Battaglia sulla privacy: la
UE non ceda agli USA
di Claudio Manganelli*
- 16.03.2000
Nei giorni scorsi, sul
Wall Street Journal, appariva un articolo sul dibattito tra USA e
Unione Europea in materia delle regole da applicare ad Internet per
tutelare la privacy dei suoi navigatori e dei consumatori del
cybermercato. Il dibattito è infatti in atto da più di due anni ma
non deve essere circoscritto alla sola Rete; la Direttiva europea
fissa infatti norme precise da applicare a qualunque flusso di dati
personali verso Paesi Terzi, Paesi cioè non sottoscrittori della
Direttiva stessa.
Non si può certamente ritenere che gli USA siano, rispetto alla
Comunità europea, un paese insicuro, dove le informazioni riguardanti
i cittadini europei possano essere utilizzate per fini illeciti o
discriminatori, ma è indubbio che i punti di vista in materia di
privacy e tutela della dignità dell'individuo siano, tra le due
culture, sensibilmente distanti.
Inoltre, mentre l'Unione
europea protegge la riservatezza dei dati attraverso la legislazione,
negli Usa la tutela è affidata a codici di autodisciplina o di
categoria: inoltre leggi federali e statali sono in grado di
intervenire con rigore estremamente oneroso, in caso di lesioni all'immagine
dei cittadini o frodi commerciali. Ma questa differenza non sembra
essere stata ben ponderata dai negoziatori statunitensi e proprio nell'articolo
citato, il negoziatore principe, David Aaron, sottosegretario uscente
al commercio, ha schierato sul campo tutta la arroganza economica dell'imprenditoria
USA, bollando come antiquata la Direttiva europea, definendola vecchia
di 10 anni. Fortunatamente il criterio di numerazione delle normative
comunitarie può smentire questa affermazione: infatti la normativa in
questione è più nota come Direttiva 95/46 e quindi emanata meno di
cinque anni fa.
Possiamo anche
concordare sul fatto che lo scenario di settore è in forte evoluzione
e quindi le norme debbano seguire da vicino i cambiamenti in corso,
adeguandosi con tempestività ad essi; ma allora perché sull'altra
sponda dell'Atlantico, inconfutabile culla delle scienze
informatiche e telematiche, incubatore di ogni ritrovato tecnologico
in grado di sminuzzare ogni attimo della nostra vita, analizzarlo,
correlarlo e ricomporlo sino a creare modelli di chiunque passi
attraverso le maglie delle applicazioni digitali, non si fa uno sforzo
concreto per avviare la costruzione di un ponte comune che valichi il
divario, contemperando i bisogni del liberismo mercantile con il
rispetto dei diritti fondamentali dell'individuo e della sua
dignità.
La soluzione del
"porto sicuro" proposta dagli USA è ben poca cosa quando si
ipotizza che l'adesione ai suoi principi da parte delle aziende
statunitensi debba essere su base volontaria, che il rispetto delle
regole autodeterminate sia affidato ad organismi privati, che la
soluzione delle controversie sia innanzi tutto affidata alla buona
volontà dei Garanti europei di interagire con le imprese americane,
poi esercitata sul piano giuridico nei Fori di competenza delle sedi
delle imprese stesse. Si immagini il caso di un risparmiatore europeo
che, comprato un piano finanziario a medio termine o una polizza vita
o infortuni, si veda rifiutare i benefici previsti al momento della
maturazione del diritto per qualche cavillo non chiaro o per
dissoluzione dell'impresa stessa; o l'acquirente di un programma
turistico ben presentato, che si trovi di fronte ad una deludente
realtà, completamente diversa dal piano virtuale. Quanto potrà
costare l'esercizio dei suoi diritti presso un Foro statunitense?
I rappresentanti
italiani hanno proposto una alternativa basata su soluzioni
contrattuali di settore dove poche regole, ma rigorose e chiare per un
loro efficace esercizio, debbano essere determinate tra i due scenari;
ma il portavoce statunitense le giudica inefficaci ancor prima di
discuterle e le definisce tardive, proteso come è a concludere i
negoziati secondo i suoi desiderata, anche ricorrendo a qualche
alfiere comunitario, prima di uscire definitivamente dal ruolo.
Dall'imprenditoria italiana vengono forti incitamenti al Governo per
mettere presto in atto un programma di incentivazione e sostegno alla
crescita di un mercato elettronico, nell'auspicio che l'e-commerce
possa offrire nuovi spazi di sviluppo e ripresa dell'economia
nazionale; ma il Governo deve fare di più e presso il Parlamento
europeo i nostri rappresentanti debbono trovare alleati per non
affievolire la tutela dei diritti del cittadino di fronte al mercato e
convincere gli USA ad affiancare, al progetto di "safe harbor",
soluzioni credibili di garanzia che solo organismi federali, disposti
a collaborare a tutto campo e affiancare con continuità i Garanti
europei, sono in grado di assicurare.
Le forzature che Aaron
cerca d'imporre alla trattativa, facendosi affiancare dall'europeo
John Mogg, capo della DG XVI, al punto di annunciare tramite le
agenzie una conferenza stampa in modo da precedere e togliere
efficacia all'audizione che i rappresentanti dei Paesi europei, tra
cui Stefano Rodotà, hanno avuto dinanzi alla Commissione per le
libertà dei cittadini, dovrebbero mettere in guardia il Parlamento
europeo sulle cautele da adottare per pervenire ad una soluzione. Che
non ci sia da fidarsi di questa strana combine lo dimostra anche la
presenza, tra gli esperti consultati nel corso dell'audizione, di
Mark Rotemberg, statunitense, direttore dell' Electronic Privacy
Foundation Center, acceso sostenitore del diritto alla privacy da
parte dei suoi concittadini.
(Da Italia Oggi
del 23 febbraio 2000)
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