Prime valutazioni sulla responsabilità
civile nella legge 675/96
di Daniele Coliva(*) -
24.04.97
1. Premesse generali
Nell'ordinamento giuridico
la responsabilità è argomento, per così dire, di
chiusura, nel senso che, analizzata e sezionata la
singola fattispecie quale fenomeno isolato, le norme
sulla responsabilità incidono sui rapporti tra i
soggetti giuridici ed in particolare sui conflitti tra
situazioni soggettive che vengono in contatto / contrasto
tra loro, non per effetto immediato e diretto di una
espressa manifestazione di volontà dei singoli.
È evidente che stiamo parlando della c.d.
responsabilità extra-contrattuale, cioè di quella che
non trova la sua fonte appunto in un contratto o in un
negozio giuridico.
La disposizione centrale e fondamentale è il ben noto
art. 2043 c.c., in base al quale "Qualunque
fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno
ingiusto obbliga chi ha commesso il fatto a risarcire il
danno". Formulazione apparentemente semplice e
lineare, ma in realtà matrice di elaboratissime
discussioni dottrinali e giurisprudenziali.
Per l'argomento che qui interessa è sufficiente dare
conto della più recente evoluzione della ricostruzione
dell'istituto ed in particolare della sua funzione
nell'ordinamento. Abbandonata infatti la tesi sanzionatoria,
oggi la funzione prevalentemente attribuita al
"sistema" della responsabilità civile (1) è
quella risarcitoria: "le norme sulla
responsabilità civile sono interpretate al fine di
estendere quanto più è possibile il risarcimento a
tutte le vittime" (2).
La disamina della interpretazione e dell'applicazione
della norma in questione dimostra come l'adozione di una
formula tanto ampia (c.d. clausola generale di
responsabilità) ha consentito un progressivo adeguamento
dell'ordinamento ai mutamenti delle situazioni economiche
ed alle istanze sociali (3).
Il principio contenuto nell'art. 2043 c.c., "nessuna
responsabilità senza colpa", ha subito un'erosione
della sua portata generale, attraverso l'introduzione
già nello stesso codice di ipotesi, non più marginali,
di responsabilità senza colpa, nelle quali, cioè, il
criterio di imputazione della responsabilità non è più
basato sulla colpa stessa, ma su altri presupposti
(proprietà, custodia, organizzazione dell'impresa) 4.
Semplificando i termini del problema, può affermarsi che
oggi la responsabilità per colpa ha un ruolo residuale e
non definitorio di un carattere generale di tutte le
ipotesi. Gli interventi legislativi che disciplinano
nuove attività (o nuove fattispecie) propendono quasi
sempre per la scelta di un modello nel quale la colpa è
irrilevante, ovvero, mediante il ricorso a presunzioni
più o meno difficilmente superabili, la tutela del
danneggiato è approntata con la massima intensità
possibile.
È il caso della legge sui dati personali, della quale ci
occupiamo in questa sede.
2. L'informatica
è attività pericolosa?
La legge 31 dicembre 1996,
n. 675, prevede all'art. 18 che l'obbligazione
risarcitoria del danno provocato dal trattamento di dati
personali sia disciplinata dall'art. 2050 c.c.(5). Questa
disposizione prevede che l'esercente un'attività
pericolosa sia tenuto al risarcimento del danno "se
non prova di avere adottato tutte le misure idonee ad
evitare il danno".
Tecnicamente siamo dunque di fronte ad una inversione
dell'onere della prova, in base alla quale l'imprenditore
per andare esente da responsabilità deve fornire una
prova liberatoria dal contenuto veramente diabolico.
Secondo l'opinione ormai consolidata di dottrina e
giurisprudenza la prova è raggiunta allorché si sia
dimostrato di avere utilizzato tutte le cautele che la
miglior scienza e tecnica ponga a disposizione. In
pratica siamo di fronte ad una responsabilità oggettiva,
cioè senza colpa, nella quale anche il caso fortuito o
il fatto del terzo sono a carico dell'imprenditore.
L'art. 18 della legge 675/96 costituisce la consacrazione
normativa di un'opinione risalente ad oltre dieci anni or
sono.
Le prime affermazioni in tal senso risalgono al 1946, e
da subito incontrarono il favore dei commentatori (7),
soprattutto in relazione al pericolo per il diritto del
singolo alla riservatezza. La banca dati viene infatti
vista, per le sue caratteristiche intrinseche di
facilità nella manipolazione, elaborazione e
circolazione dei dati, come uno strumento idoneo ad
interferire in misura mai vista sino a quel momento con
posizioni soggettive tutelate anche costituzionalmente.
