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 Pubblica amministrazione e open source

Forse è incominciata una rivoluzione
di Manlio Cammarata - 16.11.2000

Potrebbe venire un futuro in cui si parlerà del predominio di Microsoft come dell'ancien régime dell'informatica. Già oggi,  dopo solo mezzo secolo di storia, è possibile distinguere tra alcune epoche ben definite (quella dei mainframe, quella dei "mini"...), e dunque non è fantascienza l'idea un mondo in cui il mercato dei programmi e dei sistemi operativi veda una larga competizione tra diverse industrie, con una forte presenza di piccoli produttori e un intenso scambio di esperienze, di soluzioni, di "pezzi di codice" gratuiti o a basso costo. Insomma, che il mondo "distribuito" del software aperto si imponga come modello generale al posto di quello di oggi, che ha il marchio delle finestre in posizione di assoluto predominio e una disordinata massa di competitor che cerca di raccogliere le briciole o occupare modeste posizioni di nicchia.

Prima di esaminare le premesse di questo possibile scenario, è opportuno ricordare quali sono le caratteristiche e i vantaggi dell'open source, senza trascurare gli aspetti negativi.

  • Con l'espressione open source (introdotta in tempi recenti) si indica un modello di diffusione dei sistemi operativi e dei programmi caratterizzato da due elementi essenziali: il primo è la diffusione del "codice sorgente", cioè delle istruzioni scritte dagli umani per far funzionare le macchine, in modo che chiunque ne abbia la capacità possa capire come sono fatte, suggerire correzioni, proporre miglioramenti e aggiunte; il secondo è la gratuità o il basso costo dei codici stessi e delle soluzioni applicative che su tali codici sono sviluppate.
    Invece l'attuale sistema industriale, del quale Microsoft è il più importante ma non l'unico protagonista, tiene segreto il codice sorgente e vende a caro prezzo sia i prodotti finiti, sia gli strumenti per costruirli.

  • I vantaggi dell'open source possono essere così riassunti:
    a) trasparenza
    dei prodotti software, con la possibilità di controllare che cosa c'è realmente dentro e di modificarli liberamente per adattarli a specifiche esigenze. Per capire quali possano essere i problemi di sicurezza del software "chiuso" si veda l'articolo di D. W. Jones in questo stesso numero, nel quale si spiega come siano possibili perfetti brogli elettorali "in ambiente Windows" (il riferimento alle elezioni presidenziali americane è esplicito);
    b) non dipendenza
    da un singolo fornitore, ma possibilità di scegliere su un mercato più vasto e concorrenziale, con evidenti riflessi sui prezzi;
    c) sensibili risparmi
    che derivano dalla "riusabilità" dei codici e delle applicazioni, non legata ai contratti-capestro oggi imposti dall'industria del software: non è vero che "l'open source è gratis", come a volte si afferma con una certa superficialità, ma è la materia prima che costa poco o nulla, mentre il lavoro di personalizzazione deve essere pagato;
    d) sviluppo delle economie locali e dell'occupazione
    , determinato dal fatto che la produzione degli applicativi può essere affidata ad aziende indipendenti, invece di spedire oltre l'oceano miliardi e miliardi di cosiddetti "diritti d'autore".

  • L'aspetto negativo, in questa fase, è dato da una scelta di applicazioni ancora non abbastanza vasta e da una non completa interoperabilità. In conseguenza di questi due fattori, è  necessario di ricorrere all'intervento di specialisti nella fase dell'avviamento e nell'aggiornamento di sistemi informatici con applicazioni open source.

Quest'ultimo aspetto rappresenta l'obiezione più seria che viene sollevata quando si parla della possibile introduzione del software aperto nella pubblica amministrazione italiana. Ma è chiaro che solo una presa di posizione "politica" può portare al superamento delle difficoltà. Di fatto il passaggio all'open source è anche un problema di cultura: nel dibattito che si è svolto il 10 novembre scorso nell'ambito  dell'annuale Linux Convention, il rappresentante dell'AIPA ha obiettato che  non ci sono aziende che offrano alla pubblica amministrazione programmi open source. Dovrebbe essere evidente che fino a quando la PA non dimostrerà un interesse reale verso il software aperto, nessun fornitore si impegnerà nella messa a punto e nell'offerta di soluzioni si questo tipo.

