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 Tutela dei dati personali - Legge 675/96

Il registro delle cause di morte: riservatezza e accesso
di Daniele Agostini* - 25.03.98

Le informazioni che circolano in un sistema informativo pubblico sono soggette al segreto d'ufficio. Quelle sanitarie, in particolare, sono vincolate al segreto professionale e d'ufficio (artt. 326 e 622 CP); il trattamento dei dati che si riferiscono a persone o enti è regolato dalla L. 31.12.96 n. 675 e successive modificazioni (Dlv. 9.5.97 n. 123 e Dlv. 25.7.97 n.255). Per le raccolte di dati condotte per fini statistici e soggette a trasmissione a organi centrali è stato fondato anche il segreto statistico (art. 9 DL 6.9.89 n.322).
Il vincolo normativo è imposto su una materia che la coscienza collettiva sente fortemente: l'osservanza delle norme sul segreto è obbligo morale prima ancora che legale. La protezione delle informazioni richiede un attivo impegno per prevenire la diffusione indebita: il fatto di non "dire in giro" non esonera dalla responsabilità delle eventuali fughe di notizie. D'altra parte, il costo delle informazioni è tale da richiedere la produzione di più copie dei dati e la loro conservazione in sedi diverse, per garantirsi contro il rischio di distruzione accidentale; e ciò comporta un maggiore rischio di diffusione.
Il costo della protezione dei dati va previsto tra i costi di gestione dei Servizi.

Benché la tenuta di banche dati e registri obbligatori non configuri - in genere - un procedimento amministrativo, si ritiene che l'accesso ai documenti, previsto dal capo V della L. 7/8/90 n. 241, vi trovi applicazione. Ma il diritto di accesso "è riconosciuto a chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti" ciò subordina l'accesso alla dichiarazione del motivo della richiesta (art. 25, c. 2, L. 241/90) e anche a una valutazione della rilevanza giuridica della situazione da tutelare.
Il rifiuto dell'accesso deve essere motivato (ibid., c.3).

I dati

Il vigente Regolamento di Polizia Mortuaria (approvato con Dpr 10/9/90 n. 285, in seguito RPM), come già il precedente, prescrive: "I medici... debbono per ogni caso di morte di persona da loro assistita denunciare al sindaco la malattia che, a loro giudizio, ne sarebbe stata la causa" (art.1 c.1). "Ogni USL deve istituire... un registro" annuale dei deceduti e delle relative cause di morte (art. 1 c.7).

Finalità della raccolta

La raccolta delle cause di morte ha, formalmente, la caratteristica dell’obbligatorietà: la raccolta è fatta perché è prescritta dalla legge.
Il decaduto RPM (Dpr 803/75) prevedeva che la denuncia di causa di morte avesse esclusivamente finalità "statistico-sanitarie"; il RPM vigente (art.1, c.8) afferma che "le schede di morte hanno esclusivamente finalità sanitarie, epidemiologiche e statistiche"

Il titolare e il responsabile

Secondo la L.675/96 anche per il registro della cause di morte devono essere individuati un titolare e un responsabile: titolare è certamente l’USL, e probabilmente, per delega, il Dipartimento di Prevenzione; un dubbio sulla titolarità del Dipartimento di prevenzione deriva da un’espressione della CM Sanità 23.6.93 n.24 (esplicativa del RPM), dove, in 2.4, si afferma che il registro delle cause di morte deve "essere tenuto presso l’USL (generalmente al servizio igiene pubblica)", intendendosi con quel "generalmente" che quel Servizio -e il Dipartimento in cui è confluito- non è il detentore obbligatorio del registro.
Il responsabile è una persona fisica o giuridica; le sue caratterizzazioni paiono più di una persona che di un ufficio: è preposto dal titolare al trattamento di dati personali; è dotato di esperienza, capacità e affidabilità che garantiscano il rispetto delle disposizioni, in particolare sotto il profilo della sicurezza dei dati; per assolvere a questi compiti non può non essere un operatore degli uffici in cui i dati sono trattati.
Il titolare deve specificare analiticamente i compiti assegnati al responsabile e vigilare sull’osservanza delle proprie istruzioni e disposizioni.

