Quando è lecito spiare i cittadini?
di Manlio Cammarata - 30.10.03
Nelle cronache degli ultimi giorni sulla cattura dei brigatisti rossi che
avrebbero ucciso il professor D'Antona e forse anche il professor Biagi è stato
dato grande rilievo agli aspetti tecnologici delle indagini, dall'esame dei
computer palmari all'elaborazione dei "tabulati" delle conversazioni
telefoniche degli indagati, risalenti ad alcuni anni fa. Gli investigatori hanno
sottolineato che, se fosse stato già in vigore il decreto legislativo 196/03
(che all'art. 132 limita a trenta mesi
la conservazione dei dati) non sarebbe stato possibile giungere alla
ricostruzione dei fatti e alla cattura dei presunti responsabili.
L'osservazione è di quelle che fanno riflettere, perché riguarda il tema
del bilanciamento tra la protezione della riservatezza e le esigenze della
sicurezza. Una contrapposizione di grande rilevanza, per la quale è stata
proposta una soluzione che dovrebbe mettere tutti d'accordo e che è stata
accettata in linea di principio dallo stesso Rodotà: conservare sì i dati per
cinque anni, ma affidandoli a un soggetto che dia la massima garanzia di
riservatezza (e che potrebbe essere lo stesso Garante per la protezione dei dati
personali).
Tra la proposta e la sua realizzazione pratica si possono intuire non poche
difficoltà tecniche e organizzative, tuttavia superabili. Ma i problemi dei
trattamenti di dati personali in funzione della prevenzione e repressione dei
reati e della sicurezza nazionale non si esauriscono con i tabulati telefonici e
pongono in ogni momento la questione del bilanciamento tra le esigenze della
sicurezza dello Stato e il diritto alla riservatezza dei cittadini.
Forse la difficoltà di risolvere questa inevitabile contrapposizione tra chi
difende l'ordine pubblico e chi protegge la privacy è all'origine del
ritardo nella pubblicazione dell' "Allegato C" del codice della
protezione dei dati personali. Anche se il titolo "Trattamenti non occasionali effettuati in ambito giudiziario o per fini di
polizia" fa nascere la curiosità di sapere se ci sono o ci saranno regole
anche per i "trattamenti occasionali".
Il fatto è che ci sono archivi delle forze dell'ordine che contengono una
quantità enorme di informazioni personali: pensiamo alla registrazione delle
presenze negli alberghi o alle verifiche di identità compiute durante i
controlli casuali sul territorio, per fare i primi esempi che vengono alla mente
e per non parlare della nascente banca di dati della carta d'identità
elettronica, che di fatto comporterà una schedatura totale dei cittadini.
E non dimentichiamo gli ormai onnipresenti sistemi di videosorveglianza, anche
questi spesso di vitale importanza per le attività di contrasto al crimine.
Nessun cittadino di buon senso può negare l'utilità di queste raccolte di
dati e, anzi, trovarsi in un luogo pubblico sotto l'occhio di una telecamera
può essere in qualche caso rassicurante. Non è difficile accettare qualche
limitazione alla propria riservatezza, se essa si traduce realmente in una
maggiore tranquillità.
Ma il problema è che spesso non sappiamo chi raccoglie queste informazioni, per
quanto tempo le conserva, chi può accedervi. E' necessaria una maggiore
trasparenza, occorrono garanzie che oggi non ci sono o appaiono insufficienti.
Certo, non è realistico pensare di affidare questa enorme massa di dati in mano
pubblica a qualche autorità di garanzia, ma sono necessarie regole meno vaghe
e, soprattutto, si devono adottare strumenti efficaci per controllarne
l'applicazione.
Tutto questo, però, riguarda l'ambito pubblico nel senso più lato. Dall'uso
delle reti pubbliche di telecomunicazioni al transito nelle strade o in altri
luoghi aperti a tutti, si può avere la consapevolezza dei controlli e
accettarli in funzione della sicurezza collettiva, purché con adeguate
garanzie. Ma quando si passa all'ambito individuale, al controllo di
comportamenti privati senza la giustificazione dell'ordine pubblico, il discorso
cambia. Le norme sulla protezione dei dati personali non sono più in conflitto
con superiori esigenze di tutela della collettività, ma solo, in molti casi,
con gli interessi economici di qualche settore commerciale. E qui la legge c'è,
è chiara e va applicata senza riserve.
Per chi non lo avesse capito, stiamo parlando di un problema che abbiamo
sollevato più volte e continueremo a richiamare fino a quando non sarà stato
risolto: quello dei controlli mediante software spioni che inviano a qualcuno
informazioni che ci riguardano, e magari anche all'estero, in palese violazione
della normativa nazionale e comunitaria sul trattamento dei dati personali (vedi
Attenzione: il software ci spia! di due settimane fa).
Qualche forma di controllo sulla vita privata dei cittadini da parte delle
autorità costituite può essere accettabile, con limiti ben definiti e solo nei
casi in cui i danni dell'invasività non siano più pesanti dei vantaggi, come
nel caso della documentazione del traffico telefonico.
Il controllo operato dalle multinazionali commerciali non ha giustificazioni:
nelle forme attuali viola quello che è ormai riconosciuto come un diritto
fondamentale della persona e deve essere ricondotto nell'ambito della legalità.
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