Molte delle analisi dedicate alla battaglia fra il fondo americano KKR e
la francese Vivendi per il controllo di TIM si sono focalizzate sugli
aspetti di politica industriale nel settore delle telecomunicazioni e solo
marginalmente hanno toccato due temi cruciali della vicenda: cosa
significa questa operazione per la sicurezza nazionale italiana e – di
conseguenza – se e quanto il Governo Draghi dovrebbe esercitare il golden
power e impedire l’operazione.
La risposta più semplice a queste domande è – come già accaduto
per Alitalia – invocare "l’italianità" di TIM e dunque
chiedere che non si consenta il "passaggio dello straniero".
Questa sarebbe la risposta più semplice, ma la meno sensata perché, dato
che Vivendi è francese, lo straniero è già "passato" da un po’.
Il tema dunque non è l’italianità o meno di TIM, ma capire come
potrebbe fare l’Italia per uscire dalla stretta di due Paesi stranieri,
dei quali siamo sicuramente alleati anche se non è necessariamente vero
il contrario. In questa vicenda, infatti, una sola cosa è certa: chiunque
vincerà non sarà italiano. E chiunque vincerà porterà via l’ennesimo
pezzo di infrastruttura critica per l’esistenza stessa della nazione.
Da un lato, la presenza in KKR dell’ex direttore della CIA Petraeus
potrebbe legittimare i deliri più complottisti di chi sostiene che l’arrivo
di KKR sarebbe funzionale ad estendere le capacità di intercettazione e
controllo dell’intelligence USA in Europa. Anche solo limitandosi alla
storia recente, dal caso Crytpo AG alle intercettazioni di leader europei durante l’amministrazione
Obama, all’utilizzo a fini di spionaggio dei cavi sottomarini che atterrano in Danimarca, non
sarebbe inverosimile pensare ad uno scenario del genere.
Dall’altro lato, la politica industriale espansionista francese, dopo
avere comprato centinaia di aziende italiane non si sta
limitando a cercare di mantenere il controllo su TIM, ma anche di
acquisire OTO-Melara che, nel settore mondiale degli armamenti, è una
delle aziende più importanti. Nello stesso tempo, però, non si è fatta
scrupolo di bloccare le operazioni italiane sul suolo – anzi sui mari–
transalpini, come nel caso Fincantieri-STX. L’utilizzo della prelazione di
Stato da parte della Francia ha impedito a Fincantieri di procedere con la
presa di possesso dei cantieri navali STX dopo che l’azienda italiana
aveva partecipato e regolarmente vinto la competizione per assicurarsi un’infrastruttura
di grande importanza.
E allora, tornando alla questione TIM, viene da chiedersi come mai il
Governo sia così restio nell’esercitare il golden power non solo nei
confronti di KKR ma anche di Vivendi; non certo in nome di una retorica
nazionalistica, ma perché consegnare un’infrastruttura di
telecomunicazioni come quella di TIM in mani straniere significa perdere
il controllo su un elemento essenziale per la sicurezza nazionale. La
stessa sicurezza nazionale in nome della quale, nel 2019, il Governo Conte
fece approvare il decreto legge sullo "spazio cibernetico" per
proteggersi dal danno grave e irreparabile costituito dalla possibile
presenza nella
rete core 5G di TIM del colosso cinese Huawei.
Mentre, tuttavia, il "pericolo giallo" non si è
materializzato (anche perché le applicazioni concrete del 5G sono molto
al di là da venire), è estremamente concreto il rischio rappresentato
dalla prevalenza degli interessi di Stati stranieri su quelli italiani nel
controllo di TIM.
E allora, se come dice la legge, il golden power deve essere
esercitato in modo ragionevole ed equilibrato, ci si aspetterebbe nei
confronti di USA e Francia lo stesso rigore adottato per la Cina. Questo,
a meno di non voler ammettere che – come purtroppo sta capitando sempre
più spesso anche in Occidente – il rule of law ha ceduto il posto al rule by law in modo che
si possa fare whatever it takes in nome del do the right thing.
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