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Camera dei Deputati - Seduta del 9 ottobre 2002 - Interpellanze e interrogazioni

Iniziative per la diffusione della firma digitale - n. 2-00343; Procedura di infrazione nei confronti dell'Italia relativa al recepimento della normativa comunitaria in materia - n. 3-01022.

PRESIDENTE. L'onorevole Magnolfi ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00343

BEATRICE MARIA MAGNOLFI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, questa interpellanza reca la data del 29 maggio. Mi auguro sinceramente che lei possa rispondermi che i problemi da noi sollevati sei mesi fa siano stati risolti.
Eravamo in una fase di grande incertezza per lo sviluppo della firma digitale che secondo noi è uno degli strumenti più efficaci per la semplificazione delle procedure amministrative e per lo sviluppo delle transazioni commerciali, nonché, in una parola, per la modernizzazione del paese.
Mi piace ricordare che fu la legge n. 59 del 1997, la cosiddetta Bassanini uno, a rendere rilevante a tutti gli effetti giuridici i documenti in formato elettronico. Si tratta di una grande rivoluzione per l'Italia che soffre, più degli altri paesi, di un eccesso di burocrazia e dunque più degli altri paesi ha bisogno di snellire le sue procedure e di semplificare il rapporto fra la pubblica amministrazione, le imprese e i semplici cittadini. È un obiettivo di trasparenza, di competitività ed anche di democrazia.
Con il decreto del Presidente della Repubblica n. 513 del 1997, confermato anche dal decreto presidenziale n. 445 del 2000, l'Italia ha fatto da battistrada in Europa nella regolamentazione della firma digitale. In base a quelle regole, si è costituito l'albo dei certificatori di soggetti di natura pubblica e privata; i soggetti ammessi all'albo hanno investito somme ingenti, circa 155 milioni di euro, per allinearsi agli standard di firma digitale indicati dal Governo italiano all'epoca.
La situazione si è complicata di recente, - e questo è l'oggetto dell'interpellanza, - quando il Governo ha dovuto recepire la direttiva comunitaria n. 1999 del 1993 che prevede ulteriori tipologie di firme elettroniche. Lo ha fatto con il decreto legislativo n. 10 del gennaio scorso che tuttavia, alla data della nostra interpellanza, è ancora privo del relativo regolamento di attuazione e delle norme tecniche.
Probabilmente per questa e per altre motivazioni in ordine alla compatibilità comunitaria, la Commissione europea avrebbe avviato la procedura di infrazione nei confronti del nostro paese. Per diversi mesi si è bloccata qualsiasi attività di sperimentazione sulla firma digitale, perché l'incertezza, come è ovvio, ha sconsigliato ulteriori investimenti ed ha frenato lo sviluppo delle applicazioni.
Accanto alla firma cosiddetta forte o pesante, prevista dalla precedente normativa italiana, viene ammessa un'altra tipologia di documento elettronico, con un minore livello di sicurezza, denominata «firma debole». Questo tipo di firma, probabilmente pensato per altri sistemi giuridici, meno vincolistici del nostro, può contribuire allo sviluppo del commercio elettronico, ma di fronte a transazioni commerciali di una certa entità, che possono dar luogo ad un contenzioso, secondo molti operatori, il cittadino non sarebbe abbastanza tutelato, perché il decreto prevede l'assoluta discrezionalità del giudice. Inoltre, la firma cosiddetta forte presenta diversi e gravi problemi applicativi per la mancanza di standard codificati.
Per questo motivo i prodotti oggi sul mercato sono talora non compatibili fra loro e dunque si possono utilizzare soltanto in modo parziale. Non devo spiegarlo ad un tecnico come lei, signor ministro, ma per i profani sarebbe come se, a seconda dei ricevitori satellitari, io potessi ricevere soltanto i programmi di Telepiù o di Mediaset o della RAI o della CNN; se non c'è una piattaforma standard che valga per tutti i prodotti, il consumatore non acquista l'antenna e probabilmente nemmeno la televisione.
Analoga situazione si è venuta a creare oggi per la firma digitale: se si acquista dalle Poste spa si è costretti ad installare i software delle Poste, che è l'unico che funziona con quel prodotto di firma; se si acquista da BNL o da InfoCamere occorre acquisire i relativi software con interfaccia diversa e diverse regole d'installazione. Infine, l'utente meno esperto si arrende e torna alla firma su carta.
