Le perplessità di un giurista di
fronte al D.Lgs 171/1998
LA PRIVACY E LA TIGRE DI CARTA
di Marco
Maglio - 21.07.98
"Nessuna legge è tanto
santa
che non convenga mutarla
sotto l'impulso della necessità"
Jean Bodin (1530-1596)
C'è una pericolosa attitudine mentale che
domina, con malcelata diffidenza, le discussioni connesse alla tutela della vita
privata nella moderna società dell'informazione. Si tratta, per la verità,
di un pericolo più apparente che reale del quale non bisogna avere troppa paura
ma che affligge chi cerci di tirare le fila del dibattito in atto sull'itinerario
italiano del diritto alla riservatezza. Chiunque analizzi con attenzione la
sostanza degli interventi legislativi e dottrinari non potrà, infatti, fare a
meno di constatare la tendenza degli interpreti alla "stagnazione
intellettuale" e alla rigidità mentale, magari camuffata da rigore
concettuale, che impedisce, al legislatore come al giurista, di cogliere il vero
senso delle questioni legate al fenomeno e non consente di affrontare i reali
interessi che si agitano dietro gli schemi astratti delle norme.
Se ne è reso ben conto Guido Calabresi il quale
in un recente convegno dedicato alla Società dell'informazione e alla tutela
della riservatezza ha proposto, con l'abituale arguzia, una semplice
osservazione: negli Stati Uniti quando si parla di privacy i testi
costituzionali contengono sempre la parola "ragionevolezza" e
non descrivono la protezione della riservatezza in termini assoluti ma
individuano una linea di mediazione che rende legittima ogni disposizione
limitativa della privacy di soggetti nei propri luoghi più personali.
Nell'esperienza statunitense, quindi, chi ha scritto la Costituzione americana
ha individuato i due aspetti della questione (l'interesse dell'individuo e
quello della collettività), perché nell'essere troppo rigidi si possono
tradire principi che sono invece fondamentali.
Queste considerazioni, che certamente valgono per
un corretto inquadramento del problema della tutela della riservatezza,
acquistano una particolare rilevanza in relazione al recente intervento
legislativo che ha esteso al settore delle telecomunicazioni le tutele già
fissate per la protezione dei dati personali.
In particolare, la nuova disciplina dell'uso
del fax per l'invio di materiale pubblicitario, o di vendita diretta o
di ricerche di mercato, entrata in vigore nei giorni scorsi, suscita alcune
riflessioni di carattere generale circa le logiche della comunicazione di
impresa nella futuribile società dell'informazione.
In pratica il Decreto legislativo n. 171/1998,
recependo a tempo di record la direttiva comunitaria dedicata alla tutela della
vita privata nel settore delle telecomunicazioni (Dir. 97/66/Ce), ripropone il
meccanismo di protezione adottato poco più di un anno fa dalla cosiddetta
"legge sulla privacy": non sarà più possibile ricorrere al fax
ed a sistemi automatizzati di chiamata per comunicare messaggi con finalità
promozionali, di vendita e di ricerca di marketing, in assenza del consenso
espresso dell'abbonato. La questione non è di poco conto anche perché questa
norma, interpretata con disinvoltura in senso estensivo, si applica pure al
canale di comunicazione rappresentato dalla posta elettronica e dà forma
giuridica al divieto di spamming, che finora era relegato nelle norme di bon
ton informatico della netiquette.
La reazione istintiva è un moto di
soddisfazione: sembra corretto che l'uso di questi strumenti di comunicazione
così invasivi, eppure tanto diffusi, debba essere rigorosamente regolamentato.
Per quanto concerne il fax poi questa esigenza è aggravata dal fatto che
il messaggio viene trasmesso non solo invadendo la sua privacy ma anche
utilizzando le "materie prime" messe a disposizione dal destinatario:
carta, inchiostro o toner.
Tuttavia, nella convinzione che il diritto non
sia affatto una scienza formalistica, appare piuttosto elusivo rispetto ai reali
interessi in gioco rispolverare, come pure è stato fatto, cavillose logiche
"proprietarie" secondo le quali l'uso dei fogli di carta altrui
costituirebbe un'intollerabile sopruso lesivo del patrimonio di colui che
riceve un messaggio via fax non richiesto. Il giurista dovrebbe sforzarsi
di verificare i suoi ragionamenti alla luce del principio di realtà e forse, di
fronte a queste suggestive argomentazioni, occorrerebbe recuperare una banale
affermazione dei penalisti per i quali il furto del foglio di carta è un
esempio di scuola del cosiddetto reato inoffensivo e quindi non punibile,
perché in questa condotta manca una effettiva lesione o messa in pericolo del
bene giuridico tutelato dall'ordinamento.
