Le prospettive della data
protection nella comunicazione commerciale
Alice nel Paese dei dati personali
di Marco Maglio* - 14.10.99
Probabilmente se uno studioso di Letteratura
osservasse le intricate vicende del diritto alla riservatezza nel nostro paese
giungerebbe ad una sorprendente conclusione: i protagonisti che scrivono ed
applicano queste norme si ispirano agli schemi ad intreccio ed ai colpi di scena
tipici dei romanzi d'appendice dell'Ottocento.
Pensiamo per un momento a questa strana
situazione: mentre ancora si attende la modifica, la correzione e l'integrazione
delle norme sulla tutela dei dati personali, sempre più consistente si leva la
voce di chi ritiene già necessario rimettere un po' d'ordine in questo
diluvio di norme contrastanti attraverso un Testo Unico dedicato alla privacy.
La proposta ha in sé un forte tratto provocatorio se riflettiamo sul fatto che
fino al 1996 non esisteva nessuna disciplina specifica per la tutela della
riservatezza. Da un "vuoto cosmico" o ad un "pieno" caotico
di norme in meno di tre anni: un record assoluto di produttività legislativa!
Ma malgrado questo sasso lanciato nello stagno stia producendo onde concentriche
sempre più ampie, il dibattito dottrinale e politico sul futuro di questa
importante normativa stenta ad assumere connotati precisi. Il mistero resta
fitto! E questo, sempre in termini letterari, è il nodo centrale da dipanare
per poter sciogliere la trama del racconto .
Vediamo di ricapitolare i punti essenziali della
questione: in termini generali, a voler rappresentare l'essenza del problema
con un immagine, parlare di privacy significa disegnare un confine;
significa cioè porsi il problema di definire secondo quali criteri debba essere
tracciata la linea ideale che separa l'individuo dalla collettività;
significa definire secondo quali principi debba essere risolto il conflitto di
interessi che sorge tra la pretesa del singolo ad essere lasciato solo e l'esigenza
della collettività di conoscere, per finalità determinate, le informazioni che
riguardano ognuno di noi. In ultima analisi parlare di privacy significa
discutere dell'idea di società civile che si vuole realizzare.
Così sarebbe naturale attendersi che questo tema
diventi, in modo più evidente rispetto ad altri argomenti di discussione, una
sorta di cartina di tornasole per verificare in che direzione si stia muovendo
la classe dirigente del Paese chiamata a cimentarsi nel Progetto della società
futura. Ma le prese di posizione politiche, in senso lato, sul tema del
"diritto alla riservatezza" si contano sulle dita di una mano e la
responsabilità di chi è chiamato a stabilire le linee di sviluppo della
società del nuovo millennio sembra abdicare a favore dei tecnici.
Sono stato tra coloro che hanno salutato l'approvazione
della normativa sulla privacy come un traguardo di civiltà. Ho sempre auspicato
l'affermazione della "cultura della riservatezza" come valore
socialmente condiviso. Ma ora, dopo che la legge ha vissuto un intenso periodo
di applicazione sul campo, con la freddezza dell'osservatore potrei concludere
che a due anni dall'entrata in vigore della legge n. 675/1996 l'obiettivo
della piena affermazione del senso del rispetto per se stessi e per gli altri,
che questa legge porta iscritto nel proprio codice genetico, sembra ancora
lontano da realizzarsi.
Per rendersene conto basterebbe analizzare i
contenuti delle ultime modifiche apportate alla normativa generale sul
trattamento dei dati personali in materia di ricerca storica, statistica e
scientifica (D.Lgs. n. 282/1999) e di dati sanitari (D.Lgs. n. 282/1999). I
frenetici slanci in avanti e le quiete retromarce operate su questi argomenti
dal legislatore richiamano alla memoria l'ossimoro manzoniano del governante
che fugge di fronte ai tumulti della folla: "Adelante, Pedro, con
judicio".
