La "sindrome del pesce rosso" non è
una malattia
15.01.01
Non è piacevole sentirsi osservati, spiati,
controllati da ogni parte, come un pesciolino rosso nella boccia di vetro.
Eppure è la realtà: siamo costantemente tenuti sotto controllo da una
quantità di occhi e di orecchie, pubblici e privati.
Di questi ultimi si parla spesso e ci sono quasi ovunque leggi più o meno
efficaci per tutelarci dall'uso indebito dei nostri dati da parte di
organizzazioni commerciali, che cercano di conoscerci il più possibile nella
speranza di venderci qualche prodotto che non desideriamo avere.
Le leggi ci tutelano anche nei confronti delle organizzazioni pubbliche che
devono trattare le nostre informazioni personali per scopi legittimi e
necessari, ma che non devono andare al di là delle operazioni previste dalla
normative e, soprattutto, devono custodire i dati con ogni cautela.
Queste leggi - in Italia la 675/96 - ci
assicurano il diritto di controllare se i nostri dati vengono trattati in modo
corretto, eventualmente di opporci al loro trattamento e di ottenere che i dati
inesatti siano corretti. Ma c'è una vasta categoria di trattamenti che non può
essere soggetta a queste garanzie: sono le informazioni necessarie per la
sicurezza nazionale e per la prevenzione e repressione dei reati.
E' evidente che questi limiti sono opportuni, ma in molti casi sono troppo ampi
e lasciano carta bianca alle istituzioni per raccogliere e trattare qualsiasi
dato di qualsiasi cittadino, al di fuori di controlli che non possono che essere
del tutto formali.
C'è di più: negli ultimi tempi vengono
continuamente proposte, e spesso approvate, nuove disposizioni che minacciano
sempre di più la sfera privata degli individui, limitando in un modo o
nell'altro le garanzie poste dalle leggi fondamentali dei diversi Stati. Queste
limitazioni riguardano in particolare le attività telematiche e sono
giustificate dalla necessità di prevenzione del crimine tecnologico.
Fino a che punto è accettabile che la vita privata dei cittadini venga spiata
dalle autorità con la scusa delle esigenze di sicurezza e di giustizia? E' una
domanda di importanza cruciale, ma non sembra che il problema sia presente
nell'opinione pubblica, l'informazione di massa non se ne occupa, nessuno ne
discute al di fuori di pochi gruppi di esperti.
Periodicamente torna alla ribalta della cronaca
la questione di Echelon, il "Grande Orecchio" degli Stati
Uniti, che intercetterebbe qualsiasi tipo di comunicazione privata. La sua
esistenza è stata prima negata, poi ammessa con le solite giustificazioni della
sicurezza americana e - candidamente - con il motivo che si devono spiare i
segreti commerciali altrui per proteggere i commerci americani. Ma il Grande
Orecchio spara un po' alla cieca, identifica a modo suo le comunicazioni
"pericolose", può essere tratto in inganno con una certa facilità
(almeno così pare).
Molto più pericolosi sono i dispositivi di intercettazione sistematica, come il
(sempre americano) Carnivore, che funziona con mezzi stabilmente
installati presso i fornitori di servizi telematici.
L'aspetto più grave è che negli USA e in Gran
Bretagna si cerca di mantenere questi sistemi sotto l'esclusivo controllo delle
forze di polizia, prevedendo intercettazioni anche in assenza di disposizioni
specifiche della magistratura. In Italia non siamo ancora a questo punto, ma
c'è comunque una norma che preoccupa per il solo fatto di essere stata scritta.
E' contenuta nelle disposizioni in materia di
autorizzazioni generali (Delibera n. 467/00/CONS dell'Autorità per le
garanzie nelle comunicazioni), dove all'art. 5
si legge che i soggetti che offrono al pubblico servizi di telecomunicazioni
sono obbligati ad assicurare "la collaborazione tempestiva alle competenti
Autorità giudiziarie ai fini della tutela della sicurezza delle comunicazioni e
le necessarie prestazioni a fronte di richieste di documentazione e di
intercettazioni legali, anche mediante sistemi informatici e telematici, secondo
quanto previsto dalla Risoluzione del Consiglio
dell'Unione Europea del 17 gennaio 1995".
Del resto queste previsioni sono rese ancora più
preoccupanti dal progetto di Convenzione
internazionale sul Cybercrime, che procede verso l'approvazione
nonostante la campagna di opposizione che si
manifesta sulla Rete.
Ed è proprio dalla Rete che si possono trarre molte, troppe informazioni che
non possono non generare, in ognuno di noi, un grave attacco della
"sindrome del pesce rosso". Ecco alcuni link, i più importanti, dai
quali può partire una ricerca che sembra senza fine:
Privacy
International
Electronic Privacy information Center
Secret Europe
Privacy.Org
Il "manuale" del Dipartimento della giustizia USA
E per seguire gli sviluppi della Convenzione
internazionale sul Cybercrime: http://conventions.coe.int |