Sul sito del Governo ritrovo la notizia che nella seduta del Consiglio dei ministri del 2 agosto ultimo scorso era all'ordine del giorno l'esame preliminare per il regolamento di attuazione; successivamente, non ne trovo più traccia. Che fine ha fatto questo regolamento? È stato approvato, non è stato approvato? E se è stato approvato, esso risolve i problemi che ho descritto? Mi auguro di sì perché davvero l'Italia non ha tempo da perdere.
Mi auguro che una decisa accelerazione sarà data anche allo sviluppo della carta d'identità d'elettronica, vale a dire un altro strumento di firma digitale leggera. Ricordo che la sua introduzione fu decisa già dal Governo Amato, ma da allora la macchina tecnica ha camminato con grande lentezza. La fase due della sperimentazione - di cui si parla da oltre un anno - non è ancora decollata e mi risulta che i progetti presentati dai comuni devono essere ancora approvati.
Ricordo che circa 50 comuni - 52 per l'esattezza - partecipano alla sperimentazione e che i fondi stanziati all'inizio per un numero di comuni molto ristretto - circa 30 miliardi di vecchie lire - probabilmente non saranno sufficienti a coprire tutti i progetti. Per questo leggo, con qualche sorpresa, l'articolo 14 del disegno di legge finanziaria in discussione in questi giorni alla Camera. C'è scritto che, per la diffusione della carta d'identità elettronica, le pubbliche amministrazioni interessate, nell'ambito di un programma nazionale approvato con decreto dei ministri per l'innovazione e le tecnologie, dell'economia e delle finanze, della salute e dell'interno, possono procurarsi i finanziamenti necessari mediante convenzioni con istituti di credito nonché mediante forme di sponsorizzazione.
Quali sono queste pubbliche amministrazioni interessate? Sono anche le regioni e gli enti locali? In sostanza, si dice ai comuni come devono organizzare i propri servizi di innovazione? A me sembra, signor ministro, che dopo la riforma del titolo V da parte di un Governo che si dice federalista, queste siano forme di dirigismo francamente insopportabili, forse è anche anticostituzionale. Inoltre, cosa significa nella sostanza ciò? Che non ci sono risorse dello Stato per tutti quei comuni che vogliano sviluppare la carta d'identità elettronica, oltre i 50 della sperimentazione, o addirittura che non ci sono neppure per quei 50? A proposito delle sponsorizzazioni, ricordo che la carta d'identità elettronica non è un optional. Questo Governo l'ha legata - è stato annunciato più volte - ad un fatto importante quanto innovativo per il nostro paese, ossia la registrazione delle impronte digitali.
Vede, signor ministro, è tutta la lettura dell'articolo 14 che mi preoccupa, soprattutto dove si dispone l'istituzione di un fondo per il finanziamento dei progetti di innovazione tecnologica nelle pubbliche amministrazioni e nel paese. Non se ne definiscono gli obiettivi né le modalità di verifica dei risultati; si afferma che la dotazione del fondo sarà di cento milioni di euro per il 2003. Ma il punto che trovo davvero stupefacente è il seguente: si afferma che questo fondo verrà finanziato da quota parte delle riduzioni per consumi intermedi derivanti dall'articolo 12, comma 3, che concerne gli enti previdenziali, e con l'8 per cento di tagli agli stanziamenti per l'informatica. In altre parole, si pensa di finanziare lo sviluppo tecnologico con i tagli all'informatica. Questo mi pare davvero paradossale! E dove si può mai tagliare? Sono i risparmi derivanti dalla soppressione dell'AIPA? Sappiamo che, da qualche tempo, l'AIPA è in dismissione. Per la verità, avremmo voluto capirne i motivi tecnici istituzionali, perché per riportare i compiti di un'autorità indipendente sotto le competenze dirette del Ministero qualche spiegazione di merito ci vorrebbe, altrimenti rimane il sospetto di un ennesimo caso di spoils system, un altro capitolo della vicenda tutta politica che proprio in quest'aula, alcuni giorni fa, è stata definita di maccartismo straccione.
