Pagina pubblicata tra il 1995 e il 2013
Le informazioni potrebbero non essere più valide
Documenti e testi normativi non sono aggiornati

 

 Le regole dell'internet

Nuove regole e vecchi problemi
di Manlio Cammarata - 19.06.02

Sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea sono state pubblicate quattro direttive sul mercato delle telecomunicazioni e una decisione sull'utilizzo dello spettro radio; un'altra direttiva sulla privacy nei servizi è in dirittura d'arrivo, è pronta una proposta di decisione-quadro per la lotta alla criminalità informatica. Così va in pensione buona parte delle le direttive precedenti, dalla 90/387/CE in poi, compresa la 97/66/CE. Si delinea un quadro giuridico profondamente rinnovato, che imporrà anche al legislatore italiano di porre mano a delicate e complesse "ristrutturazioni" dell'ordinamento vigente.

In breve sono questi i punti cardine della riforma: a) viene operata una netta separazione tra le norme sulle infrastrutture e i servizi da una parte e i contenuti dall'altra; b) le regole sulle infrastrutture e sui servizi convergono in un unico quadro normativo, in cui l'aspetto più evidente è l'estensione del regime delle autorizzazioni generali anche ai settori prima regolati con licenze o concessioni; c) sono definiti i settori di competenza delle autorità di regolamentazione e delle autorità antitrust (in Italia l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e l'Autorità garante della concorrenza e del mercato); d) sono introdotte nuove definizioni e nuove regole per le società che detengono una posizione di dominio in "mercati rilevati".

Le quattro direttive pubblicate costituiscono un "pacchetto" coordinato. A una direttiva quadro (2002/21/CE)  fanno riferimento la  2002/19/CE, relativa all'accesso alle reti di comunicazione elettronica e alle risorse correlate e all'interconnessione delle medesime (direttiva accesso), la 2002/20/CE, relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica (direttiva autorizzazioni),  e la 2002/22/CE, relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica (direttiva servizio universale). In questo modo, e con l'aggiunta della decisione 676/2002/CE, relativa ad un quadro normativo per la politica in materia di spettro radio nella Comunità europea (decisione spettro radio), tutto il sistema è regolato in maniera coerente (almeno in teoria...) e senza la sovrapposizione cronologica di disposizioni diverse, che ha determinato non pochi problemi fino a oggi. Il tutto sarà completato con la nuova direttiva, quasi pronta, sul trattamento dei dati personali e la protezione della riservatezza nelle comunicazioni elettroniche, che sostituirà la vecchia "direttiva ISDN". Saranno così risolte, almeno in parte, le annose questioni sulle comunicazioni commerciali non sollecitate, il mail grabbing  e l'invio dei cookie.

Nulla viene innovato, fino a questo momento, per quanto riguarda i contenuti e i servizi forniti attraverso le telecomunicazioni, e in particolare il delicatissimo aspetto del controllo dei contenuti stessi. Anzi, il "considerando" n. 7 della direttiva quadro fa salva per gli Stati membri la possibilità di adottare disposizioni per "consentire la ricerca, l'individuazione e il perseguimento dei reati, anche mediante la definizione, da parte delle autorità nazionali di regolamentazione, di obblighi specifici e proporzionati applicabili ai fornitori di servizi di comunicazione elettronica".
Insomma, restano in vita le disposizioni della direttiva 2000/31/CE in materia di responsabilità dei fornitori di servizi, riprese tali e quali nella loro confusa formulazione dall'articolo 31 della legge 39/02 (si veda l'intervento di ALCEI Provider e responsabilità nella legge comunitaria 2001).

E' strano come a molti sia sfuggito che le disposizioni in questione sono del tutto incoerenti con il nostro ordinamento e persino al limite della legittimità costituzionale, perché sembrano introdurre delle ipotesi di responsabilità penale oggettiva, in contrasto con il principio che "la responsabilità penale è personale". Per raggiungere lo scopo di attribuire una colpa a chi colpa non può avere (il fornitore di servizi per i contenuti) è stato inventato dal legislatore comunitario l'istituto del "contenuto illecito", sconosciuto e difficilmente accettabile per il nostro diritto (e non solo il nostro). Si aggiunga che il citato "considerando" della direttiva quadro ipotizza che questi obblighi siano addirittura imposti dalle autorità di regolamentazione, e non per legge. C'è qualcosa che non va, perché sembra che si tratti di responsabilità di ordine penale, anche perché quelle civili sono specificamente considerate a parte.

Il punto centrale è che nel nostro ordinamento non esiste un principio secondo il quale una "cosa", materiale o immateriale, può essere classificata come legittima o illegittima. Nella nostra civiltà giuridica le leggi regolano i rapporti tra le persone, i cui comportamenti possono essere in accordo o in contrasto con le norme di volta in volta applicabili, quindi leciti o illeciti. Per esempio, se in questo articolo ci fossero notizie o commenti negativi su una persona, questa persona potrebbe adire il giudice e intentare una causa per diffamazione. Il giudice, accertata la sussistenza della diffamazione, dichiarerebbe illegittimo il mio comportamento, non l'articolo in sé.
Invece, con l'acritica riproduzione del confusamente subdolo dettato comunitario, il nostro legislatore ha suggerito l'introduzione di un nuovo concetto giuridico, quello di "contenuto illecito", che può avere conseguenze devastanti.

Infatti la norma in questione attribuisce a un comune cittadino, il provider, il potere di decidere se un contenuto è illegittimo, aggirando la competenza del giudice a decidere la liceità dei comportamenti. E' una mostruosità giuridica, che scardina il principio della certezza del diritto. Il governo dovrà porre la massima attenzione nel formulare la norma delegata, perché c'è il rischio che essa provochi un enorme contenzioso, del quale faranno le spese soprattutto i provider. Se non si porrà la dovuta attenzione a non creare disarmonie con l'ordinamento attuale, i fornitori di servizi saranno da una parte obbligati a censurare i contenuti e dall'altra a rispondere dei danni causati agli autori dei contenuti stessi, nel caso in cui il giudice (a cui spetterebbe comunque la decisione finale) non ravvisasse alcun fatto illecito nella pubblicazione di quei contenuti.

La conseguenza ultima sarà una sorta di censura preventiva da parte dei fornitori di servizi, che rifiuteranno di ospitare sui loro server contenuti provenienti da fonti diverse da quelle "sicure",  perché in qualche modo
istituzionalizzate o dotate di una grande forza commerciale.
Le soluzioni ci sono, anche perché per recepire una direttiva non è obbligatorio copiarla. Il primo passo avrebbe dovuto farlo il Parlamento con una più accorta formulazione delle legge-delega, ora è il Governo che deve rimediare, nei limiti del possibile, con il decreto delegato.