Il parere del Garante per i dati personali reso il 3/6/04 con protocollo n.22457
conferma una diffusa percezione circa la "inconsistenza" del DLGV 196/03.
L'attività forense è esentata dalla notificazione e dal consenso per
tutti i dati trattati (sensibili compresi) in funzione di una causa. L'informativa
può essere data oralmente, in forma colloquiale e omettendo ciò che è noto al
cliente. L'individuazione degli incaricati si traduce, in pratica, in un "tutto
per tutti" (visto che in uno studio qualsiasi componente deve essere in grado
di intervenire in caso di indisponibilità dell'altro). Sulle misure di
sicurezza stendiamo un velo, rinviando alle molte pagine di InterLex che si
occupano dell'argomento.
Si vuole seriamente affermare che così facendo si proteggono riservatezza,
integrità e disponibilità dei dati personali?
Se, però, tornando al punto, l'attività forense riguarda il settore
stragiudiziale, allora tutti gli inutili lacci e lacciuoli del DLgs 196/03
tornano a paralizzare l'operato professionale e proprio in una fase in cui,
per la deflazione dei ruoli processuali, si auspica il crescente ricorso a
sistemi stragiudiziali di composizione delle dispute (i cosiddetti "alternative
dispute resolution system") che sono, evidentemente, destinati a fallire se
appesantiti di inutili bizantinismi.
Ma c'è un aspetto più generale dell'applicazione del DLgs 196/03 all'attività
forense e che emerge chiaramente dal parere in questione. Il fatto che il
Garante dei dati personali possa incidere direttamente sull'esercizio della
professione e del diritto di difesa, per esempio stabilendo esenzioni o
inclusioni di trattamenti nell'obbligo di notifica o emanando autorizzazioni e
quant'altro.
Innanzitutto c'è qualche dubbio sulla correttezza di una legge che
stabilisce regole, come i casi di notifica, per esempio, e attribuisce a un ente
"amministrativo" il potere di modificarle ("estrosità" peraltro non
nuova, visto che anche per il bollino SIAE si scelse la stessa tecnica).
In secondo luogo, non si capisce, francamente, la necessità di mettere "sotto
tutela" del Garante gli avvocati che già rispondono - oltre che alla legge
- alla magistratura e al proprio ordine professionale.
Affermare il principio che il Garante possa decidere sul valutazione compiuta
dal professionista circa il "bilanciamento" dei diritti in gioco ai fini
della necessità o meno del consenso significa, analogamente a quanto accade per
i giornalisti, stabilire un sindacato inaccettabile e imporre al professionista
una vera e propria spada di Damocle, che non potrà non condizionarne l'operato.
Per rendersi conto dell'assurdità dei desiderata del Garante basta
confrontare il punto 5.2.3. Dati idonei a rivelare lo stato di salute e la
vita sessuale e "pari rango" del parere in questione, con la
necessità di trattamento dei dati personali sensibili relativi a un sinistro
stradale che si conclude in via stragiudiziale (evitando di ricordare, in questa
sede, che l'infortunistica stradale è tuttora una parte importante dell'attività
forense).
Oppure "farsi un giro" per qualche palazzo di giustizia quando c'è
udienza. A questo punto per parità di condizioni, ci si dovrebbe aspettare l'emanazione
e l'esecuzione di qualche provvedimento del Garante sul trattamento dei dati
personali negli uffici giudiziari, sempre che non arrivi prima, nuovamente, Striscia
la notizia, la cui redazione sembra disporre di una efficiente struttura di
indagine.
Per concludere, la materia è, comprensibilmente, troppo complessa per essere
esaurita in un breve articolo. Ma non può tacersi la necessità di contrastare
l'aggressione che il DLgs 196/03 sta commettendo contro spazi di libertà.
Il DLGV 196/03 è palesemente un cavallo di Troia: con la scusa di proteggere la
riservatezza nasconde armi letali per il controllore universale.
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