La tutela penale dei dati personali nella
legge n. 675/96
di Giuseppe
Corasaniti(*) - 18.02.97
I I reati previsti dalla legge del 31
dicembre 1996 n. 675, pubblicata sulla G.U. 8 gennaio
1997 (Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto
al trattamento dei dati personali) ed entrata in vigore
il giorno successivo a quello della pubblicazione si
inquadrano nella tutela della riservatezza delle persone
e dei gruppi sociali rafforzando la tutela amministrativa
indipendente prevista dalla stessa legge e riservata alla
autorità "Garante".
Così l'articolo 34 della legge (omessa o infedele
notificazione) punisce chiunque, che essendovi tenuto,
non provvede alle notificazioni prescritte dagli articoli
7 e 28, ovvero indica in esse notizie incomplete o non
rispondenti al vero, è punito con la reclusione da tre
mesi a due anni. Se il fatto concerne la notificazione
prevista dall'articolo 16, comma 1, la pena è della
reclusione sino ad anno. Si tratta di un reato proprio,
poiché in sostanza i soggetti interessati sono i
"titolari" o i "responsabili" dei
dati, intendendosi cioè, in base all'art.1 della legge
punto d) per "titolare", la persona fisica, la
persona giuridica, la pubblica amministrazione e
qualsiasi altro ente, associazione od organismo cui
competono le decisioni in ordine alle finalità ed alle
modalità del trattamento di dati personali, ivi compreso
il profilo della sicurezza, mentre, secondo il punto e)
per "responsabile", la persona fisica, la
persona giuridica, la pubblica amministrazione e
qualsiasi altro ente, associazione od organismo preposti
dal titolare al trattamento di dati personali.
Elemento costitutivo del reato, stante la sua
qualificazione di delitto, sotto il profilo soggettivo
sembrerebbe inoltre essere il dolo generico consistente
nella coscienza e volontà di omettere le comunicazioni
prescritte dalla legge o di provvedere alla medesime in
modo incompleto o non veritiero così precludendo
all'autorità di garanzia lo svolgimento delle funzioni
di tutela della riservatezza . Ipotesi attenuata
(reclusione fino ad un anno) è quella che concerne
l'omissione delle comunicazioni riguardanti la cessazione
del trattamento dei dati.
Si tratta di una fattispecie criminosa che ricalca in
linea di massima ipotesi di reato già in vigore quali ad
esempio l'art. 5 bis della legge n. 216 /1974 sulla
Consob così come modificato dalla legge n. 281/1985,
ferma restando tuttavia la strutturazione di una
fattispecie di delitto anziché contravvenzionale, il che
lascia ampi margini in sede di applicazione
giurisdizionale alla valutazione in concreto del
comportamento del titolare o del responsabile dei dati
dovendosi dimostrare non solo una mera condotta omissiva
ma una condotta omissiva o di incompleta o infedele
rappresentazione scientemente posta in essere al fine di
eludere precisi obblighi di legge, il che se da un lato
aggrava sul piano della sanzione prevista il trattamento
penale rispetto ad ipotesi criminose in qualche modo
simili (come appunto la legge sulla Consob), rende
certamente problematica l'attività di accertamento tanto
più se questa è destinata a svolgersi su iniziativa
dello stesso Garante. L'errore sul piano della stessa
interpretazione normativa o sulle caratteristiche
obiettive dei dati trattati o sui termini o i contenuti
della stessa comunicazione si prospetterà in modo
estremamente frequente, tanto più entro un quadro
normativo di non semplice applicazione.
L'art. 35 (trattamento illecito di dati personali)
prevede che salvo che il fatto costituisca più grave
reato, chiunque, al fine di trarne per sé o per altri
profitto o di recare ad altri un danno, procede al
trattamento di dati personali in violazione di quanto
disposto dagli articoli 11, 20 e 27, è punito con la
reclusione sino a due anni o, se il fatto consiste nella
comunicazione o diffusione, con la reclusione da tre mesi
a due anni. Il secondo comma prevede una ulteriore
ipotesi, quella per cui salvo che il fatto costituisca
più grave reato, chiunque, al fine di trarne per sé o
per altri profitto o di recare ad altri un danno,
comunica o diffonde dati personali in violazione di
quanto disposto dagli articoli 21, 22, 23 e 24, ovvero
del divieto di cui all'articolo 28, comma 3, è punito
con la reclusione da tre mesi a due anni. Se da tali
fatti derivi nocumento, la reclusione è da uno a tre
anni.
