Buon
compleanno, legge 675! (note minime)
di Daniele Coliva* - 07.05.98
La legge "Tutela
delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento
dei dati personali" compie un anno. Ma non si
spengono le polemiche, spesso giustificate, che la
accompagnano fin dal momento del suo... concepimento.
Ecco un esempio, anzi, poche note minime.
Al termine di una
conversazione con alcuni colleghi sulla legge 675/96 ed i
suoi riflessi sulla professione dell'avvocato, mi fu
posta una domanda: "Scusa, ma io ad un cliente che
si presenta per affidarmi un incarico per, ad esempio,
richiedere il risarcimento del danno da colpa medica,
dovrei fornire l'informativa sul motivo del conferimento
dei dati, delle possibili conseguenze in caso negativo?
La prima reazione del cliente è sicuramente quella di
dubitare che io abbia capito l'oggetto dell'incarico che
vorrebbe affidarmi".
L'osservazione, pur nel
suo carattere estremo, pone in evidenza un'anomalia della
legge, in particolare per quanto riguarda quei soggetti
che sono soggetti in via autonoma ad un rigoroso obbligo
di riservatezza, quali appunto avvocati, medici,
ragionieri, dottori commercialisti, ecc.
Il rapporto contrattuale con costoro ha nella fornitura
di informazioni da parte del cliente un elemento
costitutivo essenziale; non basta, il segreto
professionale ha un'estensione tale da potere essere
opposto anche all'autorità giudiziaria penale.
In altri termini, il cliente, o meglio l'interessato è
perfettamente consapevole del perché deve fornire certi
dati al professionista e può contare sulla tutela della
propria privacy in funzione della normativa settoriale.
Ciò posto, ritengo che la
legge 675, con riferimento a questo aspetto particolare
non abbia aggiunto altro a quanto esisteva già
nell'ordinamento, se non un mero adempimento burocratico
di rilevanza prettamente formale, posto che il contenuto
dell'informativa di cui all'art. 10 della legge
appartiene ai motivi che hanno portato l'interessato dal
professionista.
La ratio dell'esclusione dell'obbligo di
notificazione a carico di questi ultimi (esenzione
introdotta dal d. lgs. 255/97 non solo per
"sfoltire" il numero delle notifiche, ma anche
perché il contenuto tipico del trattamento posto in
essere dai professionisti è noto e legislativamente
determinato, ed esiste già un qualcosa di assimilabile
al registro dei trattamenti, rappresentato dagli albi
professionali) è proprio ravvisabile nel fatto che
l'esigenza di pubblicità e trasparenza dei trattamenti
in tali casi è già soddisfatta dalla disciplina delle
singole professioni.
Il ragionamento può
essere tuttavia esteso anche alla delicata materia dei
dati sensibili, nella quale il congegno formale è ancora
più complesso. Il cliente dell'esempio iniziale,
richiesto del consenso (cautelativamente necessario per
la preliminare trattativa stragiudiziale), potrebbe
estendere il dubbio alle capacità del professionista. Il
meccanismo normativo urta contro la logica comune, dal
momento che a prima vista è strano che l'avvocato chieda
al cliente il consenso a trattare i dati che il cliente
stesso ha portato con sé per conferirgli l'incarico.
Questa non è la sola situazione nella quale si manifesta
questa anomalia; in realtà, in tutti i rapporti
contrattuali nei quali il passaggio di informazioni
(dati) personali è essenziale ai fini della prestazione
di una delle parti, sia per regolamento contrattuale che
per obbligo di altra fonte, appare una vera e propria
superfetazione la previsione dell'obbligo generalizzato
del consenso dell'interessato al trattamento dei suoi
dati sensibili, posto che, in primo luogo, in tali
ipotesi la mancata prestazione del consenso potrebbe
legittimare la controparte a non effettuare la
prestazione contrattuale. Si pensi al datore di lavoro in
relazione ai dati sensibili dei dipendenti, rispetto ai
quali è immanente una complessa disciplina legislativa e
regolamentare che impone trattamenti di dati personali,
anche sensibili, i quali, secondo la lettera della legge
(e delle autorizzazioni generali del garante) potrebbero
essere preclusi dalla mancanza del consenso
dell'interessato.
Le possibilità di controllo sulla fonte dei dati
sensibili, sull'oggetto del trattamento e sull'identità
del titolare erano e sono già garantite dalla stessa
natura contrattuale e personale del rapporto.
Concludo questi brevi
spunti critici, osservando che a mio avviso il
legislatore ha voluto strafare nella lodevole volontà di
approntare un meccanismo di tutela delle persone,
innestando una disciplina di "sistema", quindi
generale, senza tenere conto del sistema preesistente,
parificando sul piano degli adempimenti fattispecie ben
distinte, molte delle quali già tutelate dalla normativa
vigente, e a volte ponendosi in contrasto con la stessa
logica del rapporto interessato-titolare.
* Avvocato in Bologna
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