Dopo la soppressione dell'AIPA, chi svolge la delicata funzione di controllo della congruità dei prezzi e dei capitolati che è una funzione rilevantissima da punto di vista delle economie di spesa? Non si penserà certo di tagliare sul piano di sviluppo dell'e-government in cui molti comuni italiani hanno creduto, portando avanti anche autonomamente, sperimentazioni di firma digitale molto interessanti?
Vede, signor ministro, se il disegno di legge finanziaria non avrà sostanziali correzioni, ai sindaci, tra la diminuzione dei trasferimenti ed i tetti di spesa, non rimarranno altro che gli occhi per piangere. E dove andrebbe lei a tagliare se fosse un sindaco? Se fosse un sindaco della Toscana, per esempio, dove i comuni hanno avviato importanti investimenti nell'innovazione tecnologica, nel campo dei servizi alle imprese, nel campo dei servizi ai cittadini, dove andrebbe a tagliare? Se fosse sindaco della mia città, Prato, che lei certo conosce per le sue sperimentazioni avanzatissime, dove andrebbe a tagliare? Non certo sui servizi sociali, sulla salute o sull'istruzione. Sarebbe costretto a tagliare sull'innovazione, sullo sviluppo, glielo dico io che ho fatto l'amministratore, come molti in quest'aula, per molti anni. Forse sarebbe costretto a tagliare proprio su quegli investimenti che disegnano un futuro più avanzato, una migliore qualità dei servizi pubblici e, dunque, una migliore qualità della vita per i cittadini.
E poi - diciamo la verità! - questo Governo ha impresso un'evidente frenata a tutti i temi della trasparenza e della semplificazione. Lei penserà che non c'entra nulla: ma quando si approva una legge come quella sulle rogatorie internazionali, nella quale si sancisce che le fotocopie non hanno valore e che è necessario il documento autentico, vanno a farsi benedire anni di battaglie sull'autocertificazione, sulla lotta alla burocrazia e sul nuovo rapporto di fiducia tra lo Stato e i cittadini!
Veda, signor ministro, noi siamo un po' spaesati rispetto allo zigzag del suo Governo sui temi dell'innovazione: era partito con le tre «i», ma nella prima finanziaria, quella per il 2002, non si è trovato un solo capitolo di spesa che fosse riferibile allo sviluppo tecnologico. Addirittura sono stati cancellati progetti (come il personal computer per gli studenti) che erano fondamentali per l'alfabetizzazione dei giovani. Se non avevano avuto successo, si trattava di rilanciarli, di comunicarli meglio e, magari, di modificarli, ma non di cancellarli! Siamo smarriti - glielo dico sinceramente - nel sentire il Presidente del Consiglio che, con la consueta enfasi da annuncio interplanetario, parla dei piani di e-government per il terzo mondo (come si è fatto nel convegno di Palermo): non solo ci fa pensare un po' a Maria Antonietta, ma anche alla prosaica realtà dell'arretratezza informatica del nostro paese.
Lei sa meglio di me quante sono ancora le scuole italiane che non hanno neppure un laboratorio di informatica. Non sarebbe serio applicarsi a queste sfide e seguire i problemi dell'informatizzazione del terzo mondo, dei ministeri del tesoro del Ghana o degli altri paesi africani? Sappiamo - ne abbiamo anche parlato nel corso di un'audizione presso la IX Commissione (Trasporti) - di non essere certo tra i primi per quanto concerne i parametri dettati dall'agenda di Lisbona e verificati dal Consiglio europeo tenutosi a Barcellona nel maggio scorso.
Tornando allo zigzag del Governo, la lettura del DPEF presentato appena tre mesi fa aveva suscitato in noi una grande speranza: lì non solo si parla dell'innovazione, ma anche dell'e-government, dell'e-procurement, dell'e-commerce, dell'e-learning, e chi più ne ha, più ne metta: è tutto un «e-qualcosa» quel DPEF di pochi mesi fa. Si attendevano miracoli dall'innovazione. Sono state tenute conferenze stampa sulla carta d'identità elettronica, sulla firma digitale e persino sui risparmi che si possono ottenere con le gare esperite mediante procedimenti informatici, come se prima di ottenere i risparmi non fossero necessari gli investimenti!