Aggiornamento

L’aggiornamento del registro è previsto dal RPM nel senso della completezza (art. 1 c.8), e della rettifica, in particolare per la diagnosi fornita dall’autopsia (artt. 39 e 45; l’art. 45, 2.c, del RPM recita: "i risultati delle autopsie devono essere comunicati al sindaco e da quest’ultimo al coordinatore sanitario dell’USL... per l’eventuale rettifica della scheda di morte"). L’aggiornamento è prescritto dall’art 13 L. 675/96, che riconosce come diritto dell’interessato alla correttezza della sua immagine "l’aggiornamento, la rettificazione... l’integrazione dei dati".
In ordine all’aggiornamento su riscontro diagnostico, va tenuto presente che la scheda, essendo un documento datato e sottoscritto, non può essere corretta, anche perché si trova presso l’USL in copia. Il registro, invece, deve essere aggiornato attraverso l’indicazione della rettifica portata dal referto autoptico. Poiché in genere il referto porta la descrizione morfologica dei riscontri, i quali non sempre trovano una corrisopondenza univoca in una diagnosi e in particolare solo raramente possono fornire l’identificazione, tra diverse patologie, della malattia che ha portato a morte, è solo quando la diagnosi clinica della scheda è palesemente contraddetta dal riscontro obiettivo che si può procedere a rettifica senza grande probabilità di errore.

Il Comune

l’art. 1, 1° c., del RPM prescrive che "i medici debbono per ogni caso di morte di persona da loro assistita denunciare al sindaco la malattia che, a loro giudizio, ne sarebbe stata la causa".
Al sindaco, non all’USL.
Il Comune deve informare l’USL (c.2) nel caso di morte per malattia infettiva. All’USL il Comune manda "copia della scheda di morte... entro 30 giorni...". L’USL, e non il Comune, "deve inviare copia della scheda di morte all’USL di residenza" (art. 1, c.7)
Il Comune trattiene dunque l’originale, ma non perché gli competa una funzione di registro, bensì solo per provvedere alla trasmissione all’ISTAT. Anche ai fini degli atti di stato civile, la scheda di morte non ha alcun valore, competendo questa funzione alla dichiarazione di morte presentata dai familiari o da chiunque sia informato del decesso (art.1 RPM; RD 9/7/39 n. 1238 sullo stato civile).
Dunque il Comune non detiene il registro delle cause di morte; la conoscenza, da parte del Comune, della causa di morte non è richiesta da alcuna norma vigente, quindi il Comune non deve detenerla. La pratica di alcuni Comuni di riservarsi fotocopie o trascrizioni della scheda di morte o di reclamare le relative certificazioni è arbitraria e sicuramente contraria allo spirito della L. 675/96.
Del resto, il registro conservato presso l’USL, oltre che essere organizzato per comuni (art. 1 RPM) è di fatto il registro del Comune, data la definizione dell’USL come "complesso... dei servizi dei comuni singoli o associati i quali... assolvono ai compiti del Servizio Sanitario Nazionale" (art. 10 L.833/78).

Registri di patologia

I registri tumori e di patologia possono accedere ai dati di mortalità solo 1) se sono istituiti come enti pubblici non economici, 2) se la comunicazione è prescritta dalle norme istitutive; diversamente la comunicazione va prevista nell’ambito dei trattamenti da notificare al Garante. Ogni informazione sulla scheda ISTAT tratta dai registri tumori tramite canali diversi da quello ufficiale (il Responsabile del Registro delle cause di morte) costituisce violazione della Legge.

