La
privacy e la sindrome di Penelope
di Marco Maglio* -
29.09.97
Per un curioso paradosso,
il problema della privacy da qualche tempo è
posto sotto le luci della ribalta. E sconfortante
osservare che nel dibattito attualmente in corso nel
nostro paese su questo tema, a parte gli interventi del
Garante per la tutela dei dati personali, sempre
esemplari per la chiarezza ed ineccepibili per i
contenuti, in generale prevalgono gli interessi di
bottega e uno sterile spirito polemico verso la legge
sulla tutela della riservatezza che il Parlamento ha
recentemente approvato: un redivivo Ennio Flaiano
concluderebbe, sconsolato, dicendo: " Ho poche idee,
ma confuse".
Ma a saper andare alla
radice delle cose, il problema della tutela della
riservatezza si identifica con la fondamentale questione
del rapporto tra lindividuo e la collettività: dal
diritto ad essere lasciati soli, alla pretesa di
stabilire se, come e quando far circolare le informazioni
che ci riguardano. E per argomenti come questo, è il
caso di dirlo, ciò che potrebbe apparire solo giuridico
si trasfigura e il diritto si "intinge" nella
politica.
Anche per questo motivo il
vero obiettivo delle nuove norme sulla "tutela della
privacy" è la diffusione della cultura
della riservatezza e del rispetto; quindi, è
essenziale che al di là delle regole si affermi lo
spirito della nuova legge.
Ma che cosa vuol dire,
concretamente, cultura del rispetto? Il criterio
fondamentale che ispira questa concezione del mondo è
che ogni soggetto ha il diritto di esercitare un
controllo sui dati che lo descrivono come individuo e lo
distinguono da tutti gli altri consociati: tuttavia
leffettività di tale principio è compromessa se
linteressato non ha ricevuto tutte le informazioni
necessarie per esercitare consapevolmente quel controllo.
Solo colui che sa può orientare consapevolmente le sue
manifestazioni di volontà. Per dirla con un motto
fondamentale nelle società veramente democratiche:
"conoscere per deliberare".
Per dare un senso compiuto
alla cultura della riservatezza, è indispensabile
avvicinarsi a questo problema con un approccio concreto,
avendo cura di comprendere la rilevanza del rapporto che
intercorre tra la vita quotidiana delle persone e la
potenziale violazione della riservatezza per trattamento
abusivo dei dati personali di un soggetto. A questo
proposito qualcuno ha affermato, aprendo nuovi orizzonti
alla metafisica, che nellodierna civiltà dei
consumi una persona è costituita da tre elementi: corpo,
anima e carta di credito. Basta rivolgere lo sguardo ad
occidente, verso la nuova frontiera tecnologica, per
rendersene conto: negli Stati Uniti i grandi "uffici
per il credito" che vendono dati a chi fa
pubblicità personalizzata, utilizzano sistemi on-line
basati su enormi calcolatori, dotati di potenti sistemi
di gestione dei database. Se, ad esempio, una
banca chiede a questi uffici una relazione sul fido per
un cliente, la può ottenere in tempo reale. Queste
relazioni contenenti nomi, indirizzi, numeri della
previdenza sociale e passato creditizio di un soggetto,
vengono aggiornate automaticamente ogni mese, ricorrendo
come fonti di informazioni a banche, compagnie di carte
di credito, dettaglianti e ditte che noleggiano
automobili. Se questa è la realtà si può facilmente
comprendere che i dati personali, relativi alle
operazioni economiche poste in essere da ogni individuo,
costituiscono un patrimonio particolarmente importante
per chiunque voglia fare un uso anche solo commerciale
dei dati personali.
Anche per questi motivi va
apprezzata la scelta coraggiosa che ha spinto il nostro
Garante per la tutela dei dati personali ad occuparsi,
nel suo primo intervento, del delicato rapporto
banche-clienti.