Signor ministro, questa interpellanza costituiva un'occasione per avere uno scambio di idee con lei in quest'aula. Penso, infatti, che lei sia sinceramente impegnato su questo fronte. Proprio per questo, però, mi domando come faccia ad accettare che, a soli tre mesi dal DPEF, il disegno di legge finanziaria preveda di finanziare il fondo per l'innovazione tecnologica con il ricavato dei tagli ... all'innovazione tecnologica! Come fa a sopportare - sia detto senza malizia - che gli unici veri incentivi (cioè il contributo sul decoder e sulla banda larga) siano gestiti da un altro ministero? I salti di corrente - quelli sulla firma digitale, ma anche quelli banali della corrente che arriva nelle nostre case - sono dannosissimi in questo campo: si rischia di perdere i file precedenti e pezzi interi di memoria, comprese le memorie positive dei precedenti governi che, con grande entusiasmo, avevano lanciato i piani di e-government, il piano e-Italia nell'ambito dei più generali piani europei.
Poiché noi crediamo nell'innovazione tecnologica e riteniamo che in questo campo sia necessaria un'estrema coerenza per tutte le applicazioni che la riguardano, ascolteremo la sua risposta qui, oggi, con grande interesse.

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Magnolfi.
Il ministro per l'innovazione e le tecnologie, ingegner Stanca, ha facoltà di rispondere.

LUCIO STANCA, Ministro per l'innovazione e le tecnologie. Signor Presidente, è in atto in Italia, a partire dal 1997, un percorso normativo diretto ad attribuire alla firma elettronica e digitale piena valenza giuridica, tale da produrre effetti giuridici equivalenti a quelli conseguibili mediante la firma autografa apposta su supporto cartaceo.
Tale percorso ha attraversato due diverse fasi. In un primo momento, nel 1997, ponendosi all'avanguardia rispetto a tutti gli altri paesi europei, l'Italia ha introdotto la disciplina del documento informatico e della firma digitale.
La materia, oggetto di un intervento di delegificazione, è stata regolata con il decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1997, n. 513 (successivamente confluito nel testo unico sulla documentazione amministrativa 28 dicembre 2000, n. 445, adottato ai sensi dell'articolo 7 della legge n. 50 del 1999.
Il quadro normativo è stato poi completato con la definizione delle relative regole tecniche, approvate con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'8 febbraio 1999.
La seconda fase è quella attualmente in corso, caratterizzata dall'opera di revisione del sistema normativo italiano relativo alla firma digitale, reso necessario dal sopravvenuto intervento sulla materia da parte dell'Unione europea, che nel 1999 ha approvato la direttiva n. 93, il cui recepimento è stato disposto dalla legge comunitaria 2001 (legge 29 dicembre 2000, n. 442).
La direttiva del 1999 ha reso necessario un adeguamento della nostra normativa ai nuovi principi, soprattutto sotto i seguenti profili: previsione di diversi livelli di firme elettroniche, caratterizzati da diversi gradi di sicurezza; divieto di escludere a priori la validità di una firma, in quanto elettronica; obbligo di riconoscere la massima efficacia, nei rapporti tra privati, alla firma «forte» (e, quindi, avanzata, basata su un certificato qualificato e generata mediante un dispositivo sicuro per la creazione di una firma), corredato dalla facoltà di accreditare i certificatori delle firme, sottoponendoli ad un vaglio preventivo da parte dell'autorità preposta alla vigilanza nel settore; infine, requisiti più  rigorosi possono essere richiesti per i rapporti con la pubblica amministrazione, ma senza discriminazioni tra operatori nazionali e di altri Stati membri.
