L'edizione di quest'anno di DIG.EAT si tiene online, come è d'obbligo in
tempo di Covid, con un programma ricco di spunti interessanti. Ieri, 19 gennaio, è stato
il turno di una parte della "vecchia squadra" di InterLex: Andrea
Monti, Enrico Maccarone e il vostro cronista. Che riporta qui il testo che aveva
preparato per l'intervento e che, come al solito, è stato in parte tradito nell'improvvisazione di un dialogo intrigante.
Grazie ad Andrea Lisi, per l'invito e per le belle parole di apprezzamento del
nostro lavoro.
Andrea, il tema che mi hai assegnato è imbarazzante. Forse perché non
sono proclive a fare – come dire? – lo storico delle mie gesta, o forse
perché devo parlare di un progetto che ha avuto i suoi momenti di gloria, ma
oggi appare per qualche verso superato.
Ma non è una cosa che appartiene al passato, come si vedrà da alcuni
articoli di prossima pubblicazione in pieno "stile InterLex", che
affronteranno sotto una luce non convenzionale alcuni temi di stretta attualità.
Ecco:
- l'ossessione, per non dire la paranoia, per la cosiddetta
"privacy", che ha conseguenze molto gravi su alcuni settori in cui la
conoscenza di un dato personale può salvare vite umane, oltre che offrire
informazioni utili per la collettività:
- l'inutilità del GDPR o, per meglio
dire, la sua inadeguatezza a una protezione sostanziale delle informazioni
personali nell'era delle piattaforme sociali, aggravata
dall'atteggiamento delle autorità di regolazione, forti con i deboli e deboli
con i forti (Google & C.);
- La patata bollente della "libertà di
espressione", che sarebbe minacciata dai padroni delle reti sociali. Un
tema che presenta aspetti che coinvolgono l'essenza stessa della democrazia,
dominata da "poteri forti" nuovi e sfuggenti.
Ma ora devo parlare di InterLex, che sta per compiere venticinque anni. E mi
viene naturale ripercorrerne la storia, a partire da "prima di
InterLex", cioè da una rubrica che iniziò sulla rivista MCmicrocomputer
nel 1990, quando l'internet era una cosa misteriosa, a
conoscenza di pochi eletti. La serie di articoli aveva un titolo, poi evoluto diverse volte nel corso degli anni, che
era anche un programma: "Cittadini
e computer". Metteva a frutto il mio interesse per il diritto delle
tecnologie, incominciato anni prima (ricordo un convegno del 1998 su quella che
allora veniva chiamata "tutela delle banche dati" ed era uno di primi
tentativi in Italia di protezione giuridica dei dati personali).
Quelle pagine suscitarono un grande interesse. Mi venivano poste domande imbarazzanti, come "dobbiamo
chiedere la copia di un documento di identità a chi chiede di iscriversi al
BBS?", o cose del genere. Oggi ci fanno sorridere, ma allora erano problemi
seri. Così incominciò – vorrei dire "a mia insaputa" – l'attività di consulente, che continua
ancora oggi.
Gli articoli ottennero anche il consenso dei primi studiosi della materia, fra i
quali un brillante Andrea Monti neo-laureato in giurisprudenza. Si costituì
spontaneamente un gruppetto di giovani legulei, che ebbe la sua prova del fuoco
con l'Italian Crackdown del 1994, un sequestro su vasta scala di strutture
telematiche, finito poi nel nulla.
Insieme ai giovani, mi è caro ricordarlo,
c'era anche il "diversamente giovane" Giancarlo Livraghi, spirito
critico e battagliero, che fu anche ispiratore nel 1995 del primo Forum
multimediale "La società dell'informazione - Comportamenti e norme nella
società vulnerabile".
Il Forum, che visse per tre
edizioni, nel 1997 divenne InterLex, il primo periodico solo online - allora si diceva "telematico" - a
ottenere l'iscrizione nel registro della stampa. Lasciatemi
ricordare che InterLex divenne presto un punto di riferimento importante per il
diritto delle tecnologie in Italia, anche per i contributi di esperti
come Stefano Rodotà, Giovanni
Buttarelli, Guido Mario Rey (primo presidente
dell'Autorità per l'informatica nella pubblica amministrazione), e anche di
magistrati come Giovanni Buonomo, Giuseppe Corasaniti e Gianfranco D'Aietti.
Ai quali si unì presto un notaio, Enrico Maccarone, con la sua straordinaria
competenza sulla firma digitale. E mi scuso per i nomi che non cito, tra i quali
molti avvocati e grandi esperti di tecnologie, come Paolo Nuti, direttore di
MC-link.
Che cosa rimane di quei tempi? Oggi, rileggendo quelle pagine, mi accorgo che
avevamo visto giusto quando parlavamo di "società vulnerabile",
profetizzavamo la firma digitale, ci preoccupavamo della protezione dei dati
personali. Ma sbagliavamo quando credevamo nell'internet come strumento di
libertà, mentre oggi la vediamo imbrigliata dai nuovi "poteri forti
digitali" e ricettacolo di odio e di fake news.
InterLex resta un luogo di riflessione diverso dalle imperanti piattaforme
sociali, dove orde di autoqualificati "esperti" discettano per sentito
dire. Nessuno più si impegna a ragionamenti articolati, a discussioni pacate, a
dialoghi costruttivi. Si ragiona per tweet, per testi sgrammaticati scritti sul
telefonino, senza il minimo criterio di selezione, su notizie rubacchiate qua e
là. Così si verifica l'affermazione di Umberto Eco, che disse dell'internet
che è
un luogo in cui il parere di un esperto ha la stessa importanza di quello di un
cretino.
C'è una differenza sostanziale tra le prime pubblicazioni online e
l'internet di oggi: sulle reti sociali tutto scorre, la memoria è breve o manca
del tutto. Su InterLex tutto rimane ed è facilmente consultabile. Sono più di
4.000 pagine che, bene o male, ricostruiscono la storia, un quarto di
secolo, del diritto applicato alle tecnologie. E per questo non ha esaurito la
sua funzione e potrebbe aprirsi a una nuova vita. Ma occorre uno sforzo
collettivo,
l'impegno di una sola persona non basta più.
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