Per giustificare la norma che tutela gli
apparecchi fax dei cittadini non occorre scomodare gli schemi formali del
giurista: è sufficiente richiamare quei principi di civiltà che devono
regolare la pacifica convivenza sociale.
E' rassicurante osservare che un atteggiamento
aperto ed antiformalista sia stato manifestato, con apprezzabile equilibrio,
proprio dal Presidente del Garante per la protezione dei dati personali il
quale, nel suo Discorso di presentazione della Relazione per l'anno 1997
relativa all'attuazione della legge n. 675/1996, ha osservato: " Non
è in questione la possibilità di raccogliere dati personali, anche su larga
scala. Si tratta di valutare le possibilità positive e negative della raccolta
di dati, di considerarne le finalità, di individuarne i criteri di controllo e
i valori da privilegiare tra i quali, insieme al rispetto della dignità, emerge
sempre più nettamente il rifiuto delle discriminazioni".
Chi conosce la storia del "diritto alla privacy"
sa che questa posizione giuridica, nata come "diritto ad essere lasciati
soli" si è progressivamente evoluta colorandosi di nuove sfumature,
trasformandosi prima nel diritto a controllare la circolazione delle proprie
informazioni e poi nel diritto di costruire liberamente la propria sfera
privata. Se vogliamo dare un senso compiuto alle nuove regole della società
dell'informazione che il nostro Paese si sta dando dobbiamo concludere che la privacy
serve non più solo a garantire all'individuo una sfera di intangibilità ma
diviene lo strumento per permettere ad ognuno di noi di scrivere con parole
proprie la propria storia personale.
Proprio per questa ragione qualcosa stride nel
testo normativo sulle telecomunicazioni nella vita privata, recentemente emanato
dal Governo, che tutti hanno collegato alla famiglia di regole che mirano ad
accrescere il senso della riservatezza (che, parafrasando una formula fortunata
di origine statunitense, potremmo chiamare Privacy Enhencing Rules).
Più precisamente, tenendo in considerazione
tutti gli interessi in gioco nel flusso dei messaggi commerciali, ci si deve
chiedere se sia corretta la scelta tutta italiana di limitare l'uso del fax
senza considerare la natura dei destinatari del messaggio stesso.
Infatti, secondo la normativa adottata dal nostro
paese il divieto di inviare messaggi che non siano stati consentiti dal
destinatario si applica indistintamente a tutti gli abbonati, siano essi persone
fisiche o giuridiche. Questo vuol dire che anche lo scambio di informazioni
promozionali o di proposte di vendita tra aziende è condizionato al consenso
del destinatario.
Ma ha senso tutto ciò?
Il fax è uno strumento essenziale per la
rapida comunicazione di informazioni promozionali tra soggetti economici: spesso
ricevere, magari in ore notturne, un foglio con le offerte di un fornitore di
servizi con il quale non si sono mai avuti contatti è utile per risparmiare
tempo e concludere contatti vantaggiosi.
Non crediamo sia casuale il fatto che la legge
sulla tutela dei dati personali, nel cui solco questo decreto legislativo si
inserisce, abbia introdotto un regime di favore per il trattamento di
informazioni relative allo svolgimento di attività economiche raccolte per l'invio
di materiale promozionale: in questo caso infatti, fermo restando l'obbligo di
informativa a carico del titolare del trattamento, la legge n. 675/1996 prevede
(art. 12 lettera f) che non sia necessario richiedere il consenso dell'interessato.
Peraltro la stessa direttiva comunitaria che
viene recepita con il D. Legs. 171/1998 stabilisce (all'art. 12, comma 3) che
il divieto di inviare fax a contenuto pubblicitario in assenza del
preventivo consenso dell'abbonato si applica esclusivamente alle persone
fisiche. Imprese e comunicazioni business to business sono del tutto estranee
all'applicazione di questo strumento normativo comunitario.
Il legislatore italiano ha fatto una scelta
orientata in termini più rigorosi che penalizza pesantemente un settore di
mercato in straordinaria crescita e frappone un fastidioso ostacolo alla libera
comunicazione tra soggetti economici. C'è da chiedersi quale sia il beneficio
di questa previsione così generale che non modula la protezione della
riservatezza in relazione alla natura del soggetto destinatario dei messaggi.