Accesso ai dati di mortalità

Le "finalità sanitarie, epidemiologiche e statistiche" (art. 1 c.8 RPM) fanno ritenere che l’accesso ai dati da parte di enti interessati a valutazioni epidemiologiche e statistiche sia compito d’istituto del registro.
Benché la tenuta del registro non configuri un procedimento amministrativo, come si è detto, si ritiene che l'accesso ai documenti, previsto dal capo V della L. 7/8/90 n.241, vi trovi applicazione. Il diritto di accesso "riconosciuto a chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti" subordina l'accesso alla dichiarazione del motivo della richiesta (art. 25, c.2, L 241/90) e anche a una valutazione della rilevanza giuridica della situazione da tutelare.
Si riconosce il diritto all'accesso
- agli eredi legittimi e testamentari,
- al Magistrato per esclusivi fini di giustizia,
- agli enti ai quali è concessa una specifica potestà in materia, come i registri di patologia costituiti come enti pubblici non economici, per le finalità epidemiologiche d'istituto.
- agli istituti di cura e di ricerca che hanno seguito clinicamente il deceduto (colle cautele già dette).
Le richieste da parte degli enti ai quali si riconosce il diritto di accesso sono agevolmente identificate da intestazioni e timbri, mentre l'indirizzamento delle risposte al responsabile dell'amministrazione richiedente dovrebbe garantire in misura sufficiente contro la violazione degli artt. 326 e 622 c.p. (segreto d'ufficio e professionale).

La certificazione

Le richieste presentano un arcobaleno di espressioni (certificato necroscopico, certificato di morte, più spesso, ma molte altre); il Registro rilascia o una copia conforme all’originale della scheda ISTAT e dei referti autoptici o un’attestazione di quanto risulta agli atti. Ciò va detto, perché la natura del documento in questione non è quella di un certificato medico, dove il medico dichiara circostanze di cui ha conoscenza diretta assunta nell’esercizio della sua atttività; la natura dell’atto è quella di un riscontro amministrativo di una risultanza di cui il responsabile non ha alcuna conoscenza se non tramite dichiarazione di terzi. La natura dell’attestazione comporta che, se non si risponde a un quesito specifico, è necessario riportare tutto quello che risulta, senza omettere nulla, anche se si ritiene che le notizie possano avere aspetti riservati (il chè è comunque vero, ma superato dal diritto all’accesso che, nell’attestare, si riconosce al richiedente).

La richiesta da parte degli eredi

Il deceduto conserva i propri diritti personali che sono rappresentati dagli eredi.
Con espressione infelice, la L.675/96 (art.13, c.3) proclama: "I diritti... riferiti ai dati personali concernenti persone decedute possono essere esercitati da chiunque vi abbia interesse". Si ritiene che non vi abbia interesse chi non è erede del defunto, che rappresenta l’interesse del defunto.
L’erede spesso è sollecitato dagli enti erogatori a richiedere e produrre la certificazione delle cause di morte per accedere a prestazioni pensionistiche o assicurative. Benché sia una richiesta probabilmente illegittima, non pare tuttavia possibile rifiutare il documento all’erede che è titolare dei diritti su quelle informazioni. Certamente, se la funzione certificativa del Registro può essere prevista, è difficile negare al certificato -una volta emesso- una funzione amministrativa che il RPM non gli attribuisce.
Gli eredi legittimi sono elencati nell'art. 565 CC: "Categorie dei successibili: nella successione legittima l'eredità si devolve al coniuge, ai discendenti legittimi, agli ascendenti legittimi, ai collaterali, ai parenti naturali e allo Stato, nell'ordine...". I successivi artt. 566-584 CC. regolano l'ordine e il concorso; i dati più importanti sono:
- ascendenti e collaterali sono eredi solo in mancanza di discendenti;
- il coniuge è erede in concorso con i soli discendenti del morto se esistono, oppure, in assenza di questi, in concorso con fratelli e ascendenti del morto.

