Il termine per l'adozione delle "nuove" misure minime di sicurezza
previste dal Codice in materia di trattamento dei dati personali dunque è stato
ancora una volta differito. Per i dettagli e le nuove date conseguenti alla
proroga (della proroga della proroga) si veda l'interessante articolo di Paolo
Ricchiuto (Misure di sicurezza: la
proroga della proroga della proroga... ), nel quale l'autore ha anche acutamente evidenziato i numerosi
dubbi di costituzionalità che il provvedimento presenta.
E' evidente che ci troviamo di fronte ad una situazione che sembra
governata dal caso e nella quale è difficile intravedere una linea logica di
sviluppo. Ad una materia complicata di per sé si stanno aggiungendo via via
ulteriori difficoltà che per nulla giovano agli operatori chiamati a dare
concretezza alla protezione dei dati personali ed a rispettare le disposizioni.
Dalla previsione originariamente contenuta nell'art. 17 della direttiva 95/46/CE relativa all'obbligo
per il titolare di attuare misure tecniche ed organizzative appropriate al
fine di garantire la protezione dei dati personali dalla distruzione accidentale
o illecita, dalla perdita accidentale o dall'alterazione, dalla diffusione o
dall'accesso non autorizzati, segnatamente quando il trattamento comporta
trasmissioni di dati all'interno di una rete, o da qualsiasi altra forma
illecita di trattamento di dati personali ove si precisava espressamente che
Tali misure devono garantire, tenuto conto delle attuali conoscenze in
materia e dei costi dell'applicazione, un livello di sicurezza appropriato
rispetto ai rischi presentati dal trattamento e alla natura dei dati da
proteggere, siamo giunti alla situazione attuale decisamente più articolata
ed a questo punto alquanto complicata.
Forse non sarebbe male, accanto ai dubbi di costituzionalità sulle modalità
dell'approvazione del rinvio, ricordare anche che dalla disposizione di tre
righe testé ricordata, la quale menziona anche i costi come limite da
considerare per stabilire le misure da adottare, siamo giunti a sei articoli del
codice in tema di misure di sicurezza oltre ad un intero disciplinare tecnico,
diverse tipologie di misure di sicurezza con conseguenti diverse sanzioni
penali, civili o amministrative in caso d'inosservanza, inversione dell'onere
della prova e risarcimento del danno non patrimoniale.
L'attuazione della direttiva nel nostro ordinamento è stata, diciamo,
piuttosto "diligente" e sarebbe interessante indagare anche questo aspetto.
Operando in ambito internazionale è sempre difficile illustrare ai colleghi ed
ai clienti stranieri la situazione italiana in materia di misure di sicurezza e
le ragioni di tanta diversità rispetto alla direttiva ed alle legislazioni
degli altri Paesi dell'Unione.
In effetti, quale conseguenza della sovrapposizione normativa che si è
sedimentata nel tempo, ci troviamo attualmente (e nostro malgrado) di fronte a
ben tre tipi di misure di sicurezza:
a) le "misure minime di sicurezza di cui al DPR 318/1999" in
attuazione della legge 675/96, le quali erano entrate in vigore al più tardi il
1. gennaio 2001 e che da quella data risultano obbligatorie per tutti i titolari
di trattamento. Non ci sono proroghe applicabili per queste misure in quanto
sono rimaste pienamente valide con l'entrata in vigore del nuovo codice il 1
gennaio 2004;
b) le "più ampie misure di sicurezza" previste dall'art. 31 del
codice, le quali prevedono l'adozione di adeguati sistemi di protezione contro
i rischi di distruzione o perdita, anche accidentale, dei dati stessi, di
accesso non autorizzato o di trattamento non consentito o non conforme alle
finalità della raccolta, già obbligatorie sotto il regime della legge
675/96, e comunque rimaste pienamente in vigore dal 1 gennaio 2004, sotto l'egida
del nuovo codice;
c) le "misure minime di sicurezza prorogate", vale a dire tutte
quelle misure minime previste negli articoli da 33 a 36 e nel disciplinae
tecnico (allegato B al codice), identificabili come aggiuntive rispetto alle
misure minime del DPR 318/1999, attualmente oggetto di reiterata proroga, a
questo punto da adottare entro il 31 dicembre 2005, salvo l'applicazione della
speciale dilazione (al 31 marzo 2006) per il caso si disponga di strumenti
elettronici che per obiettive ragioni tecniche non consentono l'immediata
applicazione.
Ora, è evidente che questo sistema inutilmente articolato e complicato
costituisce una trappola micidiale per tutti i titolari di trattamento, complice
anche una certa enfasi giornalistica data al provvedimento di proroga, quasi si
trattasse di un rinvio tout court dell'applicazione della disciplina in
materia di protezione dei dati personali.
Cerchiamo tuttavia di ragionare sui fatti e sugli elementi concreti per
stabilire cosa risulti necessario fare dal punto di vista di un titolare del
trattamento.
Punto primo: la maggior parte delle misure minime, il nucleo previsto dal
DPR 318/99, risulta obbligatoria da oltre quattro anni. Quindi vanno adottate e
mantenute operative, senza indugio, da tutti i titolari di trattamento. Tra
queste, a scopo meramente esemplificativo, i sistemi d'autenticazione
informatica mediante userid e password, i sistemi di
autorizzazione, i sistemi antivirus, ed in certi casi il documento
programmatico sulla sicurezza.