I suddetti principi sono stati puntualmente trasposti nel nostro ordinamento mediante provvedimenti predisposti da questo Governo. Si è provveduto, inizialmente, a recepire le norme comunitarie che incidevano su norme interne di rango primario con il decreto legislativo 23 gennaio 2002, n. 10, che ha introdotto i nuovi principi comunitari e che, inoltre: nel riordinare la normativa vigente sul valore del documento informatico, lo ha adeguato all'evoluzione avutasi in campo giurisprudenziale, soprattutto prevedendo che il disconoscimento della firma «forte» possa essere effettuato dal titolare soltanto attraverso la querela di falso; nel disciplinare le firme elettroniche valevoli nei confronti della pubblica amministrazione, fissa l'obiettivo (da conseguire al più tardi entro il 2005) di consentire al cittadino di utilizzare un'unica carta per dialogare telematicamente con le diverse pubbliche amministrazioni; colma una lacuna, consentendo ai certificatori stabiliti in Italia di ottenere nel territorio nazionale la certificazione dei dispositivi sicuri per la creazione di una firma (prima, per ottenere tale riconoscimento a tutti gli effetti, dovevano recarsi all'estero); infine, regolamenta, oltre alla carta di identità elettronica, la carta nazionale dei servizi, ossia lo strumento per consentire l'accesso per via telematica ai servizi erogati dalle pubbliche amministrazioni.
Si è in seguito provveduto a recepire le norme di rango secondario.
Agli inizi dello scorso mese di agosto, il Consiglio dei ministri ha approvato il regolamento attuativo del decreto legislativo, apportando modificazioni al testo unico in materia di documentazione amministrativa, che rappresenta la tappa conclusiva dell'introduzione, accanto alla firma digitale, delle diverse firme elettroniche nel nostro ordinamento.
In particolare, il suindicato regolamento completa il recepimento della direttiva comunitaria e, al contempo, adegua le norme vigenti al principio, affermato in ambito comunitario, della neutralità della norma giuridica rispetto alla tecnologia utilizzabile.
Con la nuova normativa, inoltre, si liberalizza il settore dei servizi di certificazione delle firme elettroniche, eliminando la necessità di una preventiva autorizzazione per l'esercizio di queste attività.
Il regolamento citato, oltre ad essere stato sottoposto al Consiglio di Stato per l'acquisizione del prescritto parere, è stato notificato anche all'Unione europea, dato il contenuto tecnico proprio delle norme dallo stesso recate, nel rispetto della procedura di informazione obbligatoria nel settore delle norme e regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell'informazione.
Superati questi passaggi procedurali obbligatori, il regolamento attuativo sarà immediatamente sottoposto all'approvazione definitiva del Consiglio dei ministri.
È stato, inoltre, già predisposto uno schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, recante le regole tecniche della materia, valevoli per la generazione, apposizione e verifica delle firme digitali basate su certificati qualificati, destinate a sostituire le regole tecniche precedentemente varate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'8 febbraio 1999.
Il provvedimento, anch'esso già notificato all'Unione europea, sarà approvato, in tempi brevi, alla scadenza del periodo normativamente previsto per le eventuali osservazioni da parte della Commissione europea.
Al riguardo, preme chiarire che nessuna procedura di infrazione contro l'Italia è stata avviata dalla Commissione europea in relazione al recepimento della direttiva comunitaria sulla firma elettronica.
All'esito del normale svolgimento della procedura comunitaria di notificazione delle proposte normative degli Stati membri recanti regolamentazioni tecniche, la Commissione europea si è viceversa limitata a richiedere al Governo italiano chiarimenti sul contenuto di alcune norme di recepimento della direttiva, formulando in taluni casi osservazioni di natura prettamente tecnica, che il Governo italiano ha già provveduto a recepire in uno schema di regolamento approvato dal Consiglio dei ministri, attualmente al vaglio del Consiglio di Stato.
Né poteva essere altrimenti, essendo intenzione di questo Governo varare la regolamentazione in un quadro di piena collaborazione con i servizi della Commissione e con l'obiettivo della integrale recepimento della lettera e dello spirito dei principi recati dalla direttiva comunitaria.
Non solo, dunque, la normativa recentemente varata risulta pienamente rispettosa della normativa comunitaria, ma addirittura questo Governo ha provveduto ad ovviare a dilazioni della procedura di notifica commesse dal passato Governo, che aveva omesso di notificare all'Unione europea non solo le regole tecniche sulla firma digitale varate con il decreto del 1999, ma anche le norme di rango legislativo sulla firma digitale contenute nel testo unico sulla documentazione amministrativa, inducendo la Commissione europea ad annunciare l'avvio di una procedura di infrazione per violazione dell'obbligo di notificazione all'Unione europea delle norme sulla firma digitale.