Certamente i punti
interrogativi, legati alla privacy sono molti, gli
equilibri da raggiungere sono precari e gli interessi in
gioco sono assai rilevanti. Il tempo ci dirà molte cose,
ma fin dora è essenziale che chi ha la
responsabilità di dare impulso alla cultura della
riservatezza nel nostro paese non sia vittima di
quellattitudine che Penelope elevò a strategia per
sopportare lassedio dei Proci, disfacendo di notte
quello che aveva tessuto di giorno: chiameremo questa
condotta sindrome di Penelope.
Fuor di metafora, è
auspicabile che quando il Garante fissa un principio,
questo resti saldamente affermato e costituisca un filo,
magari sottile ma resistente, nellarazzo che si va
lentamente delineando per rappresentare la cultura del
rispetto. Perciò le manovre destinate a svuotare quei
principi o, peggio, per non soggiacere alle norme di
legge, accampando lesistenza di interessi superiori
e prevalenti rispetto alla tutela del singolo, dovrebbero
essere assolutamente sconfessate.
Allora cerchiamo dei punti
fermi: per fare un esempio, il Garante ha già affermato
la rilevanza assoluta del principio di finalità che
trova compiuta espressione nella legge italiana sulla
tutela della riservatezza: i dati personali possono
essere utilizzati lecitamente a patto che siano
utilizzati per fini non incompatibili con quelli per i
quali sono stati raccolti . Questo è un elemento da
tenere presente se si mira davvero a diffondere il senso
del rispetto. Una delle più gravi lesioni della
riservatezza delle persone nel trattamento dei dati
personali risiede proprio nel potenziale uso distorto dei
dati altrui.
Il rispetto delle
finalità per le quali il dato è stato raccolto
rappresenta il fondamento sul quale ledificio della
cultura della riservatezza si deve edificare.
Daltra parte, chiediamoci quanto sia lesivo
dellaltrui riservatezza latto con cui
unorganizzazione politica comunica (o, per meglio
dire, vende) ad una azienda commerciale i dati personali
raccolti nella procedura prevista per presentare, ad
esempio, una proposta referendaria. Domandiamoci a quale
scopo il cittadino che ha aderito a
quelliniziativa, fornendo i suoi dati personali, ha
consentito che lorganizzazione politica detenesse
quelle informazioni: per appoggiare la proposta
referendaria o per far vendere quei dati ad
unimpresa? Non sembri un esempio di fantasia
perché purtroppo, nel nostro paese, è successo anche
questo.
In conclusione, la
prospettiva della "nuova cultura del rispetto"
è ricca di interessanti sviluppi: e certamente il
Garante per la tutela dei dati personali, se saprà
contrastare con intelligenza e senso di realtà la sindrome
di Penelope, offrirà allindividuo ed alla
collettività un importante strumento di tutela per il
libero sviluppo della personalità di ognuno di noi.
In ogni caso, anche nella
vicenda della tutela della riservatezza rispetto al
trattamento dei dati personali, gli appelli alla
correttezza intellettuale ed i richiami a saper cogliere
la vera essenza dei rapporti giuridici hanno come fine
ultimo la realizzazione di una riforma sistematica che
contribuisca ad avvicinare il nostro paese ai veri
traguardi di civiltà.
Proprio per questo è
quanto mai attuale ciò che, più di trentanni fa,
è stato osservato da Stefano Rodotà a proposito della
valenza intimamente politica della scienza giuridica:
"nessuna rivoluzione sociale può veramente
compiersi senza la consapevolezza degli strumenti
giuridici che impiega e soltanto lignoranza o il
cinico abbandono possono far ritenere che nei nostri
tempi, al diritto sia riservata soltanto una oscura ed
indifferente funzione tecnica".
Pertanto laffermarsi
della cosiddetta società dellinformazione, con le
tante questioni che propone a chi voglia riflettere,
lancia anche una concreta sfida, prima di tutto, ai
legislatori ed ai giuristi ed alla loro capacità
razionale di definire un nuovo ordine di rapporti sociali
in un equilibrato ordinamento di norme.
E una sfida
senzaltro sostenibile: a patto di non essere
vittime della sindrome di Penelope.
*
Avvocato
- Presidente della Commisione per la Legislazione e
lAutodisciplina di AIDiM (Associazione Italiana per
il Direct Marketing)
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