La pericolosità, dunque, sarebbe insita nel valore
aggiunto dato dallo strumento informatico. Il dato
"informatizzato" è qualitativamente diverso da
quello contenuto in un archivio tradizionale, proprio in
considerazione della sua idoneità non solo ad essere
ampiamente conosciuto, ma anche a consentire
l'acquisizione di ulteriori informazioni. In altri
termini, non è solo informazione di per sé considerato,
ma è pure strumento di informazione. Basti pensare per
esempio ai dati di una ricerca di mercato sul consumo di
dolci, dai quali può inferirsi la predisposizione dei
soggetti a contrarre malattie dell'apparato dentario o
endocrino.
Lo sforzo, in ipotesi lodevole, del legislatore, di
tutelare il soggetto fornitore dei dati, è tuttavia
andato oltre, ponendosi in contraddizione con le premesse
implicite. Se infatti la "pericolosità"
dell'informatica era l'ispiratrice del richiamo alla
disciplina della responsabilità da attività appunto
pericolosa, non si comprende allora per quale motivo
l'art. 18 abbia portata generalmente riferita a qualsiasi
trattamento dei dati personali, anche se effettuato a
scopo esclusivamente personale (per il quale trovano tra
l'altro applicazione gli obblighi in tema di misure di
sicurezza, art. 3, comma 2), ovvero su supporto cartaceo
(art. 5).
Deve dunque concludersi che la pericolosità è attributo
del dato personale e non del mezzo di trattamento.
Le conseguenze sono facilmente intuibili. Se da un lato,
infatti, le ipotesi di illecito penale trovano un
contemperamento nella loro natura dolosa (ad eccezione
dell'art. 36, unica fattispecie colposa, che desta
peraltro notevoli perplessità) e nel principio
costituzionale della personalità della responsabilità
penale (art. 27 cost.), dall'altro sarà in pratica
impossibile evitare la condanna - civile - al
risarcimento del danno, per l'impossibilità concreta di
fornire la prova liberatoria prescritta.
Il rischio d'impresa si è dunque ampliato.
L'imprenditore 8 dovrà avere riguardo anche a questa
ulteriore possibilità di perdite patrimoniali, dalla
quale si dovrà cautelare con adeguata copertura
assicurativa, il cui onere si ripercuoterà in ultima
analisi sul costo dei beni e/o servizi prodotti.
Sono scelte sovrane di politica legislativa ed
all'interprete non rimane che prenderne atto. Non può
tuttavia essere sottaciuto il possibile chilling
effect nei confronti delle attività professionali e
d'impresa (9), al punto da dubitare dell'equilibrio della
decisione sul bilanciamento degli interessi
costituzionali in gioco. Pare a chi scrive che si sia
eccessivamente dilatato il limite alla libertà di
iniziativa economica (art. 41, comma 2, cost.), con un
eccessivo e formalistico rilievo attribuito alle
situazioni soggettive dei singoli, senza tenere conto dei
costi complessivi dell'opzione di eccessiva tutela, che
si poteva approntare mediante una inversione dell'onere
della prova che comunque lasciasse spazio ad una vera e
propria prova liberatoria.
Il testo della direttiva consentiva ampio margine di
manovra in tal senso. All'art. 23 della direttiva 43/95
la responsabilità è posta a carico del responsabile del
trattamento (l'equivalente del titolare), quale
conseguenza di un trattamento illecito o comunque in
violazione della normativa di attuazione, con la
possibilità per il titolare di esimersi da
responsabilità dimostrando la non imputabilità
dell'evento dannoso (10).
Il rischio, poi, di un conflitto tra l'interessato e
diritti costituzionali di libertà (penso all'art. 21
cost.) è quanto mai attuale. Nell'ipotesi di
interferenza i diritti dell'interessato da una parte e il
diritto di libertà di espressione e/o di informazione
originata dal trattamento di dati personali dall'altra
(che non dia ovviamente luogo a diffamazione o ad altre
fattispecie penalmente rilevanti) l'eventuale danno
conseguente sarebbe comunque risarcibile, dal momento
che: a) è risarcibile il danno in quanto tale, e non il
danno ingiusto di cui all'art. 2043 c.c.; b) la sola
esimente è la prova liberatoria prevista dall'art. 2050
c.c. L'esercizio di un diritto garantito dalla
costituzione non esimerebbe in ogni caso dall'obbligo di
risarcire il danno in ipotesi provocato.
La tesi è forse azzardata e provocatoria, tuttavia mi
sembra coerente con la struttura dell'art. 18.