Come detto, il pieno assolvimento di questo obbligo di notifica da parte dell'attuale Governo ha sanato completamente le precedenti violazioni, bloccando - prima ancora che venissero ufficialmente avviate - le procedure sanzionatorie comunitarie.
Da ultimo, vorrei soffermarmi brevemente su un punto specifico sollevato dall'onorevole Lusetti nella sua interrogazione. Mi riferisco al supposto vizio di eccesso di delega che, ad avviso dell'onorevole Lusetti, contraddistinguerebbe il decreto legislativo n. 10 del 2002, che avrebbe regolato la carta nazionale dei servizi in difetto di una esplicita autorizzazione in materia da parte sia della direttiva comunitaria sia della legge comunitaria 2000 che ha autorizzato il recepimento della stessa.
Al riguardo, mi limito a rilevare che la carta nazionale dei servizi è un mero supporto informatico, su cui può essere memorizzata la firma digitale del titolare, per consentire di accedere per via telematica ai servizi erogati dalle pubbliche amministrazioni, permettendo l'identificazione in rete. La carta nazionale dei servizi è dunque uno strumento tecnologico concepito per permettere proprio una capillare diffusione ed un diffuso utilizzo della firma digitale, ossia della firma elettronica del livello più avanzato, al fine di semplificare ai cittadini e alle imprese l'accesso ai servizi pubblici: si tratta, quindi, di materia strettamente collegata alla firma elettronica.
D'altronde, la direttiva comunitaria - come è noto - è stata varata proprio affinché gli Stati membri dell'Unione favorissero al massimo l'introduzione della firma elettronica, prevedendo in taluni casi che essa possa addirittura essere equiparata alla firma autografa.
A tal fine, la direttiva comunitaria ha dettato delle norme di principio in materia, comuni per tutti gli Stati dell'Unione, e, per l'essenza stessa dello strumento prescelto - una direttiva, appunto, e non un regolamento -, l'Unione europea ha inteso vincolare gli Stati membri «per quanto riguarda il risultato da raggiungere, restando salva la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi», come testualmente recita l'articolo 249 del Trattato della Comunità europea.
Ed è tra questi «mezzi» che va ascritta la carta nazionale dei servizi, ossia lo strumento particolare che l'Italia ha autonomamente scelto per identificare in rete - grazie all'annessa firma digitale - colui che desideri accedere in via telematica ad un servizio reso da una pubblica amministrazione.
Il Parlamento italiano poi, mediante la legge comunitaria annuale del 2000, non ha ritenuto di trasporre direttamente la suddetta direttiva comunitaria, mediante la legge, ma ha delegato tale compito al Governo, limitandosi dunque a decidere lo strumento più idoneo per il recepimento della normativa comunitaria.
Di conseguenza, nessun rilievo di legittimità per eccesso di delega potrebbe essere mosso al decreto legislativo n. 10 del 2002 per aver regolato uno strumento su cui poter installare la firma elettronica. Grazie, signor Presidente.

PRESIDENTE. L'onorevole Folena ha facoltà di replicare per l'interpellanza Magnolfi n. 2-00313, di cui è cofirmatario.

PIETRO FOLENA. Signor ministro, non siamo soddisfatti della sua risposta. Lei ci ha letto una relazione preparata dal suo ministero e non ha interloquito con gli argomenti molto dettagliati proposti in aula dall'onorevole Magnolfi. La critica di fondo che muoviamo è relativa al fatto che le tre «i» sono state di fatto sostituite da una «l» che sta per «lentezza»; il Governo dell'efficienza, dell'impresa, dell'innovazione, dell'inglese e dell'Internet per tutti è un Governo che nel gennaio scorso ha approvato un decreto attuativo - apprendiamo dalle sue parole che questo ha ricevuto forti obiezioni in sede europea - e che ancora oggi, siamo al 9 ottobre, non ha emanato il relativo regolamento attuativo. Aspettiamo che dalla sede europea arrivino le obiezioni, le osservazioni per poter poi, secondo una tipica consuetudine italiana, sanare per via regolamentare o tramite decreti gli errori compiuti per via legislativa. Così, forse, nelle prossime settimane, con un anno di ritardo, potremmo avere il regolamento.
