Spirano venti di semplificazione, anche sulle ormai conclamate ingessature
connesse agli adempimenti in materia di dati personali.
Due i pilastri di questa sorta di nuova fase costituente, ispirata dalla
volontà di liberare sopratutto le realtà medio-piccole da alcune ridondanze
operative legate al rispetto del codice della privacy:
1. il provvedimento del Garante del 19 giugno 2008,
rubricato sotto la voce “Semplificazioni di taluni adempimenti in ambito
pubblico e privato rispetto a trattamenti per finalità amministrative e
contabili".
2. gli interventi normativi operati dall'art.
29 del DL 25.06.08 n. 112 (il cosiddetto "decreto
dell'estate") in materia di trattamento di dati personali.
1. Il provvedimento del Garante
L’Autorità riferisce di aver ritenuto opportuno “promuovere alcune
misure di semplificazione per l'intero settore pubblico e privato in relazione
alle correnti attività amministrative e contabili, in particolare nei
riguardi di piccole e medie imprese, liberi professionisti e artigiani”; di
aver all’uopo condotto una approfondita istruttoria; di voler con il
provvedimento enunciare “nuove linee guida-interpretative della normativa
vigente”, anche mediante la individuazione di “soluzioni concrete”.
Quali sono gli strumenti utilizzati per perseguire questi importanti
obiettivi?
Per comprenderne la portata, e la originalità, è necessario, come di consueto,
partire dai requisiti giuridico-formali che caratterizzano l’impianto del
provvedimento, costruito su tre direttrici fondamentali:
- la “prescrizione di misure opportune o necessarie” impartite dall’Autorità
nell’esercizio dei poteri di cui all’art. 154 comma 1 lett. c), e cioè a
dire prescrizioni il cui mancato rispetto può comportare la “non conformità
del trattamento alle disposizioni vigenti”, con ogni conseguenza in termini di
inutilizzabilità dei dati (art. 11 comma 2), di esposizione alle sanzioni
amministrative ed a provvedimenti di divieto e/o blocco del trattamento (art.
161 e ss ed art. 154 comma 1 lett. d) ed, in ipotesi limite (in presenza degli
altri presupposti previsti dall’art. 167) anche a responsabilità penale;
- una nuova ipotesi di bilanciamento di interessi, e cioè l'individuazione da
parte del Garante, ai sensi dell’art. 24 comma 1) lett. g), delle condizioni
per la effettuazione di un legittimo trattamento anche in assenza del consenso
dell’interessato;
- una serie di (utilizziamo la dizione adottata nel provvedimento) “richiami”
dell’attenzione degli operatori circa le modalità di gestione di alcuni
adempimenti.
Ora, è sufficiente leggere il documento per verificare come (a tratti, come
si dirà, sotto il cappello dell’esercizio di poteri di natura prescrittiva) l’area
certamente più ampia del medesimo sia occupata da indicazioni operative di
natura squisitamente interpretativa.
Non diversamente si potrebbero definire ad esempio, i consigli relativi alla
impostazione di una informativa caratterizzata da linguaggio semplice e
corredata dalle sole notizie essenziali in un quadro adeguato di lealtà e
correttezza; o ancora all’inserimento della informativa stessa negli spazi
utili nel materiale cartaceo e nella corrispondenza che si impiegano già,
ordinariamente, per finalità amministrative e contabili.
E natura non diversa, sembrerebbe potersi assegnare al puro e semplice
richiamo del contenuto di alcune norme, come accade con riferimento alla
designazione degli incaricati (semplice rimando operato dal Garante all’esistenza
dell’art. 30 comma 2 in ordine alla cosiddetta designazione per classi
omogenee di incarico in luogo degli incarichi individuali); o con riguardo alla
notificazione (assenza dell’obbligo per i trattamenti effettuati con mere
finalità attività amministrative e contabili, come agevolmente si arguisce
dalla lettura dell’art. 37).
Domanda: come mai il Garante ritiene di dover sensibilizzare gli operatori
ponendosi nella insolita posizione di super-consulente? La risposta è nelle
premesse del documento, laddove si specifica senza mezzi termini come nel dare
applicazione alle disposizioni del Codice, ci si sia lasciati andare ad approcci
prettamente burocratici e si sia dato seguito ad adempimenti superflui
o ripetuti inutilmente, e ciò talvolta (almeno… ndr) per
effetto di erronee valutazioni fornite in sede di consulenza.
In altri termini: una certa quota della percezione di disinteresse e
fastidio con cui vengono universalmente vissuti gli adempimenti per la
privacy, è dovuta secondo l’Autorità a consulenti che non sanno fare il loro
mestiere, che non hanno saputo interpretare o anche semplicemente leggere le
norme del codice, ed hanno malconsigliato ai propri clienti soluzioni
burocratiche e prive di valore aggiunto.
