Questo intervento è focalizzato sulla situazione italiana e si divide in due
parti. La prima si occupa del controllo tramite sistemi di intercettazione e la
seconda del controllo tramite la costruzione di database (pubblici e privati).
Nella conclusione viene suggerita l'emanazione di una norma analoga al Freedom
Of Information Act, al fine di consentire un effettivo controllo democratico
sull'operato del governo e delle amministrazioni.
Il sistema delle intercettazioni
Nello scenario dello sviluppo delle tecnologie di intercettazione l'Italia
gioca un ruolo da vittima, essendo, in altri termini, sostanzialmente in grado
di subire le "iniziative" di altri paesi più "evoluti"
nella intelligence tecnologica. Quando scoppiò lo "affare Echelon" il
nostro Parlamento "cadde dalle nuvole" e l'ufficio del Garante per
la protezione dei dati personali cercò di ridimensionare la portata della
notizia evidenziando come le nostre infrastrutture non fossero tanto moderne da
poter subire le attenzioni di "orecchie indiscrete".
Le cose sono probabilmente destinate a cambiare con l'entrata in funzione del
sistema Enfopol, operante all'interno delle strutture della nuova polizia
europea.
Per quanto riguarda, invece, l'impiego di sistemi più
"tradizionali", va detto che per molto tempo in Italia il termine
"intercettazioni" era sostanzialmente associato alla telefonia.Vista
la scarsa diffusione di servizi di TLC diversi da quelli vocali e l'oggettiva
inesistenza di una diffusione di massa di computer e modem, sia il legislatore,
sia le forze di polizia non sembravano coscienti o particolarmente interessati a
sviluppare sistemi di controllo in questi settori tecnologici.
Le cose sono cambiate con l'approvazione della l. 547/93 che introduce nel
codice penale i cosiddetti "reati informatici" e - nel codice di
procedura penale - l'art. 266-bis che regolamenta le "intercettazioni
telematiche".
Le prime applicazioni pratiche del nuovo articolo risalgono al 1994, quando
nel corso del tristemente noto "italian crackdown", l'operazione
della Guardia di Finanza contro la duplicazione abusiva di software che si
tradusse nel più elevato numero di (inutili) sequestri di computer allora
verificatosi nel mondo (in questi termini ne parla il giornalista e scrittore
Bruce Sterling, autore di "Hacker Cradown"), venne sperimentato un
sistema in grado di intercettare il traffico fra due modem.
Pochi anni dopo, la polizia telematica sperimenta in alcune indagini l'utilizzo
del sistema denominato "Telemonitor TM40", optando tuttavia nei tempi
a venire - e fino ad oggi - per la scelta di richiedere la collaborazione
diretta degli internet provider. Il che avviene spesso con modalità
estremamente discutibili, quali ad esempio l'invio di un semplice fax senza
nemmeno la delega del Pubblico Ministero e in riferimento a non meglio precisate
"indagini di polizia".
Inoltre, la vaghezza dell'art. 266 bis del codice penale, l'assenza di
norme chiare per l'acquisizione e la conservazione di "evidenze
informatiche", nonché una buona dose di scarsa competenza tecnica fanno
sì, da un lato, che continui l'infame pratiche dei sequestri di hardware
(recentissimamente è toccato registrare persino l'asportazione delle casse
audio di un PC), dall'altro che l'indagato non abbia alcuna garanzia sull'integrità,
attendibilità e - soprattutto - genuinità dei dati a proprio carico. Un
problema - questo - destinato ad aumentare di importanza e gravità con la
futura approvazione della Convenzione internazionale sui computer crime
attualmente in discussione al Consiglio europeo, che dedica ampio spazio ai
poteri di indagine e poco o nulla al rispetto dei diritti civili. Mentre la
direttiva 31/2000/CE, che regolamenta il commercio elettronico, trasferisce sui
provider responsabilità oggettive e poteri di sorveglianza.
Database pubblici e privati
La costruzione di data-base contenti informazioni personali per usi di dubbia
legittimità o comunque sui quali non è possibile esercitare un effettivo
controllo democratico è in crescita nettissima.
Ai "tradizionali" archivi gestiti dal Ministero dell'interno e da
quello della giustizia, la nuova (e inaccettabile) legge sul diritto d'autore
affianca quello detenuto dalle Questure e contenente i nominativi degli
operatori commerciali di opere protette da copyright, e quello (più
inquietante) istituito in seno al fantomatico Comitato per il controllo della
proprietà intellettuale, del quale nessuno sa praticamente qualcosa.
E' in dirittura d'arriva l'anagrafe unica dei conti correnti, mentre
sempre più spesso i database dei clienti di servizi pubblici come luce, gas,
acqua e telefono si rivelano di grande utlità per effettuare "controlli
incrociati".
Persino la Società Autostrade gestisce un archivio nel quale sono contenuti
i tempi di percorrenza "anomali", per cui se per spostarsi da un punto
all'altro ci si mette troppo (o troppo poco) si viene fermati al casello e
identificati "a futura memoria".
Gli internet provider, oramai "preda" di orgasmo da profilazione, ne
inventano di tutti i colori per offrire "servizi personalizzati" all'utenza,
che in italiano significa null'altro se non appunto"radiografare" il
comportamento delle persone. Certo, formalmente vengono offerte garanzie di
riservatezza e di osservanza alla normativa sul trattamento dei dati personali,
ma la realtà è che non c'è nessun modo di sapere cosa, ma soprattutto chi,
stia manipolando i nostri dati e a quali fini.
Il diritto ad essere informati
Questa schematica analisi della situazione italiana evidenzia chiaramente
quanta sproporzione ci sia fra l'enorme massa di raccolta e utilizzo di dati
personali e quanto poco efficiente sia l'attuale apparato normativo. E quanto
sia deficitario - inesistente - l'insieme degli strumenti che consentono
al cittadino di effettuare un controllo sull'operato del governo.
E' certamente antistorico e illusorio pensare che una legge possa ostacolare
la marea di dati che giorno per giorno si muove da un server all'altro, ma non
è - o non dovrebbe - essere inconcepibile pensare ad una legge analoga allo
statunitense Freedom Of Information Act che costituisca un significativo
passo avanti nella creazione di una effettiva bilateralità della trasparenza.
In modo da poter cominciare a dare risposta all'antica domanda: quis
custodies ipsos custodes?