Nel frattempo sono stati investiti miliardi, risorse ingenti in questa enorme attività e, soprattutto, l'opportunità di semplificare in modo decisivo la vita di milioni di cittadini, di migliaia e migliaia di imprese ed attività economiche ha subito un rallentamento, inoltre è stata pregiudicata la possibilità di entrare a testa alta nel mondo dell'innovazione e del cambiamento. Lei ha ricordato - devo dire con parole che a questo proposito ho apprezzato - il fatto che nel 1997 l'Italia si mise alla testa, fu all'avanguardia (probabilmente anche per questo abbiamo rischiato di commettere qualche infrazione) in quel processo che indicava la frontiera della firma digitale quale grande possibilità di cambiamento. Da quando vi è in carica questo Governo, da quando è stato istituito il Ministero per l'innovazione, da quando siamo di fronte a normative europee chiare ed anche in qualche modo stringenti, si è persa una quantità ingentissima di tempo.
Vorrei tornare su un punto che, giustamente, è stato sollevato dall'onorevole Magnolfi: è giunto il momento di avviare, proprio in Parlamento e senza alcuna animosità, una discussione politica su tali tematiche che, mi auguro, abbia lei come interlocutore. Innanzitutto le domando cosa sia stato fatto dal Governo Berlusconi nel campo dell'innovazione. Nella legge finanziaria per il 2002 il ministro per l'innovazione valutava i programmi da adottare da parte delle pubbliche amministrazioni per diminuire i costi tramite l'impiego di nuove tecnologie. I risparmi eventualmente ottenuti - questo si prevedeva allora - sarebbero stati destinati al finanziamento di progetti innovativi nel settore informatico. Si trattava di un gioco a somma zero nel quale non vi era alcuna risorsa nuova per l'innovazione. Nella legge finanziaria per il 2003 il Governo prevede di destinare 100 milioni di euro - meno di 194 miliardi di lire - all'istituendo fondo per il finanziamento di progetti per l'innovazione tecnologica nelle pubbliche amministrazioni, reperiti, lo ha detto la collega, assottigliando gli stanziamenti già iscritti nel bilancio dello Stato per l'informatica - l'8 per cento di questo capitolo - ed utilizzando una parte della riduzione delle spese di funzionamento degli enti previdenziali. Per la seconda volta, siamo di fronte, anche in questa seconda legge finanziaria, ad un gioco a somma zero nel quale non è prevista alcuna nuova risorsa per l'innovazione.
Io che sono un massimalista, un estremista, un movimentista, vorrei allora leggere il documento della Federcomin Confindustria, cioè l'organizzazione di settore della Confindustria, la quale testualmente ha detto: di fronte all'indicazione delle misure contenute nel testo della finanziaria approvata dal Governo, la Federcomin Confindustria non può che auspicare un forte ampliamento dei provvedimenti in sede parlamentare. Appare evidente, in un momento di difficoltà del settore ICT, che vi è la necessità di recuperare, con misure e risorse ben più consistenti, uno degli obiettivi primari del Governo, che aveva indicato nell'innovazione tecnologica una colonna portante delle politiche di sviluppo. Questa strategia del Governo ha creato aspettative ed iniziative a tutti i livelli che non possono essere disattese. La finanziaria come appare oggi - conclude Confindustria - non sembra tener conto della vitalità e delle potenzialità del settore ICT in termini di occupazione, nuova imprenditorialità nel Mezzogiorno e competitività del sistema paese.
Sia perché non ne ho il tempo sia per non infierire, non vorrei ricordare le leggi finanziarie varate dal Governo dell'Ulivo e, soprattutto, la legge finanziaria per il 2001, che istituiva il fondo per finanziare progetti volti alla modernizzazione e all'introduzione di nuove tecnologie nella pubblica amministrazione, utilizzando parte dei proventi delle licenze UMTS, che stanziava 50 miliardi di lire per l'istituzione della carta di credito formativa come fondo di garanzia e 55 miliardi per il programma PC per gli studenti, che prevedeva il credito di imposta per le aziende che volevano vendere prodotti on line stanziando 110 miliardi, che finanziava l'informatizzazione in tutte le leggi dello Stato e che soprattutto destinava 800 miliardi ai progetti di e-government con la legge Bassanini sia per le amministrazioni centrali sia per gli enti locali.