Punto secondo: le misure di sicurezza effettivamente richieste dal codice
non sono quelle minime, bensì quelle più ampie di cui all'art. 31.
Per andare esenti da conseguenze risarcitorie, in caso di distruzione o perdita
dei dati, o di accesso non autorizzato o di trattamento non consentito, occorre
dimostrare di aver adottato misure di sicurezza adeguate.
In questo caso, il codice stabilisce che l'adeguatezza deve essere valutata
anche in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico, alla
natura dei dati e alle specifiche caratteristiche del trattamento. In altre
parole, occorre adottare tutte le protezioni che risultano disponibili al
momento, secondo il progresso tecnico e le soluzioni teoricamente disponibili
(il richiamo all'art. 2050 codice civile determina questo stato di cose,
alquanto impegnativo per un titolare di trattamento, che determina una specie di
responsabilità oggettiva).
A questo riguardo non bisogna dimenticare che il Codice stabilisce
ulteriormente l'inversione dell'onere della prova - spetta al titolare
dimostrare di aver adottato tutte le misure idonee, all'interessato spetta
solo di provare il danno sofferto - e che il risarcimento comprende non solo
il danno patrimoniale bensì anche quello non patrimoniale (danno morale).
Punto terzo: ciò che è stato prorogato, di fatto, è solamente la
rilevanza penale derivante dalla mancata adozione delle misure incrementali. Da
notare che la mancata adozione delle misure minime di cui al DPR 318/1999,
quindi già obbligatorie, costituirebbe in ogni modo fattispecie punita
penalmente (salvo gli effetti del ravvedimento operoso previsto dal secondo
comma dell'art. 169 del Codice).
Se si guardano le cose dal punto di vista della protezione dell'impresa e
del suo patrimonio intangibile, del rischio di essere chiamati a risarcimento
del danno, allora si deve ritenere che l'adozione delle misure di sicurezza,
di quelle più ampie e non solo di quelle minime, è indispensabile,
indipendentemente dalle proroghe.
Adagiarsi sulla "proroga della proroga della proroga" è quindi pericoloso.
Punto quarto: sulla base dei tre punti che precedono, da un punto di
vista aziendalistico, vi è da domandarsi se abbia senso rinviare l'adozione
delle misure minime quando la legge richiede di adottare misure che sono molto,
molto più ampie e complesse e lo richiede da parecchio tempo e con le
conseguenze sopra illustrate.
Prescindendo da ogni altra valutazione, volendo considerare la questione da
un punto di vista prettamente del rischio economico e del possibile impatto sull'impresa,
la conseguenza della mancata adozione delle misure minime, applicando il
ravvedimento operoso, dovrebbe essere quantificata, sulla base dell'art. 169
del codice, in 12.500 euro (un quarto della pena massima, non si applica la pena
detentiva), cui sommare le conseguenze della perdita d'immagine e reputazione
sul mercato e presso la propria clientela, oltre alla spesa per l'adozione
delle misure minime (da sostenere comunque).
La conseguenza della mancata adozione delle più ampie misure di sicurezza
deve essere quantificata nella sommatoria del danno subito direttamente dalla
propria impresa e del mancato profitto, dell'eventuale perdita di occasioni
commerciali, di contratti o di commesse, oltre alla possibile perdita di
reputazione sul mercato e nei confronti dei consumatori, cui andrebbero aggiunti
il danno patrimoniale e non patrimoniale da risarcire all'interessato. A
questo punto seguirebbe la spesa per l'adozione di adeguate misure di
sicurezza (e probabilmente la necessità di giustificare con il proprietario o l'azionista
dell'impresa le ragioni della decisione della mancata adozione delle adeguate
misure di sicurezza che hanno condotto ad una simile situazione).
Ognuno può stimare la probabilità di accadimento alla propria realtà di
quanto sopra delineato, considerando anche l'attività di addestramento che il
Garante sta conducendo nei confronti della Guardia di finanza a fini di
ispezioni circa il rispetto della privacy, la sicurezza dei propri
sistemi di trattamento dei dati personali, le procedure interne, e valutare
opportunamente le decisioni da adottare.
Tuttavia mi sembra risulti evidente la necessità di considerare adeguatamente l'importanza
dell'adozione delle più ampie misure di sicurezza alla luce del possibile
impatto sull'operatività aziendale.
Morale della storia: le sanzioni penali sono quelle che a prima vista
impressionano di più ed a fronte della proroga è normale pensare ad un
differimento dello sforzo di adeguamento; tuttavia, un buon amministratore o
dirigente dovrebbe prudentemente preoccuparsi di assicurare adeguata protezione
alla propria impresa mediante l'adozione delle misure più ampie,
indipendentemente dalle proroghe delle misure minime che allontanano il rischio
di sanzioni penali, tenuto inoltre anche conto che la proroga riguarda solo una
parte delle misure minime, mentre per molte di queste, compreso il documento
programmatico sulla sicurezza in determinate ipotesi, l'obbligo è in vigore
da tempo.
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