Scorrono fiumi di inchiostro e di bit quando scompare un grande uomo come Stefano
Rodotà. Oggi si ricordano le sue battaglie, combattute non con lo spirito
libertario più o meno disordinato che muove tanti "rivoluzionari" di
ogni tempo, ma da giurista e da politico che aveva il rigore del Diritto
come bussola e la Costituzione come unica stella polare.
Lo ricorda su queste pagine Claudio Manganelli,
che gli fu a fianco nel primo collegio del Garante, quello in cui fu costruita
la protezione dei dati in Italia.
Lo ricorda InterLex, con la prima, lunga intervista,
rilasciata dopo appena un mese dall'entrata in vigore della legge 675. Si
concludeva così: «... questa la vedo non solo come un'intervista concessa, ma
come un pezzetto dell'adempimento di quell'obbligo di far conoscere la legge e
le sue finalità, che ci è imposto dall'articolo 31».
Non servono altre parole. Ma non posso concludere senza spendere qualche riga
dei miei ricordi personali.
Il mio primo incontro con Stefano Rodotà fu... uno scontro,
all'esame di istituzioni di diritto privato. Vinse lui, naturalmente.
Ma nel trascorrere degli anni l'immagine del difensore dei diritti civili
cancellò a poco a poco quella del feroce esaminatore. Così volli salutarlo,
tanto tempo dopo quell'esame, alla fine di un convegno alla Fondazione Basso. Ma fu lui a
venirmi incontro, con quel suo sorriso chiaro: «Ciao Manlio... leggo sempre i
tuoi articoli».
Mi sentii come se avesse detto "trenta e lode".
L'ho incontrato l'ultima volta poco tempo fa. Provato nel corpo, ma sempre
lucido - e deluso - nel pensiero. Alla fine ci siamo detti ancora una volta «ciao
Manlio», «ciao Stefano». E lui aveva qualcosa di triste nel sorriso.
|