Certificazione della qualità di erede

I privati che avanzano la richiesta dell'attestazione della causa di morte di un congiunto devono dichiarare la propria qualità di erede legittimo o documentare quella di erede testamentario. Sull'attestazione, e sulla copia che resta agli atti, vengono annotate l'identità del richiedente, la sua qualità di erede e la dichiarazione generica della motivazione del regime fiscale richiesto (in bollo o in esenzione di bollo), ciò perché sia palese, al Servizio emittente e all'amministrazione destinataria, il titolo al quale è stata avanzata la richiesta. Di fatto si produce una domanda con dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà (art. 4 L. 15/68) della qualità di erede, firma autenticata e dichiarazione del regime fiscale; il tutto in due copie, comprendenti anche l'attestazione, una per il richiedente e una agli atti del Srvizio.
L'art. 4 della Legge 4.1.68 n. 15 prescrive: "L'atto di notorietà concernente... stati o qualità personali è sostituito da dichiarazione resa e sottoscritta... dinanzi al funzionario competente a ricevere la documentazione... il quale procede all'autenticazione della sottoscrizione". Si potrebbe anche vedere, in molti casi, la fattispecie prevista dall'art. 2 della stessa legge (dichiarazione sostiutiva di certificazioni, comunemente dette autocertificazioni): "... lo stato di vedovo, ... il decesso del coniuge, dell'ascendente o discendente sono comprovati con dichiarazioni... sottoscritte dall'interessato e prodotte... La sottoscrizione deve essere autenticata".
Per l'autenticazione il richiedente si fa riconoscere in genere mediante la carta d'identità, ma spesso propone la patente di guida, che è valida come documento d'identità solo per i primi cinque anni dal rilascio; ad un rifiuto, il titolare di solito oppone la validità dell'abilitazione alla guida, senza contare che l'identità del titolare potrebbe non essere riconoscibile o per l’alterazione della fisionomia del titolare o per il detrioramento del documento. Al riconoscimento può contribuire anche il confronto fra la firma apposta sulla richiesta e quella che compare sui documenti.
Un'incertezza nell'identificazione del richiedente può essere motivo di rifiuto dell'attestazione, perché la responsabilità della comunicazione indebita ricade sul funzionario che fa il riconoscimento.

Il Magistrato

Il testo della L. 675/96 fa numerosi riferimenti all’uso dei dati personali in ambito giudiziario; in particolare richiama un buon numero di dettagli tecnici che solo un giurista potrebbe discutere; in buona sostanza, l’uso dei dati per fini di giustizia è fortemente incentivato e, si potrebbe dire, privilegiato. Su richiesta formale del Magistrato non pare possibile negare l’accesso ai dati; meno certa è l’ammissibilità della richiesta dei periti del tribunale o di parte, in carenza di una richiesta del Magistrato. In questi casi la preventiva notifica al Garante è difficilmente proponibile, dati i tempi stretti che i periti cercano di imporre; un sollecito a far formalizzazione da parte del Magistrato la richiesta potrebbe risolvere la questione con facilità.

Enti previdenziali

Gli enti richiedenti in genere necessitano di una o di alcune determinate informazioni, ma, per prassi invalsa, richiedono l’intero documento, benché fornito di dati irrilevanti. La L. 675/96 pone di nuovo l’accento sul fatto che ciò che non serve non deve essere richiesto. La richiesta deve essere mirata alla conoscenza della sola informazione che serve e la risposta deve essere che dalla scheda ISTAT risulta o non risulta quella circostanza, senza fornire, colla copia integrale della scheda, molte altre notizie riservate e irrilevanti.
Diverse informazioni possono poi essere fornite dagli eredi alle amministrazioni interessate attraverso lo strumento della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, l’autocertificazione, prevista dalla L. 15/68.
Purtroppo, però, l’ente che richiede, o che manda a richiedere, la documentazione impropria non precisa né la necessità né la norma che giustifica la trasmissione. Il consiglio da dare in questo caso è di insistere per avere una richiesta formalmente corretta e di inserire questo punto nella notifica al Garante.
Può essere diverso per l’ufficio Pensioni di guerra del ministero del tesoro, perché l’art. 15 del DPR 23.12.78 n. 915 (T.U. delle pensioni di guerra) prevede espressamente che "tutti i documenti necessari per l’istruttoria delle domande... sono acquisiti d’ufficio"; in particolare vengono menzionati "i documenti sanitari" e, tra i debitori, "gli istituti ospedalieri": ciò rende probabile che la causa di morte possa essere legittimamente richiesta; resta tuttavia incerta la pertinenza dei dati con le finalità del loro possesso.
Anche l’INAIL ha diritto ad accedere ai "documenti clinici e necroscopioci" relativi agli infortunati ricoverati negli ospedali (DPR 30.6.95 n. 1124, TU degli infortuni sul lavoro, art. 94)

