Il mercato globale tra certezze del
Sofista e domande di Socrate
di Marco Maglio* - 12.07.01
Ammetto subito i miei limiti: esamino sempre con sospetto le dichiarazioni
profetiche che i guru all'ultima moda formulano corrucciando la fronte
mentre descrivono, con granitica fiducia in se stessi e scarsissima
considerazione per gli altri, quello che succederà nella società del futuro.
Quando assisto a queste unilaterali dichiarazioni di superiorità mentale,
formulate solitamente dal guru di turno in lingua inglese, il mio innato
scetticismo cerca conforto ripassando la lezione di uno dei padri della fisica
moderna, il premio Nobel Niels Bohr il quale sosteneva, con lucida ironia:
"Tutte le previsioni sono difficili, soprattutto quelle che riguardano il
futuro".
Tuttavia, in questi ultimi tempi sempre più frequentemente mi capita di
essere consultato ed invitato (e qui ho un sospetto tremendo: non avranno mica
scambiato per un guru anche me?!) per dire la mia in qualcuno dei tanti convegni
dedicati al tema delle prospettive future delle comunicazioni commerciali in
Internet. Il titolo classico di questi convegni è "La globalizzazione dei
mercati: opportunità e rischi" o qualcosa del genere.
Sarei tentato di declinare gli inviti ma non mi piacciono gli snobismi
intellettuali ("Mi si nota di più se non ci sono o se ci sono e mi metto
in un angolo?" diceva Nanni Moretti ai suoi esordi) ed accetto la sfida:
così sollecitato da questo motivo contingente, sempre più spesso mi trovo
nella necessità di lanciarmi anche io in qualche previsione. Per fortuna l'ironia
mi salva e fatico sempre a prendermi troppo sul serio.
Comunque per limitare i danni, cerco di definire in termini rigorosi il mio
campo di analisi: quindi cerco di immaginare cosa vorrà dire nei prossimi anni
coniugare i valori dell'informazione, della trasparenza e della riservatezza
nel nuovo mercato delle vendite a distanza con strumenti telematici.
Per fare questo, rivolgo lo sguardo verso un orizzonte ampio e provo ad indicare
due aggettivi che descrivano le caratteristiche essenziali del futuro mercato
dei prodotti e dei servizi, che con formula convenzionale, viene ormai
comunemente definito commercio elettronico.
Banalmente il primo aggettivo che scelgo è "globale", termine che
descrive quella che sarà la dimensione spaziale ed ideale del mercato di domani
(un luogo non solo fisico ma anche concettuale nel quale non esistono più
barriere e vincoli).
Ma con il gusto di un ossimoro, la seconda parola che mi viene in mente, per
disegnare gli scenari futuri della comunicazione commerciale, è
"individuale" perché ritengo che il commercio del futuro si baserà
sempre più sulla personalizzazione dei servizi e dei prodotti. Dicendo questo
non vorrei essere frainteso: non credo affatto che, come qualcuno ha sostenuto
in passato, "ogni individuo è un mercato", ma sono convinto che
ognuno di noi abbia esigenze specifiche che è suo diritto sviluppare per
realizzare la sua personalità, come vuole un essenziale principio della nostra
Costituzione. In questo scenario anche le comunicazioni che oggi sono definite
"di massa" devono potersi modulare per venire incontro agli interessi
di ognuno di noi.
Se posso usare una formula sintetica, credo che il mercato dei produttori e dei
fornitori di servizi cesserà di essere un sistema di massa per diventare un
meccanismo di relazione individuale. Dal produttore globale al consumatore
individuale. Si tratta di una rivoluzione copernicana perché il consumatore
sarà posto al centro dei messaggi promozionali e sarà essenziale, sempre più,
che chi produce conosca il suo "cliente" per rispondere alle sue
esigenze e assecondare i suoi gusti. In tutto questo mi sembra di poter cogliere
un segno di progresso rispetto alle epoche passate in cui spesso gli
imprenditori dovevano indossare gli scomodi panni dei "persuasori
occulti" per convincere i clienti a comprare quello di cui non avevano
affatto bisogno.
Certo esistono gravi pericoli di "accerchiamento" ai danni del
singolo, assediato da messaggi mirati e personalizzati: ma in questo senso
proprio l'antico right to privacy
potrà costituire un baluardo difensivo assai importante, tanto più se esso
cesserà di essere inteso banalmente come il "diritto ad essere lasciati
soli" e diventerà il diritto all'autodeterminazione e quindi il
presupposto per la libertà individuale.
In questa chiave il direct marketing è destinato inevitabilmente ad
assumere un ruolo guida nella definizione delle nuove strategie della
comunicazione commerciale e dell'organizzazione dei meccanismi di vendita.
Se questa è la caratteristica del futuro commerciale del mondo, diventa
essenziale chiedersi con assoluta sincerità che ruolo possano assumere le leggi
che dagli anni settanta si propongono di tutelare quel particolare aspetto della
privacy che è la protezione dei dati personali. Promuoveranno questo
processo o lo affosseranno?