La configurazione di questa ipotesi delittuosa rende
evidente il dolo specifico che si inquadra nella
coscienza e volontà di compiere un abuso nel trattamento
di dati personali, effettuato a scopo di trarvi diretto o
indiretto profitto o di recar danno ad altri, che nella
ipotesi attenuata incide sui dati personali raccolti
senza il consenso dei soggetti interessati o privi dei
requisiti posti espressamente dalla legge per la
diffusione o la comunicazione a terzi o infine trattati
da soggetti pubblici (o nell'ambito di) enti pubblici
economici in assenza di espresse norme di legge o di
regolamento o la cui raccolta o elaborazione sia non
necessaria allo svolgimento delle funzioni istituzionali.
Più grave è la previsione normativa rispetto alle
comunicazioni o alle diffusioni abusive di dati
"sensibili" (e cioè atti a rivelare l'origine
razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche
o di altro genere, le opinioni politiche, l'adesione a
partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a
carattere religioso, filosofico, politico o sindacale,
nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di
salute e la vita sessuale,dati che possono essere oggetto
di trattamento solo con il consenso scritto
dell'interessato e previa autorizzazione del Garante), di
dati inerenti alla salute o di dati relativi a iscrizioni
nel casellario giudiziale (come ad esempio la descrizione
articolata dei precedenti penali di una determinata
persona) o infine trasferiti all'estero in Stati non
assicuranti un livello di protezione idoneo. Ulteriore
aggravio sul piano sanzionatorio consegue alla
effettuazione di danno agli interessati in conseguenza
(diretta) della comunicazione o diffusione abusiva.
È quindi doveroso richiamare l'art. 1 della legge che
definisce (punto f) per "interessato", la
persona fisica, la persona giuridica, l'ente o
l'associazione cui si riferiscono i dati personali; per
"comunicazione", (punto g) il dare conoscenza
dei dati personali a uno o più soggetti determinati
diversi dall'interessato, in qualunque forma, anche
mediante la loro messa a disposizione o consultazione;
per "diffusione" (punto h), il dare conoscenza
dei dati personali a soggetti indeterminati, in qualunque
forma, anche mediante la loro messa a disposizione o
consultazione.
È infatti sul terreno dell'elemento oggettivo della
condotta criminosa che facilmente si prospetteranno i
più frequenti dubbi interpretativi, potendosi da un lato
privilegiare una interpretazione "letterale"
estensiva e dall'altro prospettare un criterio più
restrittivo e limitato alle raccolte di dati o
informazioni secondo criteri significativi e rilevanti
nella raccolta o nella ricerca, e posto che il
trattamento dei dati personali cui la legge si riferisce
in base all'art. 5 è anche quello svolto "senza
l'ausilio di mezzi elettronici" e che il concetto di
"dato personale " e di trattamento cui si
riferiscono i punti b) e c) dell'art. 1 della legge
intendono per "trattamento", qualunque
operazione o complesso di operazioni, svolti con o senza
l'ausilio di mezzi elettronici o comunque automatizzati,
concernenti la raccolta, la registrazione,
l'organizzazione, la conservazione, l'elaborazione, la
modificazione, la selezione, l'estrazione, il raffronto,
l'utilizzo, l'interconnessione, il blocco, la
comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la
distruzione di dati e per per "dato personale",
qualunque informazione relativa a persona fisica, persona
giuridica, ente od associazione, identificati o
identificabili, anche indirettamente, mediante
riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso
un numero di identificazione personale. Secondo l'art. 36
(Omessa adozione di misure necessarie alla sicurezza dei
dati) chiunque, essendovi tenuto, omette di adottare le
misure necessarie a garantire la sicurezza dei dati
personali, in violazione delle disposizioni dei
regolamenti di cui ai commi 2 e 3 dell'articolo 15, è
punito con la reclusione sino ad un anno. Se dal fatto
deriva nocumento, la pena è della reclusione da due mesi
a due anni. Se il fatto è commesso per colpa si applica
la reclusione fino a un anno.
La disposizione si applicherebbe in base a quanto
disposto dal 2 comma dell'art. 3 della legge anche ai
dati trattati da persone fisiche per fini esclusivamente
personali e, in base al comma 2 dell'art. 4, anche ai
trattamenti di dati in ambito pubblico esonerati
dall'applicazione della normativa generale sulla
riservatezza (CED del Ministero dell'interno in base alla
legge 121 /1981, raccolte informative dei servizi
segreti, casellario giudiziale,servizi di informatica
giudiziaria o gestiti da soggetti pubblici in relazione a
finalità di difesa, sicurezza dello Stato,accertamento o
repressione di reati in base a specifiche norme di legge
regolatrici del trattamento) così di fatto
introducendosi una estensione della sanzione penale sia
con riguardo alla intenzionale omissione di misure di
sicurezza (che peraltro debbono essere prescritte in via
regolamentare) sia con riguardo alla semplice omissione
colposa, cui consegue una sanzione più lieve.