Eccesso di richiesta

Ove pretesa da enti erogatori, la causa della morte dovrebbe essere richiesta non in termini diagnostici esatti (benché presuntivi), ma nella genericità sufficiente a sortire gli effetti istituzionali: una pensione, un’eredità, una provvidenza assicurativa possono essere vincolati (in positivo o in negativo) all’ipotesi di decesso per causa naturale, o per infortunio, o per eventi catastrofici o bellici, o ancora per suicidio o per reato; in ognuno di questi o di altri casi, la richiesta dovrebbe limitarsi alla sola voce che interessa e ad essa dovrebbe attenersi la risposta.
L'art. 9 della Legge precisa che "I dati personali oggetto di trattamento devono essere... d) pertinenti, completi e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono raccolti o successivamente trattati". È urgente che gli enti interessati adottino una nuova formula di istanza, che richieda i soli dati rilevanti e le norme che ne prescrivono la trasmissione; infatti è evidente che la richiesta di dati non necessari viola la Legge.

Tipologia di prestazione e regime fiscale

L'accesso alla documentazione amministrativa (e in particolare al registro delle cause di morte) attraverso visura deve garantire la protezione dei dati personali che non sono oggetto del diritto dell'istante.
"Il rilascio di copia è subordinato soltanto al rimborso del costo di riproduzione, salve le disposizioni vigenti in materia di bollo, nonché i diritti di ricerca e visura" (art. 25, c.1 L. 241/90). Questa indicazione dovrebbe risolvere il dilemma sulle tariffe da applicare alla prestazione.
L’emissione di certificati relativi al decesso per finalità assistenziali, previdenziali, bancarie e assicurative pare esente dal bollo ( art. 9 tab. B legge sul bollo; DPR 915/78 art. 126; L. 29.12.90 n. 405 art. 7, c.5); per finalità diverse è soggetta al bollo vigente.

Comunicazione dei dati per fini scientifici

I dati personali possono essere raccolti senza il consenso della persona descritta (o dei suoi "aventi causa") solo in casi particolari (art.12 L.675/96): in ossequio a obblighi di legge, per scopi di ricerca scientifica o di statistica (ma solo in forma anonima) o per salvaguardia della vita e dell’integrità fisica di persone, anche diverse dall’interessato. L’anonimato del dato per uso scientifico e statistico è ripreso anche dall’art. 20, che dunque non lascia dubbi su questo punto.
Dunque la regolamentazione proposta dalla Regione Emilia-Romagna con Circ. n. 45 del 22.12.89 (che autorizzava la comunicazione sotto definiti vincoli) è stata riassorbita dalla recente disposizione. L’art. 27 della Legge consente l’uso dei dati per i fini d’istituto, ma ripete l’atteggiamento restrittivo nei confronti di ogni altro corrispondente: la comunicazione agli enti di ricerca e di cura è ancora subordinata alla notifica al Garante.
Anche la trasmissione dei dati alla Regione ricade nella categoria dei trattamenti che le USL devono notificare al Garante, giacché il registro non è obbligatorio; i successivi trattamenti (detenzione, elaborazioni, comunicazione a diversi uffici regionali e no, incroci con altri registri...) devono essere notificati al Garante dalla Regione. È in corso lo sviluppo di una proposta di regolamento che prevede l’istituzione del Registro Regionale di Mortalità mediante un atto ufficiale della giunta regionale e la formalizzazione delle comunicazioni ai registri delle USL nonché con le altre amministrazioni interessate.

* Medico responsabile del registro deceduti di Bologna ex DPR 285/90 e precedenti, responsabile dell'ufficio per l'epidemiologia e il sistema informativo del Dipartimento di Prevenzione dell'Azienda Usl della Città di Bologna, responsabile del registro dei certificati di assistenza al parto.