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Protezione dei dati personali

Privacy e rapporti di lavoro: la vera portata delle “linee guida”

di Paolo Ricchiuto* -27.02.07

 

Con grande risalto mediatico, il Garante ha pubblicato le “Linee guida in materia di trattamento di dati personali di lavoratori per finalità di  gestione del rapporto di lavoro alle dipendenze di datori di lavoro privati”.
L’articolato documento è consultabile sul sito dell’autorità, e non mancheranno le occasioni, nelle prossime settimane, per analizzarlo nei singoli aspetti di dettaglio, alcuni dei quali certamente critici dal punto di vista gestionale-operativo.

Prima di addentrarsi nei meandri del provvedimento, è però necessario comprendere bene quale sia la sua effettiva portata giuridico-formale. A tale fine non si può prescindere da una importante premessa: al Garante sono riconosciuti vari poteri, tra i quali quello di “prescrivere anche d’ufficio ai titolari del trattamento le misure necessarie od opportune al fine di rendere il trattamento conforme alle disposizioni di legge” (art. 154 co. 1 lett. c del DLgv 196/03 – il cosiddetto “codice privacy”). Il mancato rispetto di tali prescrizioni, comporta la illiceità del trattamento, con potenziali conseguenze anche di natura penale (art. 167 co. 2 del codice).

E’ questo l’ambito all’interno del quale collocare le “linee guida”? Quanto nelle stesse disposto assume questa portata precettiva?
La risposta si trova nella deliberazione del Garante con la quale è stato formalmente adottato il provvedimento, deliberazione che invito a leggere con attenzione, onde avere piena contezza di due piani da tenere assolutamente ben distinti:

I - la sola parte del provvedimento cui formalmente viene assegnato il ruolo di prescrizione precettiva nell’esercizio dei poteri sopra ricordati, è quella relativa ai dati biometrici (punto 4 del provvedimento): in questo ambito, violare quanto previsto nelle “linee guida” significa automaticamente porsi sul crinale della illiceità del trattamento;

II - tutto il resto del documento, al contrario, è caratterizzato da una natura meramente ricognitiva degli orientamenti emersi negli ultimi anni di attività del Garante (e di altri organi, quali il Gruppo di coordinamento dei Garanti europei previsto dalla direttiva). Il fine dichiarato, dunque, è solo quello di definire un “quadro unitario” delle interpretazioni relative ad una serie di temi, e non anche quello di impartire ai datori di lavoro privati delle cogenti “prescrizioni” nell’esercizio dei poteri sopra richiamati. Sotto questo punto di vista, dunque, il documento presenta l’unica (anche se importante) novità di aver sistematizzato in corpus unico preminenti orientamenti esegetici.

La conseguenza è molto importante: fermo l’ovvio rispetto delle norme contenute nel codice, infatti, un datore di lavoro che si orientasse verso soluzioni operative difformi dalle indicazioni contenute in questa parte delle “linee guida” non necessariamente incapperebbe in un trattamento illecito, atteso che non violerebbe una “prescrizione” dell’autorità, ma semplicemente agirebbe in modo non conforme ad un “precedente”. Si verificherebbe, dunque, la stessa identica situazione che si crea quando, per mille motivi, si assumono decisioni difformi dai prevalenti orientamenti giurisprudenziali: le scelte, in tal caso, non sono ex se illegittime. Sono rischiose. Ma nulla toglie che, anche in virtù della peculiarità delle singole situazioni, strade operative diverse da quelle immaginate dal Garante possano comunque esser rispettose dei principi fissati nelle norme.

Solo avendo molto chiaro tutto ciò, si potranno affrontare nel modo giusto le “linee guida”, dando alle stesse corretta, consapevole e non acritica esecuzione.
 

* avvocato in Roma

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