Lo squilibrio tra la tutela civilistica e l'impianto
complessivo della legge è desumibile inoltre dal tipo di
tutela giustiziale / giurisdizionale prevista.
Quest'ultima è di tipo essenzialmente procedimentale
(11), la sola concretamente ipotizzabile ed attuabile
nella soggetta materia, mentre la prima appare ancorata
ad una logica "proprietaria", nel senso che
qualsiasi lesione (12) della situazione soggettiva
assoluta facente capo all'interessato dà luogo a
risarcimento, indipendentemente dal fatto che l'autore
del trattamento abbia rispettato le norme procedimentali
previste nella legge, ovvero abbia esercitato una
libertà costituzionale.
È auspicabile che la giurisprudenza recuperi la nozione
di danno ingiusto, della quale si sente la mancanza in
questa sede.
3. I soggetti
Contrapposto
all'interessato (13) dalla parte della banca dati
troviamo tre soggetti:
* il titolare (la persona fisica, la persona
giuridica, la pubblica amministrazione e qualsiasi altro
ente, associazione od organismo cui competono le
decisioni in ordine alle finalità ed alle modalità del
trattamento di dati personali, ivi compreso il profilo
della sicurezza, art. 1, lett. d)
* il responsabile (la persona fisica, la persona
giuridica, la pubblica amministrazione e qualsiasi altro
ente, associazione od organismo preposti dal titolare al
trattamento di dati personali, art. 1, lett. e)
* gli incaricati (le persone incaricate per iscritto
di compiere le operazioni del trattamento dal titolare o
dal responsabile, e che operano sotto la loro diretta
autorità, art. 19).
Questa sequenza è strutturata gerarchicamente: il
titolare nomina il responsabile tra i soggetti dotati dei
requisiti di professionalità previsti dall'art. 8, comma
1. L'atto di preposizione (obbligatoriamente in forma
scritta) non esaurisce però gli obblighi del titolare,
il quale non solo deve fornire al responsabile le
istruzioni per il trattamento, ma è altresì tenuto ad
una periodica e penetrante verifica dell'osservanza della
legge e delle istruzioni impartite (art. 8, comma 2). Gli
incaricati a loro volta operano sotto la diretta
autorità del titolare o del responsabile, attenendosi
alle loro istruzioni.
Assistiamo dunque ad una cascata di obblighi di direzione
e di controllo che assume particolare rilevanza in sede
penale (colposa), laddove è essenziale la individuazione
delle condotte singolarmente esigibili. Il quesito
principale è difatti se la delega al responsabile possa
tranquillizzare il titolare, ponendolo al riparo da
rischi di incriminazione. La soluzione passa
necessariamente attraverso l'interpretazione
dell'estensione degli obblighi di vigilanza previsti
dall'art. 8, comma 2.
Una prima opinione esclude qualsiasi esenzione (14), in
considerazione appunto della continuità necessaria del
controllo. La disposizione citata, infatti, prevede che
il titolare vigili anche mediante verifiche periodiche,
il che presuppone altre modalità di ispezione, più
penetranti. Le verifiche periodiche sarebbero dunque un quid
pluris che non esaurisce l'obbligo del titolare.
A mio avviso la dimostrazione del puntuale assolvimento
di quest'ultimo, con riferimento al contenuto della
delega ed alle modalità concrete di controllo ha
efficacia esimente dalla responsabilità penale.
Sotto il profilo della responsabilità civile la
questione dell'imputabilità dell'illecito e delle sue
conseguenze è risolta pacificamente dall'art. 2049 c.c.,
in forza del quale il titolare sarà sempre
oggettivamente responsabile nei confronti del terzo in
virtù del rapporto di preposizione che lo lega al
responsabile ed agli incaricati. (15).
4. Il danno
Benché si tratti di
argomento tipico della lite giudiziaria, la cui
individuazione è rimessa al giudice, previa
dimostrazione della sua esistenza e del suo ammontare da
parte di colui che lo reclami, mette conto segnalare una
disposizione particolare della legge in esame.
All'art. 29, comma 9, è previsto testualmente che "il
danno non patrimoniale è risarcibile anche nei casi di
violazione dell'art. 9".
La disposizione generale in tema di danno non
patrimoniale (più comunemente conosciuto, ma
impropriamente, quale danno morale) è l'art. 2059 c.c.,
che ne limita la risarcibilità ai soli casi previsti
dalla legge. La ipotesi più frequente e solitamente
indicata come unica è il reato (16), in forza dell'art.
185 c.p.