Dubbi possono fondarsi in ordine alla razionalità e
quindi alla costituzionalità della disposizione, poiché
essa appare indeterminata quanto alla qualificazione del
soggetto effettivamente responsabile sul piano
organizzativo e quanto alla sproporzione ed alla
manifesta inconguità di una sanzione collegabile anche
al mero stato di colpa, tanto più laddove in sede civile
la stessa legge in commento prevede (art.18) il ricorso
all'art. 2050 C.C. (così equiparandosi di fatto il
trattamento dei dati personali o forse soltanto il
trattamento dei dati svolto in violazione alla legge ad
"attività pericolosa") e quindi con
l'inversione dell'onere della prova nei casi di giudizi
avviati per il risarcimento dei danni, sicché per natura
(dell'attività informativa svolta in concreto) o per la
natura dei mezzi adoperati, il titolare o il responsabile
è tenuto al risarcimento se non prova di avere adottato
tutte le misure idonee a evitare il danno.
Sul piano pratico inoltre è bene rilevare che le misure
necessarie a garantire la sicurezza dei dati personali
sono quelle individuate dalla fonte regolamentare, che
probabilmente dovrà limitarsi ad indicare una serie di
cautele tecniche di massima in rapporto alle
caratteristiche ed alle dimensioni del sistema
informativo di volta in volta interessato, dalla copia di
backup dei dati alle protezioni logiche contro gli
accessi abusivi (passwords o codici di validazione), alla
protezione fisica dei terminali o degli uffici, alla
identificazione dei responsabili degli accessi con
registrazione di ogni accesso ai dati personali. La
regolamentazione dovrà in sostanza limitarsi a
prescrivere le protezioni tecniche più adeguate in base
all'esperienza comune, trattandosi di "misure
minime" e non di "standards" di elevata
sicurezza da adottare in via preventiva dai soggetti
titolari e responsabili.
Si tratta di una norma di mera proclamazione che richiede
una grande sensibilità applicativa sopratutto sul piano
tecnico.
È posto a tutela dell'azione del Garante l'art. 37, che
sanziona l'inosservanza dei provvedimenti del Garante.
Chiunque, essendovi tenuto, non osserva il provvedimento
adottato dal Garante ai sensi dell'articolo 22, comma 2,
o dell'articolo 29, commi 4 e 5, è punito con la
reclusione da tre mesi a due anni. I provvedimenti del
Garante cui la norma si riferisce sono quelli relativi ai
diritti di accesso, di certificazione, di cancellazione e
di rettifica riconosciuti espressamente all'interessato
dall'art. 13 della legge.
L'art. 38 stabilisce infine la pena accessoria della
pubblicazione della sentenza nei casi di condanna per uno
dei delitti previsti dalla legge.
L'art. 39 pone sanzioni amministrative a carattere
pecuniario per chiunque ometta di fornire le informazioni
o di esibire i documenti richiesti dal Garante ai sensi
degli articoli 29, comma 4, e 32, comma 1, (pagamento di
una somma da lire un milione a lire sei milioni). Più
attenuata è la sanzione per la violazione delle
disposizioni di cui agli articoli 10 e 23, comma 2,
(pagamento di una somma da lire cinquecentomila a lire
tre milioni). L'organo competente a ricevere il rapporto
e ad irrogare le sanzioni di cui al presente articolo è
il Garante. Si osservano nel procedimento, in quanto
applicabili, le disposizioni della legge 24 novembre
1981, n. 689, e successive modificazioni.
Merita infine attenzione l'art. 40. (Comunicazioni al
Garante), in base al quale copia dei provvedimenti emessi
dall'autorità giudiziaria in relazione a quanto previsto
dalla presente legge e dalla legge 23 dicembre 1993, n.
547, è trasmessa, a cura della cancelleria, al Garante.
Si tratta di una norma che si giustifica nell'intento di
avviare un vero e proprio monitoraggio tanto
dell'applicazione delle sanzioni penali previste nella
legge 675 (ma anche - si badi - con riferimento alla
giurisprudenza civile o alle decisioni conseguenti alle
opposizioni alle sanzioni amministrative), quanto più in
generale con riguardo ai reati previsti dalla legge sui
reati informatici. La finalità della prescrizione è
quella di costituire un "osservatorio"
qualificato sia sui problemi giurisprudenziali che sulle
problematiche tecnologiche che si legano alla
applicazione della nuova disciplina. E non è cosa di
poco conto.
(*) Magistrato,
docente alla Luiss di Diritto dei mezzi di comunicazione
di massa
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