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 Nomi a dominio

Finalmente i nodi vengono al pettine
di Manlio Cammarata - 22.03.01

La cronaca in poche righe.
Venerdì 16 marzo si svolge a Roma l'assemblea della cosiddetta Naming Authority, l'organismo che "detta le regole" per la registrazione dei nomi a dominio. Una riunione agitata, in cui si contrappongono interessi e visioni della Rete difficilmente conciliabili. Vince una linea che si potrebbe definire "riformista", il presidente Allocchio è rieletto, c'è un nuovo vicepresidente, Frontera, nel comitato esecutivo ci sono diversi nomi nuovi (vedi il comunicato).
Martedì 20 aprile Il Sole 24 Ore dà notizia di un accordo tra l'Istituto per le applicazioni telematiche del CNR e InfoCamere (la società consortile delle Camere di commercio), che prevede lo scambio delle informazioni tra i due enti per quanto riguarda i nomi a dominio richiesti e registrati dalle imprese italiane (vedi il comunicato).

E scoppia la bufera via e-mail nella lista della Naming Authority.
Infatti l'accordo è stato siglato dal direttore dello IAT, che è l'ente al quale spetta l'iscrizione dei nomi nel registro del TLD ".it". Il professor Denoth avrebbe "scavalcato" la NA, un'assemblea di circa trecento persone alla quale la Registration Authority ha "delegato" la definizione delle "regole di naming".
Si chiede di conoscere il contenuto dell'accordo e si avanzano ipotesi più o meno improbabili sui suoi aspetti giuridici: il diritto dello IAT di comunicare i dati ad altri soggetti, cosa ne farà InfoCamere delle informazioni sui nomi a dominio delle imprese e via discorrendo (un resoconto efficace è su Punto informatico).

In tutto questo bailamme sembra che nessuno abbia afferrato i veri termini della questione: vengono al pettine, tutti insieme, i nodi cruciali dello sviluppo dell'internet in Italia (e non solo in Italia). Vediamo i punti essenziali:

1. L'internet si è sviluppata con l'impeto che conosciamo grazie alla sua indipendenza da strutture burocratiche, controlli statali e formalità varie. Non nell'anarchia, come si dice spesso, ma con una efficacissima forma di autogoverno, fondato su regole accettate da tutti i soggetti coinvolti.
In questa prima fase gli interessi economici erano assenti o quasi, e c'era una sostanziale identità fra gli "utenti" della Rete e i suoi "governanti". Si trattava, in altri termini, di una specie di grande "club".

2. Lo sviluppo dell'internet, grazie alla facilità di uso dovuta al world wide web e alle interfacce grafiche ha portato all'aumento esponenziale del numero degli utenti, che ora non si riconoscono più nei "governanti" e non sono interessati alla definizione delle regole interne. Ai nuovi utenti interessa "usare" la Rete, che si è rivelata un potente motore di sviluppo economico e quindi ha messo in moto interessi colossali. Da più parti si è tentato e si tenta di "mettere le mani sull'internet".
In questa situazione l'autogoverno non basta più: occorrono interventi normativi, possibilmente limitati e leggeri. L'internet non è più un club: è una componente essenziale del mercato globale e, come tale, richiede regole certe. Proprio come i mercati finanziari, la concorrenza tra le imprese, i rapporti commerciali, la tutela dei consumatori e via elencando.

Questi problemi si riflettono nell'ICANN, la struttura che dovrebbe gestire a livello internazionale le regole della Rete, in particolare per le questioni relative ai nomi a dominio. Nell'ambito dell'ICANN si sta svolgendo un dibattito proprio sul ruolo che i governi devono avere nella definizione delle regole dell'internet: il nodo è proprio quello dei confini tra l'autogoverno e l'intervento degli stati e degli organismi internazionali.
Fin qui gli aspetti generali. Ora vediamo la situazione in Italia.

