Tra
tutela dei dati e diritto di sapere
di Manlio Cammarata -
29.09.97
Ancora una volta un fatto
di cronaca richiama i problemi della tutela della
riservatezza e ancora una volta il Garante interviene per
chiarire il campo di applicazione della legge 675/96. Si
tratta del caso dei dipendenti dell'INPS che hanno
divulgato dati relativi alle retribuzioni di alcuni
personaggi, suscitando una polemica incidentale su una
possibile violazione della normativa sui dati personali.
Con il suo comunicato il Garante ha definito
"corretta l'esposizione di importi relativi a classi
stipendiali, retribuzioni, indennità e altri emolumenti
che, pur riferiti a determinate persone fisiche,
soddisfano l'interesse pubblico alla conoscenza della
prassi in atto presso soggetti che operano, di regola,
secondo logiche privatistiche ed in base a logiche di
mercato, ma svolgono attività aventi una particolare
connotazione pubblicistica".
Tra il diritto dell'individuo alla riservatezza e il
diritto del pubblico di sapere, in questo caso il Garante
ritiene prevalente il secondo. Si legge infatti nel
comunicato che l'applicabilità della legge "non
comporta necessariamente un regime di assoluta
riservatezza dei dati, dovendosi verificare caso per caso
se esistono altri diritti o interessi meritevoli di pari
o superiore tutela". Interpretazione che è
difficile non condividere e che va confrontata con
l'orientamento espresso in seguito alle polemiche sulla
morte di Diana Spencer.
In un'intervista alla Repubblica il professor Rodotà aveva parlato
di "accanimento informativo", ma aveva
avvertito il rischio che sull'onda emotiva suscitata
dalla vicenda si innestassero tentativi di imporre forme
di censura: "Ci sono state delle esagerazioni. Il
rischio è che su questo si innesti una campagna per
introdurre limitazioni alla libertà di stampa".
Il senso di queste
osservazioni è chiaro: l'interesse pubblico
all'informazione deve prevalere sulla tutela della
privacy fino a "quando ne va di mezzo la dignità
della persona". Aggiunge il Garante: "La mia
preoccupazione è sempre stata quella di non limitare il
diritto costituzionale all' informazione. Ma dopo questa
tragica vicenda dovremo approfondire ancora di più la
riflessione".
Questo è il punto. La
legge 675/96, con il suo pedante e aggrovigliato elenco
di regole ed eccezioni, non offre appigli per capire come
il diritto alla riservatezza debba collocarsi nel quadro
complessivo dei diritti e dei doveri che caratterizza la
società dell'informazione. Rodotà, in via del tutto
informale, mette lucidamente a fuoco il problema e offre
importanti indicazioni per la sua soluzione.
Tuttavia un comunicato stampa o un'intervista non hanno
il potere di modificare una legge. Le
"interpretazioni mediatiche", purtroppo, sono
di scarso aiuto di fronte ai problemi applicativi della
675/96. E' necessario che dall'ufficio del Garante
vengano indicazioni certe (per esempio, con un bollettino
ufficiale che riporti le decisioni sui casi esaminati),
per avere un punto di riferimento valido per
l'interpretazione della legge.
Tornando al caso dei dati
INPS, si deve riflettere sull'affermazione di uno dei
responsabili della violazione del sistema informativo:
lì dentro c'è una massa di dati tale da consentire non
solo di tracciare il profilo personale di ciascuno di
noi, ma anche di scovare uno per uno gli evasori fiscali.
Qui si ricade in una delle questioni fondamentali della
tutela della riservatezza: l'uso dei dati, la loro
elaborazione a fini legittimi o illegittimi e soprattutto
la loro sicurezza.
In ogni caso, dovrebbe finalmente essere la volta buona
per mettere alla prova la legge 547/93 sui crimini
informatici. Staremo a vedere.
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