E che dire dell'ineffabile vicenda del
trattamento dei dati sensibili da parte dei soggetti pubblici? Come valutare la
lenta gestazione del d. lgs. n.135/1999, preceduta da quel miracolo di tecnica
legislativa che è stata il decreto approvato il 24 luglio 1998 dal consiglio
dei Ministri ma mai venuto alla luce per mancanza di firma del Presidente della
Repubblica, e che con la concretezza propria della scienza ostetrica potremmo
qualificare come il primo caso di gravidanza isterica da parte di un legislatore
delegato? Questo testo normativo, in sostanziale controtendenza rispetto alle
spinte di equiparazione tra cittadino e pubblica amministrazione, dimostra come
viviamo in un'epoca che sarebbe molto piaciuta a Luigi Pirandello: nulla è
come sembra. Mentre i giuristi più raffinati definiscono la nostra epoca come l'età
della decodificazione, questo decreto legislativo, come un meta-romanzo, ci
ricorda che le sue norme non avranno senso compiuto fino a quando non verranno
emanate nuove leggi che regolamenteranno, disciplineranno, sanzioneranno quello
che oggi alcuni soggetti privilegiati possono continuare liberamente a fare.
E come dimenticare quella che altrove ho definito
"la sindrome di Penelope" che ha afflitto il Garante per la protezione
dei dati personali nei suoi interventi dedicati all'attività bancaria o alla
gestione dei dati del contribuente da parte dell'amministrazione fiscale? Le
informative per la raccolta del consenso formulate dagli operatori di quei
settori sono state giustamente censurate dal Garante, aggiungendo la trama di
fili preziosi per la tessitura della tela della privacy ma, come Penelope ha
insegnato, la tela è stata prontamente disfatta introducendo surrettiziamente
nel nostro ordinamento, con l'avallo della stessa autorità di controllo, la
figura del "consenso per comportamenti concludenti", cosicché chi
effettua un'operazione con il bancomat o sottoscrive il modello Unico per la
dichiarazione dei redditi, implicitamente esprime il suo consenso al trattamento
di quei dati personali. Dal Garante era lecito attendersi una maggior coerenza
sistematica.
Tutto questo è vero, ma le critiche sarebbero
ottuse se non tenessero in conto il fatto che nel nostro Paese la tutela dei
dati personali potrà affermarsi come esigenza sociale solo se le istituzioni
perseguiranno una "politica dei piccoli passi", che, nel rispetto dei
principi generali, sappia comprendere le emergenze, rispettare le particolarità
ed accettare di apprendere dagli errori del passato.
Così, mentre il tempo fluisce tra i mobili poli
del Passato, del Presente e del Futuro permane la consapevolezza dell'interprete
di essere di fronte ad una legge perfettibile: questa condizione di "legge
in divenire" ha alimentato finora nei destinatari delle norme la
convinzione che tutti gli angoli sarebbero stati smussati e che i giusti
contemperamenti sarebbero stati raggiunti tra gli interessi di chi tratta i dati
e di chi da questi dati viene descritto e definito come entità individuale,
come persona tra gli uomini.
Dico questo perché dietro le cose così come
sono c'è anche una promessa: l'esigenza di come dovrebbero essere; c'è
la potenzialità di un'altra realtà, che preme per venire alla luce. Ed
allora vale la pena rivolgere lo sguardo verso il futuro per cogliere i tratti
distintivi del nuovo che avanza, provando ad immaginare cosa vorrà dire anche
per il legislatore coniugare nei prossimi anni i valori dell'informazione,
della trasparenza e della riservatezza in particolare nel nuovo mercato delle
vendite a distanza con strumenti telematici.
Indubbiamente ci si trova di fronte un orizzonte
ampio che vorrei definire scegliendo due aggettivi che descrivano le
caratteristiche essenziali del futuro mercato dei prodotti e dei servizi.
Banalmente il primo aggettivo che scelgo è "globale", termine che
descrive quella che sarà la dimensione spaziale ed ideale del mercato di domani
(un luogo non solo fisico ma anche concettuale nel quale non esistono più
barriere e vincoli).
Ma con il gusto di un ardito ossimoro, la seconda
parola che mi viene in mente, per disegnare gli scenari futuri della
comunicazione commerciale, è "individuale" perché ritengo che il
commercio del futuro si baserà sempre più sulla personalizzazione dei servizi
e dei prodotti. Dicendo questo non vorrei essere frainteso. Non credo affatto
che, come qualcuno ha sostenuto in passato, ogni individuo è un mercato,
ma sono convinto di una cosa: ognuno di noi ha esigenze specifiche ed è suo
diritto sviluppare le proprie inclinazioni per realizzare la propria
personalità, come vuole un essenziale principio della nostra Costituzione. In
questo scenario anche le comunicazioni che oggi sono definite di massa
devono potersi modulare per venire incontro agli interessi di ognuno di noi.