Se il vero problema della privacy è
quello di innalzare la soglia di protezione per la vita privata degli individui,
pare di poter dire che in questo caso, estendendo le norme di protezione anche
alle aziende, si è andati oltre l'obiettivo e si è colpito, senza nessun
discernimento e discrimine, l'uso di uno strumento di comunicazione
importante.
Molte aziende specializzate negli invii
automatici di messaggi fax pubblicitari ad aziende sono oggi in grande
difficoltà perché devono, con fastidi e costi non necessari, munirsi del
consenso espresso delle imprese da contattare.
Valgono anche nel caso dei fax le
considerazioni già proposte a proposito della legge sulla tutela dei dati
personali.
Se vogliamo considerare questo problema dal punto
di vista della comunicazione d'impresa, va chiarito che, al fine di evitare
uno spreco di risorse economiche, è preciso interesse di coloro che inviano
messaggi fax al fine di contattare potenziali clienti, indirizzare le
offerte a soggetti che non guardano con ostilità questo tipo di proposte
commerciali.
In questo senso pare evidente che la corretta
soluzione al problema del trattamento dei dati personali a fini commerciali deve
passare attraverso i sistemi che la terminologia anglosassone qualifica come mail
preference service (MPS) e Robinson List: ci si riferisce a quei
meccanismi che, anche attraverso la collaborazione delle associazioni di tutela
dei consumatori, rendono possibile ad ogni cittadino di segnalare la propria
decisione di non ricevere messaggi commerciali mediante il servizio postale.
Queste informazioni, preziose perché consentirebbero alle aziende di
risparmiare lo spreco derivante dall'invio di materiale non gradito e
destinato ad essere cestinato, risolverebbero sul piano della realtà effettuale
il problema posto dal potenziale conflitto tra il diritto alla riservatezza e il
diritto alla libera iniziativa economica.
Quindi per gli operatori economici che usano la
comunicazione intereattiva a distanza l'esigenza di semplificazione si sposa
perfettamente con l'innalzamento della soglia di tutela per l'interessato.
Ma anche qui occorre considerare correttamente le concrete modalità secondo le
quali viene formulata la richiesta di consenso: se alcuni soggetti forti (per
esempio le banche o le assicurazioni) possono permettersi il lusso di aggirare
sostanzialmente la legge al momento della conclusione del contratto, utilizzando
il meccanismo del "firma anche la richiesta di consenso perché te lo
chiedo", per il direct marketing la mancanza di un contatto
fisico diretto con l'interessato impedisce di innescare con successo questo
meccanismo. Con la conseguenza che se non si adottano gli opportuni correttivi
si tratteranno in modo eguale situazioni radicalmente diverse, con grave danno
per coloro che non si trovano in una posizione "privilegiata" rispetto
all'interessato.
La modulazione dei modelli di informativa e di
richiesta di consenso, auspicata dal Garante per la protezione dei dati
personali, va quindi realizzata con decisione, tenendo conto dei diversi metodi
di comunicazione a disposizione degli operatori.
Anche per il Direct marketing l'obiettivo
resta quello di garantire una scelta consapevole dell'interessato. Non per una
politica di ipocrita adesione formale alla legge, ma perché per le aziende di Direct
marketing è essenziale entrare in contratto solo con soggetti consapevoli
che non vivono i contatti come un sopruso ed un'imposizione.
In questo caso infatti il messaggio ha scarse
possibilità di essere recepito con successo. Presupposto del moderno Direct
marketing è il rispetto dell'individuo che, non è più un
"numero" o peggio un "segmento di mercato", ma un soggetto
titolare di diritti il quale diventa parte attiva e consapevole del dialogo con
le imprese.
Un data-base pulito (cioè privo di quei
riferimenti anagrafici a persone che non gradiscono ricevere messaggi
commerciali) è la "terra promessa" delle aziende che utilizzano
strumenti di comunicazione diretta.
Sembra allora di poter dire che lo strumento
legislativo da solo non basti, in questo specifico settore, ad assicurare l'
effettiva tutela dei diversi interessi in gioco in questa complessa partita. La
gestione centralizzata di queste "liste di esclusione" offrirebbe un
reciproco servizio alle aziende ed all'individuo. Il Garante e le associazioni
di categoria (sia delle aziende sia dei consumatori) potrebbero utilmente
cooperare per l'aggiornamento e la circolazione di queste preziose
informazioni.