La funzione di registro dei nomi a dominio ("Registration Authority) sotto il ccTLD "it" è svolta dall'Istituto per le applicazioni telematiche (IAT) del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR). La qualificazione giuridica di questa attività è abbastanza complessa e in qualche misura anomala. Infatti l'attività di gestione del registro è regolata da tre diverse "fonti": a) una serie di passaggi di natura amministrativa, che tuttavia non sembrano avere una solida base in una legge dello Stato che qualifichi la natura del registro; b) le regole, soprattutto di natura tecnica, dettate da una struttura non ancora internazionale - l'ICANN è infatti ancora sotto lo stretto controllo del ministero del commercio degli USA; c) le deliberazioni di un'assemblea, la "Naming Authority", formalmente esterna allo IAT e al registro, la cui funzione giuridica è incerta sul piano giuridico e la cui legittimazione a dettare regole a un'amministrazione dello Stato (qual è lo IAT) è tutta da verificare.

Tuttavia il sistema ha funzionato fino a quando gli interessi economici che insistono sulla Rete, e in particolare sul sistema di registrazione dei nomi a dominio, non hanno messo in luce i difetti intrinseci di un sistema disegnato per una situazione del tutto differente.
Si è giunti così al pesante tentativo di ingerenza statale espresso nel disegno di legge "Passigli", che non teneva in nessun conto lo "status quo". La forte e unanime reazione della Rete allo sconsiderato progetto sembra abbia avuto effetto e non si parla più di un decreto-legge. A meno di sorprese dell'ultima ora.

In questo contesto si colloca la notizia dell'accordo tra IAT e InfoCamere. I contenuti del documento si riassumono in poche punti:
a) si attua un collegamento telematico tra i data base dei due enti;
b) il registro dei nomi a dominio può verificare negli elenchi delle Camere di commercio se i nomi di cui è stata chiesta la registrazione corrispondano a ditte, marchi registrati o altre denominazioni protette (con i limiti derivanti dal ritardo nell'aggiornamento di alcuni archivi);
c) i nomi a dominio registrati vengono acquisiti da InfoCamere per l'iscrizione nel Registro delle imprese e nel REA (Repertorio delle notizie economiche e amministrative), secondo le disposizioni contenute nel decreto del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato del 7 agosto 1998.

Questo accordo è in attuazione della normativa statale che prevede lo scambio di informazioni tra le pubbliche amministrazioni, ai fini della semplificazione amministrativa, anche con il collegamento dei rispettivi archivi informatizzati (vedi il Testo unico sulla documentazione amministrativa, in particolare l'art. 43). Il trattamento dei dati personali oggetto dello scambio di informazioni è regolato dalla legge 675/96, art. 20, comma 1, lettere b) ed e).
E allora dov'è il problema?

Il problema è che questo semplice accordo tra due pubbliche amministrazioni, in attuazione di norme di legge, è estraneo alla tradizione di autogoverno della Rete che si esprime nella Naming Authority. E' l'economia globale che irrompe nel vecchio sistema e provoca la comprensibile reazione dei custodi dello status quo.
Ma presenta anche un aspetto positivo: dimostra ancora una volta l'inutilità e anche il potenziale pericoloso di iniziative come il DDL "Passigli", che disegnava una complicata struttura burocratica per ottenere lo stesso effetto di un collegamento telematico tra due database, per di più già previsto dalla normativa vigente.

Alla fine della storia i nodi da sciogliere restano quelli più volte segnalati su queste pagine: l'assetto giuridico dell'ente di registrazione, i problemi normativi dovuti alla sua natura "ibrida" nazionale e internazionale, la conseguente identificazione e qualificazione dei soggetti legittimati a dettare le regole sulla titolarità dei nomi a dominio nei diversi settori di competenza.
Ora non si può più fare finta di niente: si deve prendere atto che questi nodi esistono e devono essere sciolti. E che non è possibile farlo né con le deliberazioni di una "assemblea studentesca", né con interventi normativi che ignorano il reale funzionamento della Rete e non tengono conto del contributo che può essere dato dalle persone e dalle organizzazioni che hanno costruito l'internet e la fanno funzionare.