Con quei fondi sono stati istituiti la Mediateca 2000 prevista dall'allora ministro Veltroni per la nascita di imprese che riversano e producono in forma elettronica e telematica contenuti umanistici e sono stati promossi i progetti e-form e skillpass per ridurre lo skill shortage, ossia la mancanza di figure professionali nel settore dell'innovazione tecnologica.
In sintesi, nel 2001 il Governo Amato ha stanziato 1000 miliardi di nuove risorse specificamente destinate all'innovazione; per il 2002 e per il 2003 siamo di fronte a qualcosa che è pari a zero.
Allora, concludo con il dire che presenteremo, in occasione dell'esame della legge finanziaria, un nostro pacchetto di profondi cambiamenti alla legge stessa. Vorrei rivolgermi a lei che è un tecnico di valore (purtroppo altri suoi colleghi e tecnici di valore di questo Governo hanno dovuto gettare la spugna per l'impossibilità di stare in una compagine animata da altri interessi): anche lei deve guardare le cose in faccia. I fondi da parte del Governo sono destinati a Gasparri, al Ministero delle comunicazioni, e lei è messo lì a fingere che il Governo steso abbia una politica di innovazione. Tenteremo di offrire anche a lei opportunità nel dibattito sulla legge finanziaria, affinché vi siano fondi seri sui quali si possa misurare una reale volontà di cambiare strada su un terreno decisivo per le sorti del nostro paese (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Il ministro Stanca ha risposto anche all'interrogazione dell'onorevole Lusetti n. 3-01022.
L'onorevole Lusetti ha facoltà di replicare.

RENZO LUSETTI. Signor Presidente, intervengo per dichiarare la mia completa insoddisfazione sia sul piano del contenuto della risposta sia - se me lo consente - su quello della forma. Ritengo, infatti, che di fronte ad un'interpellanza e ad un'interrogazione si debbano dare due risposte diverse. Pertanto, elevo formale protesta alla Presidenza per il modo in cui il ministro ha risposto alla mia interrogazione, ponendola in coda ad un'interpellanza presentata da autorevolissimi colleghi intervenuti in precedenza e non rispondendo assolutamente ai quesiti posti, salvo che ad uno.
Ciò dimostra quanto diceva molto correttamente il collega Folena nel suo intervento: nel nostro paese non esiste una politica dell'innovazione tecnologica, al di là ovviamente della qualità e del valore del ministro Stanca che riconfermo. Nella sostanza, non vi sono fondi, non vi sono competenze da parte di questo Ministero e altri ministri si appropriano delle competenze che appartengono al Ministero per l'innovazione e le tecnologie. Mi riferisco al Ministero dell'interno per quanto riguarda la carta d'identità elettronica, al Ministero delle comunicazioni per quanto riguarda la vicenda della larga banda e così via.
Non ho capito se vi sia una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia sul tema della carta nazionale dei servizi, non ho capito se vi siano altre contestazioni, non ho capito se il ministro interrogato abbia, rispetto a ciò, intrapreso alcune azioni all'interno del suo dicastero per rimuovere i funzionari o il personale che comunque non ha tempestivamente risposto alle sollecitazioni della comunità europea, non ho capito se le regole tecniche che danno attuazione al decreto di recepimento della direttiva comunitaria siano state varate.
Purtroppo, il Parlamento ne esce nuovamente mortificato e ritengo non sia la prima volta. È, infatti, un vizio di questo Governo andare avanti senza tenere in alcuna considerazione il Parlamento. Mi auguro che anche i parlamentari della maggioranza si accorgano di non essere ciechi e che vi è un Governo che sistematicamente scavalca questo Parlamento cercando di non risolvere i problemi.

PRESIDENTE. Onorevole Lusetti, colgo l'occasione del suo intervento per rivolgere una preghiera al ministro Stanca. Signor ministro, la prossima volta che risponderà congiuntamente ad un'interpellanza e ad un'interrogazione, le sarò grato se vorrà darne preventiva comunicazione alla Presidenza.