La risposta non può essere univoca perché diversi sono gli approcci che su
questo tema si offrono all'analisi:
Il meccanismo europeo, basato sul cosiddetto opt out, tende a
privilegiare la libertà di ognuno di trattare i dati personali altrui fino a
quando non venga esercitato il diritto alla riservatezza da parte della persona
cui i dati si riferiscono
Il metodo italiano, fondato sul cosiddetto opt in, dimostra di dare
grande rilevanza alla riservatezza individuale anche a scapito del diritto alla
conoscenza da parte dei consociati: non è possibile trattare i dati personali
se non in presenza del consenso dell'interessato.
Utilizzando i metodi di analisi del diritto comparato emerge in modo chiaro
che la scelta condivisa dai legislatori di gran parte dei paesi europei (per
esempio Regno Unito, Francia, Spagna, Portogallo, Svezia, Olanda, Belgio) fino a
non molto tempo fa fosse nel segno di favorire la libertà del trattamento dati,
dando all'individuo una sorta di potere di veto per bloccare quelle operazioni
che egli ritenga, in astratto o in concreto, lesive della sua riservatezza. In
questo quadro normativo il futuro mercato globale potrà agevolmente
svilupparsi, permettendo al produttore di entrare in contatto con ogni singolo
consumatore.
Al contrario l'Italia, capofila di un orientamento ultimamente recepito con
crescente interesse nel resto d'Europa (penso tra gli altri alla Germania,
patria europea della protezione dei dati personali) ha fatto prevalere la tutela
del singolo a scapito delle libere iniziative commerciali. In questo sistema
sarà inevitabile una maggiore difficoltà del sistema imprenditoriale ad
affermarsi come interlocutore consapevole delle esigenze dell'individuo. Nulla
potrà essere fatto senza il preventivo consenso dell'interessato.
Se questo è il quadro generale, credo che non ci si possa esimere dallo
studiare, con serenità ed efficacia gli strumenti che permettano di
riequilibrare il meccanismo di tutela della legge n. 675/1996: solo così sarà
possibile permettere alla società di svilupparsi nella direzione di progresso
che le tecnologie e le culture presenti rendono oggi raggiungibile. Non basta
proibire per proteggere. Inibire le attività di trattamento dei dati non
elimina i pericoli di abuso ma rende senz'altro più difficile lo sviluppo del
dialogo consapevole tra mercato globale e consumatore individuale. Occorre non
aver paura del futuro e volgere lo sguardo verso la nuova frontiera del mercato
"globale ed individuale". A quel punto sarà inevitabile per il
legislatore italiano adottare le soluzioni che altre nazioni europee già da
tempo hanno sperimentato con piena soddisfazione di tutti. Credo che solo un
approccio integrato ai problemi della riservatezza (fatto di norme equilibrate,
autodisciplina e strumenti tecnologici) possa dare slancio alla effettiva
protezione dei dati personali in un mercato senza frontiere.
Anche perché, come sempre, dietro le cose così come sono, c'è anche una
promessa: c'è l'esigenza di come dovrebbero essere le cose; c'è la
potenzialità di un'altra realtà, che preme per venire alla luce.
Osservo un po' annoiato la planetaria discussione sulla
"globalizzazione" che ci viene proposta dai media, ingessati tra i
movimentismi barricaderi ed i capitalismi postindustriali ormai demodè. Sono
meglio le Tute Bianche del popolo di Seattle o i Gessati Sartoriali degli uomini
d'affari? E' triste constatare che la cronaca non sa far altro che prporci
queste questioni pelose che ci distraggono, tra note di colore e
sensazionalismi, rispetto al vero problema che si pone davanti a noi: che razza
di futuro vogliamo vivere ed offrire ai nostri figli.
Posso fare una proposta?
Sarebbe bello che qualcuno parlasse di questo: il futuro non è certo solo
questione di profitti ma non è nemmeno esclusivamente questione di diritti. La
qualità del nostro futuro è, ritengo, un problema di equilibri che devono
essere prima ricercati e poi protetti e garantiti a tutti. Allora cosa
aspettiamo a chiederci davvero che rapporto dovrà intercorrere in futuro tra il
singolo e la collettività ed in che modo individuo e mercato globale potranno
interagire, nel rispetto della personalità di ognuno di noi? Quale tra i vari
mondi possibili vogliamo far prevalere? Non chiedetemi di rispondere a questi
quesiti. Non sono un guru. Io qui non voglio dare risposte ma solo sollecitare
una riflessione comune su questi temi.
Quasi senza accorgermi ho rivolto lo sguardo verso la potenzialità delle
cose, verso quello che potrebbe essere ed ancora non è: con questa visione
davanti agli occhi la mia ricerca di ipotesi profetiche da raccontare ai miei
cortesi interlocutori, finalmente si placa. Forse ho trovato qualcosa di utile
da raccontare ai convegni presso i quali sono invitato. Perché, sapete che cosa
vi dico? Non mi dispiace affatto l'idea di contribuire a far nascere qualcosa
che potrebbe esistere ed ancora non c'è, come fa umilmente un'ostetrica,
diceva Socrate, maestro di maieutica. Alla faccia di tutti i guru, che (forse ho
capito perché mi stanno tanto antipatici) mi sembrano la versione moderna dei
Sofisti, oppositori del metodo socratico, che tanto dicono e nulla concludono..
e pretendono anche di avere ragione, senza nessuna ombra di dubbio e senza
nessuna motivazione.
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