Se posso usare una formula sintetica, credo che
il mercato dei produttori e dei fornitori di servizi cesserà di essere un
sistema di massa per diventare un meccanismo di relazione individuale. Dal
produttore globale al consumatore individuale. Si tratta di una rivoluzione
copernicana perché il consumatore sarà posto al centro dei messaggi
promozionali e sarà essenziale, sempre più, che chi produce conosca il suo
"cliente" per rispondere alle sue esigenze e assecondare i suoi gusti.
In tutto questo mi sembra di poter cogliere un segno di progresso rispetto alle
epoche passate in cui spesso gli imprenditori dovevano indossare gli scomodi
panni dei "persuasori occulti" per convincere i clienti a comprare
quello di cui non avevano affatto bisogno. Certo esistono gravi pericoli di
"accerchiamento" ai danni del singolo, assediato da messaggi mirati e
personalizzati: ma in questo senso proprio l'antico right to privacy
potrà costituire un baluardo difensivo assai importante, tanto più se esso
cesserà di essere inteso banalmente come il "diritto ad essere lasciati
soli" e diventerà il diritto all'autodeterminazione e quindi il
presupposto per la libertà individuale.
In questa chiave il direct marketing,
settore particolarmente interessato al problema della tutela dei dati personali,
è destinato inevitabilmente ad assumere un ruolo guida nella definizione delle
nuove strategie della comunicazione commerciale e dell'organizzazione dei
meccanismi di vendita.
Se questa è la caratteristica del futuro commerciale del mondo, diventa
essenziale chiedersi con assoluta sincerità che ruolo possano assumere le leggi
che dagli anni Settanta si propongono di tutelare quel particolare aspetto della
privacy che è la protezione dei dati personali. Promuoveranno questo
processo o lo affosseranno?
La risposta non può essere univoca perchè
diversi sono gli approcci che su questo tema si offrono all'analisi:
- il meccanismo europeo, basato sul cosiddetto opt
out, tende a privilegiare la libertà di ognuno di trattare i dati personali
altrui fino a quando non venga esercitato il diritto alla riservatezza da parte
della persona cui i dati si riferiscono;
- il metodo italiano, fondato sul cosiddetto opt
in, dimostra di dare grande rilevanza alla riservatezza individuale anche a
scapito del diritto alla conoscenza da parte dei consociati: non è possibile
trattare i dati personali se non in presenza del consenso dell'interessato.
Utilizzando i metodi di analisi del diritto
comparato emerge in modo chiaro che la scelta condivisa dai legislatori di gran
parte dei Paesi europei (per esempio Regno Unito, Francia, Spagna, Portogallo,
Svezia, Olanda, Belgio) è nel segno di favorire la libertà del trattamento
dati, dando all'individuo una sorta di potere di veto per bloccare quelle
operazioni che egli ritenga, in astratto o in concreto, lesive della sua
riservatezza. In questo quadro normativo il futuro mercato globale potrà
agevolmente svilupparsi, permettendo al produttore di entrare in contatto con
ogni singolo consumatore.
Al contrario l'Italia ha fatto prevalere la
tutela del singolo a scapito delle libere iniziative commerciali. In questo
sistema sarà inevitabile una maggiore difficoltà dell'imprenditore italiano
ad affermarsi come interlocutore consapevole delle esigenze dell'individuo.
Se questo è il quadro generale, credo che non ci si possa esimere dal
riequilibrare il meccanismo di tutela della legge n. 675/1996: solo così sarà
possibile permettere alla Società di svilupparsi nella direzione che le
tecnologie e le culture presenti rendono oggi percorribile. Occorre solo non
aver paura del futuro e volgere lo sguardo verso la nuova frontiera del mercato globale
ed individuale. A quel punto sarà inevitabile anche per il legislatore
italiano adottare le soluzioni che altre nazioni europee già da tempo hanno
sperimentato con piena soddisfazione di tutti.
