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InterLex - RIVISTA DI DIRITTO TECNOLOLOGIA INFORMAZIONE

 

I bambini hanno perso la faccia: è la privacy, bellezza!

Privacy e sicurezza - Manlio Cammarata - 20 settembre 2021

La scuola è ricominciata. "In presenza", evviva! Quest'anno le TV aggiungono i problemi del Covid, ma nella sostanza i servizi sono sempre gli stessi, con le stesse immagini di piedi di pargoli e adolescenti in scarpe da ginnastica, per lo più bianche. Se per caso nell'inquadratura compare un viso, è "offuscato". Perché? E' la privacy, bellezza, la privacy! E tu non puoi farci niente!
Non è vero. Il problema non è "la privacy", ma la pervasiva "sindrome da privacy", che affligge redazioni, aziende, enti pubblici e privati.

La cancellazione dei volti dei bambini dagli schermi – e dalle pagine dei giornali – è necessaria "per la privacy", si dice. Ma è davvero così?
Nel GDPR non c'è nulla in proposito. Invece nel "codice privacy", ovvero il DLGV 196/2003 una norma c'è:

Art. 50. Notizie o immagini relative a minori
1. Il divieto di cui all'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448, di pubblicazione e divulgazione con qualsiasi mezzo di notizie o immagini idonee a consentire l'identificazione di un minore si osserva anche in caso di coinvolgimento a qualunque titolo del minore in procedimenti giudiziari in materie diverse da quella penale. La violazione del divieto di cui al presente articolo è punita ai sensi dell'articolo 684 del codice penale.

Ma che dice la norma richiamata? Ecco la disposizione nel DPR 448/98:

Art. 13. Divieto di pubblicazione e divulgazione.
1. Sono vietate la pubblicazione e la divulgazione, con qualsiasi mezzo, di notizie o immagini idonee a consentire l'identificazione del minorenne comunque coinvolto nel procedimento.
2. La disposizione del comma 1 non si applica dopo l'inizio del dibattimento se il tribunale procede in udienza pubblica.

Per completezza di informazione, l'articolo 684 del codice penale punisce con l'arresto fino a trenta giorni o con l'ammenda da 51 a 258 euro "chiunque pubblica, in tutto o in parte, anche per riassunto o a guisa d'informazione, atti o documenti di un procedimento penale, di cui sia vietata per legge la pubblicazione".
Ma la norma contempla solo "notizie e immagini idonee a consentire l'identificazione di un minorenne", e solo in un processo penale, fino a quando non c'è un pubblico dibattimento.
Dunque il divieto di pubblicazione è circoscritto a una situazione specifica, che il "codice privacy" estende – con buone ragioni – a procedimenti giudiziari anche non penali. Ma non prevede la cancellazione sistematica e generalizzata dei volti di bambini e adolescenti.

Qual è il dunque il provvedimento che impone (o imporrebbe) la scomparsa dei volti dei minori dagli organi di informazione? Ci sono due norme che si regolano la materia. La prima è l'articolo 7 del Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell'esercizio dell'attività giornalistica, previsto dalla legge 675/96 e approvato dal Garante nel 1988 (alla fine del 2018 il Garante ha emanato la versione del Codice aggiornata al GDPR, ma nulla è cambiato rispetto alla prima versione): non c'è nessun divieto di pubblicare i volti dei minori.

C'è poi la Carta di Treviso del 1990, aggiornata nel 2006 (sempre con la benedizione del Garante dei dati personali) : qui si trova l'unico, fragile appiglio, per spiegare la scomparsa dei volti dei bambini e degli adolescenti dai mezzi di informazione. Dice la Carta:

2) va garantito l'anonimato del minore coinvolto in fatti di cronaca, anche non aventi rilevanza penale, ma lesivi della sua personalità, come autore, vittima o teste; tale garanzia viene meno allorché la pubblicazione sia tesa a dare positivo risalto a qualità del minore e/o al contesto familiare e sociale in cui si sta formando;
3) va altresì evitata la pubblicazione di tutti gli elementi che possano con facilità portare alla sua identificazione, quali le generalità dei genitori, l'indirizzo dell'abitazione o della residenza, la scuola, la parrocchia o il sodalizio frequentati, e qualsiasi altra indicazione o elemento: foto e filmati televisivi non schermati, messaggi e immagini on-line che possano contribuire alla sua individuazione.

Anche qui il divieto di pubblicazione non è generale, ma circoscritto a situazioni e informazioni specifiche. E non si applica "allorché la pubblicazione sia tesa a dare positivo risalto a qualità del minore e/o al contesto familiare e sociale in cui si sta formando". In ogni caso, né la deontologia dei giornalisti né la Carta di Treviso sono disposizioni di rango legislativo.
Allora, da dove nasce questione? Lo spiega il Corriere della sera dell'8 novembre 2011 :

C'è chi specula su queste cose: davanti a una foto senza liberatoria, in nome della privacy, in tanti hanno provato a chiedere soldi al giornale. E a volte li hanno ottenuti. La sensazione è però che per evitare rogne si rischi a volte di essere più realisti del re, rinunciando a raccontare una parte importante del nostro mondo, quasi una moderna forma di censura.

Infatti, quale danno possono subire un bambino ripreso mentre ruzzola allegro in un parco giochi, un adolescente alle prese con l'esame di maturità o un neonato tra le braccia di qualcuno che cerca di sottrarlo a un difficile destino nell'inferno di Kabul? È la conseguenza di una normativa ridondante, confusa, che non produce una conoscenza sostanziale dei diritti e dei doveri in materia di protezione dei dati personali.

L'ossessione per la "privacy" porta anche a risultati che cozzano con il buonsenso. Un esempio è quello della non conoscibilità da parte di un imprenditore dello stato di salute di un dipendente. Il che suscita qualche difficoltà anche per l'applicazione dell'art. 2087 del codice civile, che prescrive: "L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro".

Mentre in questo tempo di pandemia il Garante ha ribadito che un  preside non è legittimato a sapere se un docente è vaccinato, guarito o "tamponato". Uno tra i tanti interventi e provvedimenti del Garante in materia di contrasto alla pandemia da Coronavirus, che richiederebbero un capitolo a parte. La lettura dell'apposita pagina sul sito del Garante è d consigliare a chi voglia farsi un'idea di quanti e quali ostacoli la "privacy" opponga alle iniziative delle autorità statali e locali in difesa della salute dei cittadini.

Sempre in materia di salute, un esempio significativo riguarda il fascicolo sanitario elettronico (FSE), che dovrebbe presentare un quadro completo della salute di un cittadino, importante soprattutto in caso di emergenza. Bene, "per la privacy" il cittadino può chiedere che nel FSE venga nascosta qualsiasi informazioni relativa al suo stato di salute. Per esempio, la circostanza che è affetto da AIDS. Neanche il suo medico di base può saperlo. Con le conseguenze che è facile immaginare.

Questa situazione è anche dovuta a un equivoco di fondo: la normativa iniziata con la direttiva UE del 1995 non è "sulla privacy", ma "sulla protezione dei dati personali". Con le conseguenze che vedremo ancora nelle prossime puntate.

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