Sapete cos'è il Comma 22? Se pensate ad una legge siete fuori strada. Comma
22 è il titolo di un libro che quando fu pubblicato, nel 1961, divenne un caso
letterario: era una irriverente critica al militarismo, fatta narrando le
avventure di un gruppo di aviatori statunitensi impegnati nei bombardamenti in
Italia durante la Seconda Guerra Mondiale. Pochi ricordano il nome del suo
autore (era Joseph Heller) ma quasi tutti hanno presente cosa prevede in quel
libro il regolamento militare per disciplinare le richieste di congedo. La
regola base è la seguente: "Articolo 12, Comma 1 - L'unico motivo valido per
chiedere il congedo dal fronte è la pazzia". Sembra tutto chiaro e logico. Ma
la regola è contraddetta appunto dal famigerato Comma 22 che suona pressappoco
così: "Articolo 12, Comma 22 - Chiunque chieda il congedo dal fronte non è
pazzo". Insomma, il significato è semplice; non chiedete di essere congedati:
è inutile!
Penso spesso a questo genere di paradossi e mi chiedo se le norme con le
quali ho a che fare nella mia attività quotidiana di giurista non nascondano
insidie di questo tipo. Ultimamente ho l'impressione di aver trovato anche io
un Comma 22 nella normativa in materia di tutela dei dati personali.
Mi riferisco alla situazione surreale che si crea mettendo insieme due
aspetti essenziali di questa normativa, con la quale tutti, imprese e
consumatori, istituzioni e cittadini, abbiamo a che fare. Quali sono questi due
aspetti paradossali? È presto detto: il primo aspetto da considerare è il
principio fondamentale sul quale questa legge si basa: per poter contattare una
persona con un messaggio commerciale a lei indirizzato è necessario disporre
del suo preventivo consenso. Questa volontà di essere contattato deve essere
espressa (quindi non si può desumere da comportamenti concludenti) e deve
essere informata, cioè deve essere stata formulata solo dopo aver ricevuto
indicazioni precise su alcuni elementi elencati dalla legge: l'identità del
soggetto che effettua il contatto; le finalità del messaggio; le modalità di
utilizzo dei dati personali ed i diritti che il destinatario può esercitare per
integrare, correggere, modificare o far cancellare le informazioni di cui il
mittente del messaggio dispone. In estrema sintesi, se la persona non ha chiesto
espressamente di essere contattata, non è legittimo inviarle messaggi
promozionali.
La regola è rigorosa, alle imprese non piace ma ed ha una sua logica e fino
a poco tempo fa era temperata da un'importante eccezione che la rendeva
accettabile ai soggetti economici: esisteva infatti la possibilità di
contattare liberamente le persone i cui dati di recapito erano riportati in
liste pubbliche, quali ad esempio gli elenchi telefonici o le liste elettorali.
Anche in assenza del loro consenso preventivo si potevano utilizzare questi dati
di recapito per chiedere alle persone se volevano ricevere offerte
personalizzate. In caso di rifiuto e di richiesta di cancellare il dato,
ovviamente il mittente era tenuto a non disturbare ulteriormente la persona.
Ma ecco sopraggiungere il secondo aspetto della questione che interviene per
rendere surreale la situazione, creando un paradossale effetto "Comma 22":
la nuova disciplina introdotta dalla normativa italiana prevede che l'elenco
telefonico e le liste elettorali non possono più essere utilizzati liberamente
per fini di comunicazione commerciale indirizzata. Quindi, in definitiva,
proprio come nel regolamento militare di Heller, "per contattare direttamente
qualcuno occorre il suo preventivo consenso, ma non si può contattare qualcuno
per chiedere il suo consenso"! Un vero capolavoro di logica giuridica, la cui
sintesi è semplicemente questa: la comunicazione commerciale diretta non
richiesta dal destinatario del messaggio è vietata.
Quando racconto questa situazione a colleghi ed imprese straniere la reazione
è sempre la stessa: sorridono. Sono tutti divertiti dal fatto che in Italia non
ci si preoccupi di tutelare quello che all'estero viene definito il "diritto
al primo contatto commerciale". È facile capire dalla reazione dei miei
interlocutori che questo paradosso normativo non è un fatto comune ma è solo
una scelta del nostro legislatore che non tiene conto di un dato di fatto banale
ma essenziale: il messaggio pubblicitario, salve rarissime eccezioni, non è mai
richiesto dal destinatario, a meno che quest'ultimo non sia stato messo in
condizioni di scegliere se ricevere o rifiutare, in base ai suoi interessi, un'informazione
che gli viene comunque offerta. E, se vogliamo sintetizzare una situazione in
realtà molto complessa, il vero problema risiede proprio in questa falsa
equazione che sembra aver ispirato il nostro legislatore: pubblicità non
sollecitata uguale a pubblicità indesiderata. Ma siamo sicuri che sia proprio
così? La storia dello sviluppo economico dimostra che l'equazione non solo è
errata, ma è anche pericolosa perché mina alla radice uno degli strumenti più
importanti per la nascita di nuove aziende e per favorirne la libera
concorrenza: la comunicazione diretta con i potenziali clienti. Stiamo attenti
al Comma 22. In tempi di crisi economica può costare molto caro.
|