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InterLex - RIVISTA DI DIRITTO TECNOLOLOGIA INFORMAZIONE

 

DIG.EAT 2021: ripercorriamo la lunga storia di InterLex

Varie ed eventuali - Manlio Cammarata - 20 gennaio 2021

L'edizione di quest'anno di DIG.EAT si tiene online, come è d'obbligo in tempo di Covid, con un programma ricco di spunti interessanti. Ieri, 19 gennaio, è stato il turno di una parte della "vecchia squadra" di InterLex: Andrea Monti, Enrico Maccarone e il vostro cronista. Che riporta qui il testo che aveva preparato per l'intervento e che, come al solito, è stato in parte tradito nell'improvvisazione di un dialogo intrigante. Grazie ad Andrea Lisi, per l'invito e per le belle parole di apprezzamento del nostro lavoro.

Andrea, il tema che mi hai assegnato è imbarazzante. Forse perché non sono proclive a fare – come dire? – lo storico delle mie gesta, o forse perché devo parlare di un progetto che ha avuto i suoi momenti di gloria, ma oggi appare per qualche verso superato.

Ma non è una cosa che appartiene al passato, come si vedrà da alcuni articoli di prossima pubblicazione in pieno "stile InterLex", che affronteranno sotto una luce non convenzionale alcuni temi di stretta attualità. Ecco:
- l'ossessione, per non dire la paranoia, per la cosiddetta "privacy", che ha conseguenze molto gravi su alcuni settori in cui la conoscenza di un dato personale può salvare vite umane, oltre che offrire informazioni utili per la collettività:
- l'inutilità del GDPR o, per meglio dire, la sua inadeguatezza a una protezione sostanziale delle informazioni personali nell'era delle piattaforme sociali, aggravata dall'atteggiamento delle autorità di regolazione, forti con i deboli e deboli con i forti (Google & C.);
- La patata bollente della "libertà di espressione", che sarebbe minacciata dai padroni delle reti sociali. Un tema che presenta aspetti che coinvolgono l'essenza stessa della democrazia, dominata da "poteri forti" nuovi e sfuggenti.

Ma ora devo parlare di InterLex, che sta per compiere venticinque anni. E mi viene naturale ripercorrerne la storia, a partire da "prima di InterLex", cioè da una rubrica che iniziò sulla rivista MCmicrocomputer nel 1990, quando l'internet era una cosa misteriosa, a conoscenza di pochi eletti. La serie di articoli aveva un titolo, poi evoluto diverse volte nel corso degli anni, che era anche un programma: "Cittadini e computer". Metteva a frutto il mio interesse per il diritto delle tecnologie, incominciato anni prima (ricordo un convegno del 1998 su quella che allora veniva chiamata "tutela delle banche dati" ed era uno di primi tentativi in Italia di protezione giuridica dei dati personali).

Quelle pagine suscitarono un grande interesse. Mi venivano poste domande imbarazzanti, come "dobbiamo chiedere la copia di un documento di identità a chi chiede di iscriversi al BBS?", o cose del genere. Oggi ci fanno sorridere, ma allora erano problemi seri. Così incominciò – vorrei dire "a mia insaputa" – l'attività di consulente, che continua ancora oggi. 

Gli articoli ottennero anche il consenso dei primi studiosi della materia, fra i quali un brillante Andrea Monti neo-laureato in giurisprudenza. Si costituì spontaneamente un gruppetto di giovani legulei, che ebbe la sua prova del fuoco con l'Italian Crackdown del 1994, un sequestro su vasta scala di strutture telematiche, finito poi nel nulla.
Insieme ai giovani, mi è caro ricordarlo, c'era anche il "diversamente giovane" Giancarlo Livraghi, spirito critico e battagliero, che fu anche ispiratore nel 1995 del primo Forum multimediale "La società dell'informazione - Comportamenti e norme nella società vulnerabile".

Il Forum, che visse per tre edizioni, nel 1997 divenne InterLex, il primo periodico solo online - allora si diceva "telematico" - a ottenere l'iscrizione nel registro della stampa. Lasciatemi ricordare che InterLex divenne presto un punto di riferimento importante per il diritto delle tecnologie in Italia, anche per i contributi di esperti come Stefano Rodotà, Giovanni Buttarelli, Guido Mario Rey (primo presidente dell'Autorità per l'informatica nella pubblica amministrazione), e anche di magistrati come Giovanni Buonomo,  Giuseppe Corasaniti e Gianfranco D'Aietti. Ai quali si unì presto un notaio, Enrico Maccarone, con la sua straordinaria competenza sulla firma digitale. E mi scuso per i nomi che non cito, tra i quali molti avvocati e grandi esperti di tecnologie, come Paolo Nuti, direttore di MC-link.

Che cosa rimane di quei tempi? Oggi, rileggendo quelle pagine, mi accorgo che avevamo visto giusto quando parlavamo di "società vulnerabile", profetizzavamo la firma digitale, ci preoccupavamo della protezione dei dati personali. Ma sbagliavamo quando credevamo nell'internet come strumento di libertà, mentre oggi la vediamo imbrigliata dai nuovi "poteri forti digitali" e ricettacolo di odio e di fake news.

InterLex resta un luogo di riflessione diverso dalle imperanti piattaforme sociali, dove orde di autoqualificati "esperti" discettano per sentito dire. Nessuno più si impegna a ragionamenti articolati, a discussioni pacate, a dialoghi costruttivi. Si ragiona per tweet, per testi sgrammaticati scritti sul telefonino, senza il minimo criterio di selezione, su notizie rubacchiate qua e là. Così si verifica l'affermazione di Umberto Eco, che disse dell'internet che è un luogo in cui il parere di un esperto ha la stessa importanza di quello di un cretino.

C'è una differenza sostanziale tra le prime pubblicazioni online e l'internet di oggi: sulle reti sociali tutto scorre, la memoria è breve o manca del tutto. Su InterLex tutto rimane ed è facilmente consultabile. Sono più di 4.000 pagine che, bene o male, ricostruiscono la storia, un quarto di secolo, del diritto applicato alle tecnologie. E per questo non ha esaurito la sua funzione e potrebbe aprirsi a una nuova vita. Ma occorre uno sforzo collettivo, l'impegno di una sola persona non basta più.

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