi ovvero motivazione. E la motivazione, solitamente economica, è
quella che favorisce il pirata: se il costo per l'utente finale del prodotto
legittimo fosse basso, questi non avrebbe interesse ad andare dal pirata per
pagare di meno; e il pirata non avrebbe interessa a fare il pirata se i suoi
margini fossero ridottissimi. Imporre misure di protezione per poter continuare
a mantenere artificiosamente alti i prezzi dei prodotti è una strategia
perdente in partenza.
Inoltre c'è sempre da considerare che la protezione si
può aggirare anche costruendo dispositivi di lettura non dotati delle funzioni
di enforcement delle limitazioni. Finché esisteranno PC in libera
vendita, con sistemi operativi non proprietari ed open source, e con la
possibilità per gli utenti di scriversi da sé e scambiarsi i propri software,
nessuna protezione logica avrà modo di durare a lungo. L'unica strada dell'industria
per combattere questa battaglia sarebbe quella di riuscire ad inibire la
produzione e la diffusione di dispositivi e computer "indipendenti",
imponendo a tutti i mercati mondiali un unico prodotto standard proprietario e
"blindato" che possa così effettuare l'enforcement delle
limitazioni previste.
Uno scenario del genere, per quanto apocalittico possa
sembrare, è già stato pensato: si chiama Palladium, e prevede proprio un forte
controllo da parte dell'industria sulle piattaforme digitali. Se ciò si
realizzasse ci troveremmo in un mondo in cui, a confronto, gli incubi combinati
di "1984" e "Fahrenheit 451" sembrerebbero rose e fiori. Per fortuna una
prospettiva di questo tipo, nonostante lo strapotere e le attività di lobby
dell'industria dell'intrattenimento, sembra irrealizzabile. A parte che
molti governi europei dimostrano più buon senso di quello americano quando si
tratta di questioni del genere, va tenuto presente che basterebbe la presenza di
un solo programmatore con un solo PC "ribelle" a minare tutta la costruzione
di sicurezza; quindi, a meno di adottare tecniche di controllo sociale a tappeto
come nemmeno la Stasi o il KGB negli anni d'oro hanno mai sognato, la cosa
appare francamente irrealizzabile.
Si tratta ora di vedere quanto tempo ci metterà l'industria
a capire che il controllo tecnologico sui dispositivi è sbagliato ed
antistorico, e a cambiare di conseguenza il proprio atteggiamento. Purtroppo,
come ci dice ancora Andrea Monti (DRM: l'inaccettabile limitazione dei diritti dell'utente)
non sembrano esserci molti segnali che inducano
all'ottimismo.
|