Tutto questo non consente di proporre qui nessuna
osservazione conclusiva e tanto meno nessuna valutazione sulle conseguenze che
questa normativa potrà avere per la realtà italiana. L'auspicio dell'interprete
è che questa normativa contribuisca a diffondere anche nel nostro paese la
cultura della riservatezza e del rispetto. In questa prima fase la correttezza
del metodo di indagine impone di limitarsi a studiare in che modo l'autorità
costituita applicherà al caso concreto il testo generale ed astratto della
legge. Appare pertanto corretto sospendere il giudizio sulla normativa ed
evitare valutazioni allarmistiche, segnalando, però, le perplessità che gli
interventi del legislatore suscitano rispetto alla coerenza del Sistema.
In ogni caso l'analisi economica del diritto
porterà impietosamente ad un raffronto, in termini economici, tra le esigenze
della persona e quelle del mercato. Perché non va dimenticato che la partita,
anche per questo argomento, si giocherà inevitabilmente sul terreno dei costi e
dei benefici per il singolo e per la collettività.
In attesa che la dottrina elabori questa analisi
e proponga le sue conclusioni, vaghe reminiscenze di storia della filosofia
suggeriscono, seguendo il metodo socratico, di porre tre domande che vorrebbe
risvegliare il buon senso di tutti:
1. E' proprio così difficile trovare un
equilibrio tra il diritto della persona di veder tutelata la riservatezza dei
suoi dati ed il diritto delle imprese di svolgere liberamente la propria
attività economica?
2. Perché le realtà produttive del Paese
devono continuare a subire i costi di leggi generali che non considerano la
realtà nella quale devono operare, creando una situazione di vantaggio
competitivo a favore delle aziende straniere che potranno inviare dall'estero
messaggi fax senza nessuna sostanziale limitazione?
3. Cosa direbbe la Corte di Giustizia dell'Unione
Europea qualora fosse chiamata a stabilire se è corretto che la legislazione
italiana a tutela della riservatezza (l.675/1996 e d.lgs.171/1998) sia così
lontana dalle direttive comunitarie che conciliano la protezione della vita
privata delle persone fisiche con la libera circolazione delle informazioni?
C'è un impercettibile filo rosso che
attraversa queste tre domande: infatti esse muovono tutte da una osservazione
comune: esistono delle distonie, delle disarmonie, degli squilibri nella
relazione tra i principi generali che reggono la tutela della riservatezza e le
norme che nel nostro Paese disciplinano in concreto il rapporto tra l'individuo
la collettività.
Prendendo a prestito una raffinata analisi
formulata qualche anno fa da Elias Canetti, può essere suggestivo ricordare che
proprio l'asimmetria è l'elemento qualificante del Potere il quale, per
esistere, fonda la sua funzione su un meccanismo che dissolve l'equilibrio tra
chi comanda e chi è comandato. Così, seguendo la logica sottile che accomuna
solitamente i fenomeni umani, sembra di poter dire che dietro queste disarmonie
normative, che tanta perplessità suscitano nel giurista attento alla sostanza
delle cose, si celi l'esercizio di un potere solo apparentemente saldo che
incute timore come un colosso dai piedi d'argilla. Ma la mancanza di
ragionevolezza e l'assenza di saggezza pratica, quella che Aristotele definiva
frònesi, sono i veri ostacoli che possono rallentare il processo di
affermazione della privacy nel nostro ordinamento: e seguendo la
suggestione delle immagini e delle parole, se è consentito parafrasare uno
slogan fortunato, coniato in tempi non lontani dalla cultura cinese, si potrebbe
dire che quest'attitudine mentale è veramente una tigre di carta
di fronte alla quale l'autentico sentimento della riservatezza e del rispetto
non deve arretrare, ripiegando verso formalismi comodi e vuoti. In caso
contrario la potenza delle asimmetrie normative si tradurrà, desolatamente,
nella prepotenza della pigrizia intellettuale.
Ma qual è la vera funzione sociale del giurista
se non quella di ricomporre i vari aspetti delle relazioni umane in un quadro di
regole formalmente coerenti tra loro e sostanzialmente rispettose
dei principi generali?
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Avvocato - Presidente della Commissione Legislazione ed Autodisciplina di AIDiM
(Associazione Italiana Direct marketing)
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