Vi sono tuttavia nell'ordinamento altre ipotesi di danno
che non rientrano nella categoria propriamente detta del
danno patrimoniale, dal momento che non comportano
diminuzioni patrimoniali, ma che costituiscono
indubitabilmente un pregiudizio per il soggetto,
consistendo in una lesione di un diritto primario. Va
ricordato in primo luogo in proposito il c.d. danno
biologico, inteso quale pregiudizio al diritto alla
salute, all'integrità fisica (C. cost. n. 184/86); vi è
poi il danno all'immagine e all'identità personale. In
queste ultime ipotesi è agevole supporre che il
pregiudizio subito non frequentemente si concretizzerà
esclusivamente in una lesione al patrimonio, quanto
piuttosto in fastidi, patemi, sofferenze (lato sensu psichiche),
che in assenza della norma citata ben difficilmente
troverebbero ristoro secondo i principi generali
dell'ordinamento.
Ma vi è di più. L'art. 29, comma 9, nel prevedere la
generale risarcibilità del danno non patrimoniale per le
violazioni (non costituenti reato, è sottinteso) della
legge sui dati personali, ne consente il riconoscimento
anche nell'ipotesi di responsabilità presunta di cui
all'art. 2050 c.c.
Note
1) Per una ricostruzione
del sistema, cfr. M. FRANZONI, Fatti illeciti, in Comm.
del cod. civ., a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna
- Roma, 1993.
2) G. ALPA, Istituzioni di diritto privato, Torino, 1995,
p 1099.
3) Si possono citare gli esempi ormai classici della
tutela aquiliana del credito (il caso Meroni) e delle
prime affermazioni della responsabilità del produttore.
4) G. ALPA, op. cit., p. 1108 e le due opere fondamentali
in tal senso: P. TRIMARCHI, Rischio e responsabilità
oggettiva, Milano, 1961; S. RODOTÀ, Il problema della
responsabilità civile, Milano, 1964.
5) Non ci si può tuttavia esimere dal rilevare
l'impropria formulazione della disposizione, costruita
mediante il richiamo tout court ad altra norma al di
fuori del contesto di quest'ultima. È legittimo il
dubbio in proposito che il richiamo sia inteso alla sola
presunzione e non alla fattispecie di responsabilità di
cui all'art. 2050 c.c.
6) Al Convegno di studi del Centro Elettronico della
Corte di Cassazione del 1984 in Roma.
7) G. GIACOBBE, Problemi civilistici dell'era
informatica, in Banche dati e diritti della persona, Atti
del Convegno in Sciacca del 9-10 dicembre 1984, a cura di
O. Fanelli, Milano, 1986, p. 38. Si veda inoltre la
relazione introduttiva di G. MIRABELLI, ivi, p. 2 ss.,
spec. p. 9. R. BORRUSO, Per una disciplina delle banche
dei dati personali, in "Banche di dati" e
diritti della persona, Padova, 1985, p. 92.
8) Non solo, anche il professionista ed il privato in
genere, stante la citata portata generale dell'art. 18.
9) Si pensi alle imprese il cui "prodotto" è
costituito da dati personali, quali p. es. le società
che si occupano di ricerche di mercato.
10) Nel considerando n. 55 della direttiva il legislatore
comunitario esemplifica quali casi di non imputabilità
l'errore della persona interessata e la forza maggiore,
ipotesi irrilevanti nello schema dell'art. 2050 c.c.
adottato nella l. 675/96.
11) Si vedano le considerazioni di E. ROPPO, Informatica,
tutela della privacy e diritti di libertà, in Computers
e responsabilità civile, a cura di G. Alpa, Milano,
1985, p. 23.
12) Vedremo infra i problemi determinati
dall'individuazione del danno risarcibile.
13) "La persona fisica, la persona giuridica, l'ente
o l'associazione cui si riferiscono i dati
personali", art. 1, lett. f.
14) RI. IMPERIALI - RO. IMPERIALI, La tutela dei dati
personali, Milano, 1997, p. 163.
15) Ciò anche nell'ipotesi di trattamento eseguito in
appalto da imprese terze. Il dettato normativo non
consente al titolare di trasferire ad altro imprenditore,
secondo lo schema tipico del contratto di appalto, gli
obblighi di controllo. In tal senso RI. IMPERIALI - RO.
IMPERIALI, La tutela dei dati personali, Milano, 1997, p.
163 s. In sostanza saremmo sempre di fronte ad appalti
c.d. a regia.
16) Anche accertato incidentalmente dal giudice civile
nel giudizio di risarcimento.
(*) Avvocato - Studio
Legale Coliva
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