Osservavo prima che, come sempre, dietro i fatti
così come sono oggi c'è un'ipotesi che riguarda il futuro e che si
manifesta nell'esigenza di realizzare le cose proprio come dovrebbero essere.
Dietro l'apparenza di ciò che è attuale c'è la potenzialità di un'altra
realtà, che lotta per potersi affermare. La validità dell'intuizione di
Darwin e la mia fiducia per la Teoria dell'Evoluzione mi portano a dire che
ciò che lotta per affermarsi solitamente trova il modo per prevalere con l'astuzia
o con la forza.
Nel caso della legge sulla tutela dei dati personali è sotto gli occhi di tutti
la grave situazione che si è venuta a creare nel mercato italiano a seguito
dell'entrata in vigore della legge n. 675 /1996 per la tutela dei dati
personali. Dopo oltre due anni siamo ancora in attesa delle previste modifiche
alla disciplina generale per consentire il trattamento dei dati per finalità di
comunicazione commerciale.
Il Governo aveva ricevuto espressa delega per
apportare queste correzioni in base alla legge n. 676/1996, approvata il 31
dicembre 1996. Scaduto il termine di questa delega il 24 giugno 1998, il
Parlamento ha nuovamente conferito la delega al Governo con la legge n. 344 del
6 ottobre 1998, fissando la nuova scadenza per l'emanazione dei Decreti
legislativi al 31 luglio 1999. Anche questa data è passata invano.
Nel frattempo il mercato della comunicazione diretta in Italia rischia una
pesante involuzione. Molti operatori stranieri hanno deciso di abbandonare il
nostro Paese, altri hanno scelto non investire in Italia in attesa di conoscere
quale sarà il nuovo volto della legge italiana, che in Europa viene considerata
eccessivamente severa.
E mentre il tempo passa gli operatori italiani si trovano costretti ad una
difficile scelta: astenersi da intraprendere nuove iniziative commerciali o
sostenere pesanti costi aggiuntivi per adeguarsi alle previsioni di una
normativa che, per stessa ammissione del Parlamento, è una legge in evoluzione,
non perfetta e perfettibile.
E' in gioco una parte importante del futuro
della comunicazione commerciale nel nostro Paese. All'estero i grandi
investitori pubblicitari stanno destinando risorse sempre crescenti alla
pubblicità diretta, sottraendo investimenti alla pubblicità generalista
(televisioni commerciali, stampa, radio); nel nostro paese si sta verificando l'opposta
tendenza a vantaggio degli oligopoli pubblicitari, televisivi ed editoriali.
La comunicazione commerciale del futuro deve
essere sempre più rivolta verso platee ben definite, potenzialmente interessate
al prodotto o servizio che viene offerto. Ormai il progresso tecnico rende
obsolete ed inquinanti le campagne pubblicitarie generaliste che si rivolgono ad
un pubblico indistinto di persone. Il marketing diretto consente di non
disturbare chi non vuole essere disturbato da un messaggio pubblicitario: per
quale motivo si dovrebbe assumere un atteggiamento persecutorio nei confronti di
uno strumento pubblicitario così raffinato e potenzialmente meno aggressivo
rispetto alle martellanti campagne pubblicitarie televisive? Quali interessi
economici si stanno effettivamente tutelando?
Nel frattempo questa legge stenta ad affermarsi come oggetto dai contorni
definiti e rischia di rappresentare l'ennesima occasione mancata.
In questa situazione confusa proliferano coloro
che usano gli strumenti della scienza giuridica per rappresentare la realtà in
forma semplificata, risolvendo i problemi esistenti secondo un antico metodo:
negandone in radice l'esistenza. E' il caso ad esempio della suggestiva
ricostruzione proposta da Gabriele Faggioli nel suo breve scritto Il
trattamento dei dati nel direct marketing,
ospitato tempo fa da InterLex (16.11.1998). E' molto strano muoversi nel mondo
di fantasia tratteggiato in quell'articolo: sembra quasi che la legge n. 675
disciplini un ambiente sotto vuoto, privo di attrito e di forza di gravità.
