Il lavoro
si semplifica, la legge si complica
di Manlio Cammarata -
04.12.97
Prima di affrontare il
paradosso del titolo, vorrei porre al legislatore qualche
domandina semplice semplice. Perché mai un medico deve
essere autorizzato da un'autorità - comunque costituita
- a trattare i dati personali dei suoi pazienti? Il
trattamento dei dati sanitari non è parte essenziale
dell'attività del medico, si può curare una persona
senza registrare qualche informazione sul suo stato di
salute?
Oppure, può un commercialista gestire gli adempimenti
fiscali di un suo cliente senza tenere una traccia
precisa della sua attività professionali, custodire le
fatture, registrare le sue spese e i suoi proventi?
Ancora, può funzionare un'associazione politica o
religiosa che non annoti i nomi dei suoi iscritti?
Evidentemente no. Questi,
e molti altri trattamenti di dati personali sono così
essenziali per le attività descritte, che le attività
stesse non sarebbero possibili senza il trattamento dei
relativi dati. E allora a che serve l'autorizzazione? Non
basta prevedere un certo numero di norme - chiare e
applicabili - che prescrivano le modalità e il limiti
del trattamento per non violare la riservatezza
dell'interessato, accompagnate da sanzioni equilibrate in
caso di inosservanza?
Sembra che nessuno, nei
lunghi anni di dibattito su progetti di legge sempre
uguali nella sostanza, si sia posto questi interrogativi.
Così è nata una legge, la 675/96, così inapplicabile
che lo stesso legislatore ne ha fatta contemporaneamente
un'altra che prevede le inevitabili aggiunte e
correzioni.
E quattro galantuomini, chiamati a garantire
l'applicazione di un'inestricabile matassa di regole,
hanno dovuto metter mano d'urgenza alle eccezioni, anche
per evitare la paralisi immediata del loro stesso
ufficio. Eccezioni che rispondono agli interrogativi
posti all'inizio: no, non si può immaginare che un
medico non sia autorizzato a compilare la cartella
clinica del paziente o che a un imprenditore sia vietato
di tenere traccia delle assenze per malattia di un
dipendente.
Le autorizzazioni
generali, quelle già emanate e quelle annunciate, sono
l'applicazione di questo elementare principio di buon
senso: sono autorizzati tutti i trattamenti necessari al
rapporto tra il titolare e l'interessato, a condizione
che non presentino rischi per la riservatezza di
quest'ultimo oltre i limiti connaturati al rapporto
stesso. Per tutti gli altri tipi di trattamento, a
partire dalla comunicazione o diffusione che non siano
previste da leggi o regolamenti, occorre l'autorizzazione
del Garante.
Semplice e logico, a prima vista, al punto che ci si
chiede perché le autorizzazioni generali siano così
dettagliate e richiedano tanta attenzione per essere
applicate. Il fatto è che il Garante non può cambiare
la legge, e anche i decreti delegati del Governo non
possono contraddirne i principi. Che sono, come sappiamo,
che i trattamenti devono essere sempre notificati o
autorizzati, che l'interessato deve essere sempre
informato e via discorrendo.
Di conseguenza le eccezioni non possono essere meno
complesse delle regole alle quali si riferiscono, anche
in considerazione del fatto che ormai a quasi tutte le
regole corrisponde un'eccezione. Infatti, se consideriamo
l'insieme delle semplificazioni (compresi gli esoneri
dalle dichiarazioni previsti dal decreto legislativo n.
255), vediamo che della legge 675/96 restano in piedi
solo le norme che si riguardano i trattamenti realmente
pericolosi per la riservatezza dell'interessato.
Lo dimostra l'esclusione degli investigatori privati e
dei giornalisti dall'autorizzazione generale per i
professionisti: si tratta di attività che dovranno
essere disciplinate a parte, perché presentano maggiori
rischi per la riservatezza degli interessati.
Ma la conseguenza di tante
semplificazioni, pur necessarie, è che la normativa si
complica sempre di più. Siamo, fino a questo punto, a
due leggi, due decreti legislativi e quattro
autorizzazioni generali, senza considerare la
"interpretazione mediatica" costituita dai
comunicati stampa, dei quali si è ormai perso il conto.
Non basta: le autorizzazioni generali durano fino al 30
settembre del prossimo anno, in prossimità del termine
di diciotto mesi previsto dalla legge 676/96 per
l'emanazione dei decreti legislativi che dovranno
regolare .- se non ho contato male - la bellezza di
quattordici materie: 1) dati sanitari, 2) direct
marketing, 3) sicurezza sociale, 4) lavoro, 5) pagamenti
e operazioni connesse, 6) organi pubblici, 7) servizi di
telecomunicazioni, 8) numero di identificazione
personale, 9) rettificazione dei dati su disco ottico (un
bel problema!), 10) notificazione e trasferimento
all'estero di dati diversi da quelli sensibili oggetto di
trattamenti non automatizzati di dati ed esonero per i
trattamenti che non presentino rischi di un danno
all'interessato, 11) semplificazioni per le piccole
imprese, 12) adattamento dei principi desumibili dalla
legislazione ai trattamenti in ambito pubblico esclusi
dall'applicazione della legislazione in materia di tutela
delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento
dei dati personali, 13) servizi di comunicazione e
informazione offerti per via telematica, 14) fonti di
acquisizione dei dati per determinati casi di
comunicazione o diffusione di dati personali provenienti
da archivi, registri, elenchi, atti o documenti tenuti da
pubbliche amministrazioni.
Aggiungiamo il regolamento
sulla sicurezza (che ha già un mese di ritardo sulla
scadenza prevista dalla 675) e altre materie, indicate
dalla legge delega, non direttamente connesse al
trattamento dei dati. Alla fine sarà bravo chi riuscirà
a capirci qualcosa, soprattutto se i provvedimenti
conterranno indicazioni di questo tipo: "adattare,
ai trattamenti in ambito pubblico esclusi
dall'applicazione della legislazione in materia di tutela
delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento
dei dati personali, i principi desumibili dalla medesima
legislazione". Che significa, se non ho capito male,
applicare la legislazione ai trattamenti esclusi dalla
legislazione. Ma sono leggi o filastrocche?
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