Come è già stato scritto su queste pagine, la questione open source nella pubblica amministrazione si pone oggi, perché fino a poco tempo fa era veramente difficile immaginare soluzioni diverse. Ma che i tempi siano maturi è dimostrato anche dalle numerose iniziative che sono segnalate da ogni parte del mondo. Scriveva Giuseppe Caravita sul Sole 24 Ore del 4 ottobre scorso:

Il 56% delle grandi corporations Usa dichiara di averlo adottato, nel  proprio portafoglio di applicazioni e di software. Si tratta di Office, > oppure di Windows? No: è quel brutto anatroccolo dell'Open Source software (Linux, Apache, Sendmail, per citare solo gli ambienti più diffusi) che,  sottoposto nel luglio scorso a un test da parte della Forrester Research su un campione di big, ha dato un responso sorprendentemente alto.
Nè si tratta, come mostravano analoghi sondaggi condotti solo qualche  semestre fa, di una sia pur diffusa attività di sperimentazione. Il 24%  delle aziende, infatti, oggi dichiara l'uso dell'Open Source in applicazioni produttive...
I fattori di spinta appaiono prevalere, e la grande industria Usa li sta scoprendo a poco a poco, affidandosi più a nomi come  Ibm che alle nuove imprese del settore. Ed è un trend misurabile che, tradotto in cifre, porta gli analisti della Forrester a delineare uno  scenario a medio termine di notevoli trasformazioni in tutta l'industria del software...
Già oggi, del resto, l'indagine segnala tre vantaggi concreti nelle esperienze degli utenti. In primo luogo la maggiore indipendenza dai fornitori. Con l'esempio della Ford che, su un problema di manutenzione Linux, ha potuto ruotare facilmente sia sui servizi di Red Hat che su  quelli di Ibm... 
Risultato: secondo la Forrester, al 2004, il costo globale delle licenze software, almeno negli Usa, dovrebbe calare del 20%. In primo luogo nell'area dei siti Web e dei sistemi operativi per server. Inoltre l'offerta di risorse umane di programmazione dovrebbe espandersi rapidamente, in primo luogo per l'ingresso sulla scena della Cina, che ha lanciato una massiccia campagna di adozione di Linux...

C'è da aggiungere che diversi Paesi europei hanno imboccato la strada dell'open source nella pubblica amministrazione o nelle istituzioni: prima Francia e Germania, poi anche la Danimarca hanno avviato iniziative concrete.
Ancora, non va trascurata l'importanza di un'iniziativa a vasto raggio: la Eurolinux Petition, indirizzata alla Commissione europea contro la prospettiva della brevettabilità del software. Un'idea, quella della brevettabilità del sftware, caldeggiata dalle solite multinazionali., che chiuderebbe definitivamente ogni possibilità di sviluppo della produzione di software al di fuori degli USA.

E' facile capire che il tentativo di introdurre la brevettabilità del software è una risposta dello establishment alle crescenti pressioni della comunità dei tecnologi e degli utenti delle tecnologie per la fine dello strapotere di Microsoft, ormai quasi sola nella difesa di uno status quo ormai agli sgoccioli: non ci sono dubbi che la rivoluzione sta scoppiando, ma il suo successo dipende da tutti noi.

La partita che si gioca in questi giorni è di vitale importanza: si tratta di scegliere tra la perpetua dipendenza da Redmond e le prospettive di sviluppo che possono essere innescate dal software aperto. Senza dimenticare gli aspetti della sicurezza, ben illustrati nel già citato articolo di  D. W. Jones a margine delle elezioni presidenziali americane...

Per concludere: le sottoscrizioni alla lettera aperta continuano fino al traguardo delle 2.000 firme. Ormai vicino.