Peraltro gli uomini di marketing, che sanno quanto la privacy sia costata in
termini economici e di riorganizzazione aziendale, sono rimasti perplessi di
fronte alla conclusione di Faggioli secondo cui "La necessità del
consenso per svolgere le attività di informazione commerciale, vendita diretta
etc. è esclusa, rientrandosi in punto nell'ambito della deroga [all'obbligo
del consenso dell'interessato], stante il richiamo effettuato dall'inciso
inserito nella lettera f) del comma 1 dell'articolo 12...", e
quindi "...Nessuna azienda ha il dovere di raccogliere il consenso dei
clienti nè espresso nè tantomeno scritto per svolgere quanto si è impegnata a
compiere nei loro confronti."
Purtroppo a mio parere quest'interpretazione
disinvolta banalizza una realtà assai complessa e non considera due aspetti
essenziali:
- sul piano letterale la deroga all'obbligo di
consenso prevista dall'articolo 12 lettera f) della legge n. 675/1996 riguarda
solo i dati relativi allo svolgimento di attività economiche, cioè
caratterizzate da finalità imprenditoriali, e quindi non può validamente
essere invocata per il trattamento dei dati dei singoli consumatori;
- sul piano sostanziale i dati utilizzati dagli
operatori di direct marketing non riguardano semplicemente la conclusione di un
contratto di acquisto stipulato a distanza, ma attengono più ampiamente alla
propensione al consumo del singolo individuo, alle sue preferenze, ai suoi
gusti, al suo comportamento. Il direct marketing è un attività di ricerca
assai raffinata ed è tanto più efficace quanto più è in grado di
approfondire la conoscenza del destinatario del messaggio commerciale. Quindi è
inconcepibile che rispetto a questo universo di dati personali la legge
n. 675 non richieda il consenso dell'interessato come requisito di
legittimità del trattamento. L'intera legge perderebbe di significato e
verrebbe definitivamente compromessa la stessa logica interna di questa
normativa.
Intendiamoci: è piacevole immaginarsi la realtà
secondo schemi utopistici ma è importante conoscere quello di cui si sta
parlando prima di formulare interpretazioni ardite e pericolose per le false
aspettative che creano nei destinatari delle norme. A mio parere anche per le
attività di direct marketing non si può prescindere dal consenso dell'interessato
per rendere legittimo il trattamento dei suoi dati. Semmai, se si vuole dare un
futuro a questa forma di attività commerciale, si deve discutere sui tempi e
sulle modalità di raccolta del consenso in relazione all'informativa che va
fornita all'interessato.
Come ci ricorda Claudio Magris, con la sua
consueta lucidità, utopia e disincanto anziché contrapporsi devono sorreggersi
e correggersi a vicenda. Il contributo di Faggioli dà corpo ad un mondo
immaginario, in cui le norme non gradite vengono cassate con un sottile tratto
di penna. Ma il giurista, così mi è stato insegnato, è chiamato a operare
confrontando quotidianamente il mondo delle norme con la realtà effettuale.
Quindi i corretti termini interpretativi devono essere sempre tenuti presenti
per evitare di ritrovarsi in un universo parallelo, come succede ad Alice nel
Paese delle Meraviglie, dove tutto è diverso da come dovrebbe essere e dove,
non a caso, le regole processuali prevedono che il giudice prima stabilisca l'entità
della pena e poi decida se l'imputato è colpevole o innocente: "first
the sentence, then the verdict". L'esatto contrario di quello che la
logica impone.
Ricordando la lezione di Cesare Grassetti, uno
dei padri delle vigenti regole di interpretazione giuridica, viene spontaneo
richiamare tutti al rispetto di un principio fondamentale per chi si avvicina a
testi normativi così complessi: la realtà è più spigolosa della fantasia e
le leggi si interpretano considerando non solo il Testo delle norme ma anche il
Contesto nel quale queste regole sono inserite. Mentre penso questo, rivolgo lo
sguardo alla copertina di una monografia di Natalino Irti, intitolata appunto
"Testo e Contesto": da un po' di tempo questo libro
dimora sul mio tavolo di lavoro con preoccupante stabilità. Dico preoccupante
perché non sono mai sereni i tempi in cui il giurista deve utilizzare testi di
legge carenti di coerenza sistematica, cimentandosi nella pericolosa arte dell'interpretazione
creativa.
(*)
Professore di Diritto del Marketing e dei Consumatori presso l'Università
degli Studi di Parma - Avvocato - Presidente della Commissione Legislazione ed
Autodisciplina di AIDiM
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