Certo, in giro si sono viste le cose più incredibili (dal DPS venduto on
line da qualche avvocato a 19 euro, a software cervellotici che avrebbero fatto
incartare su se stesso anche il più solerte dei titolari). E certamente è a
tali distorsioni che il Garante si riferisce, stimolando chiunque si occupi di
questa materia ad atteggiamenti più professionali
Se fosse solo questo il problema, ci si potrebbe fermare ad una semplice
riflessione sulla opportunità che un’ autorità, anche solo incidentalmente,
spenda le sue energie per polemizzare sulle capacità degli interpreti. O ancora
ci si potrebbe limitare ad interrogarsi sulla possibilità di ravvisare anche in
altri fattori le problematiche culturali e pratiche che hanno condotto al senso
di “fastidio e disinteresse” che ammanta gli adempimenti, compresi, forse,
anche alcuni interventi non proprio chiari del Garante in alcune materie (un
esempio su tutti: il provvedimento del 01.03.07, contenente le linee guida su
posta elettronica ed internet che, a distanza di un anno e mezzo dalla sua
pubblicazione, non ha ancora trovato una sua chiara collocazione, scatenando una
ridda di voci dissonanti sulla necessarietà o meno di ricondurre i disciplinari
interni redatti dalle aziende alla dinamica di cosiddetta co-detereminazione
sindacale prevista dell’art. 4 dello statuto dei lavoratori).
Ma il problema è un altro. Come già accennato, infatti, soltanto alcuni dei
consigli impartiti dal Garante sono rimasti allo stato di “richiami all’attenzione”.
Di contro, tutte le importanti soluzioni operative relative alla informativa e
al consenso (adottate in ossequio al principio di semplificazione nella elevata
tutela di cui all’art. 2 comma 2), vengono espressamente formalizzate dal
Garante come misure “opportune o necessarie” indicate ai titolari nell’esercizio
dei poteri di cui all’art. 154 comma 1 lett. c).
Ecco allora che il quadro si complica, atteso che, non dando seguito ai
consigli dell’’Autorità, non si cade semplicemente nel mancato recepimento
di una good practice, ma si rischia di incappare nella violazione di una
misura opportuna o necessaria, con tutte le conseguenze che ne possono derivare
sulla liceità del trattamento.
Guardato sotto questo punto di vista, l’approccio al provvedimento diventa
decisamente problematico. Quando infatti l’Autorità invita tutti i
titolari del trattamento pubblici e privati a non chiedere il consenso degli
interessati qualora sussista uno dei casi di esclusione previsti dall’art.
24 richiamati, e tanto fa espressamente, ai sensi degli artt. 2, comma 2, 24
e 154, comma 1, lett. c), l’Autorità non sta dispensando un semplice
suggerimento illuminato, ma sta impartendo una prescrizione. Con il risultato,
abbastanza originale, che l’acquisizione di un consenso laddove non sia
richiesto, non solo è inutile, ma è potenzialmente tale da rendere il
trattamento “non conforme alle disposizioni vigenti”.
O ancora: quando il Garante indica la strada della informativa semplificata
seguita da una più articolata informativa reperibile ad esempio on line, e
tanto fa richiamando, oltre all’art. 13 commi 3 e 5, anche l’art. 154 comma
1 lett. c), non sta soltanto indicando una via esegetica o una soluzione
semplificata, ma sta dando una prescrizione almeno apparentemente vincolante. Il
che, a stretto rigore (si consenta il paradosso, a semplici fini argomentativi)
dovrebbe condurre all’aberrante risultato che il titolare che sia riuscito a
congegnare una informativa unica, snella e completa di tutti i suoi elementi,
veda la sua virtuosa condotta messa a rischio dal fatto di aver con ciò violato
la prescrizione di farla precedere da una informativa “breve” appiattita sul
testo redatto dall’Autorità.
E c’è di più: fra le misure prescrittive, infatti, il Garante introduce
un elemento del tutto nuovo, consistente nel fatto che il titolare sia tenuto,
nella informativa “finale”,“a specificare la data dell'ultimo
aggiornamento, elemento questo non previsto dall’art. 13, e che dunque
appare – diciamolo eufemisticamente – abbastanza in controtendenza rispetto
alla spirito di semplificazione che avrebbe dovuto caratterizzare il
provvedimento.
In sintesi, dunque, è quantomeno dubbio che il target di semplificare gli
adempimenti possa ritenersi realmente raggiunto, se è vero che: a) in parte il
provvedimento non fa altro che richiamare il testo di alcune norme; b) nel
dettare le indicazioni semplificatrici, si è scelta in larga parte la strada
della prescrizione, con ciò rischiando di appesantire, invece che di risolvere,
dubbi e criticità.
Diversamente, un reale e salutare effetto semplificativo, potrebbe forse
ravvisarsi nel nuovo caso di bilanciamento di interessi individuato dal Garante,
che garantisce, fermo il rispetto delle relative indicazioni impartite, la
possibilità di trattare i dati dell’interessato anche in assenza di un suo
specifico consenso.
Il caso, è quello dei titolari del trattamento in ambito privato che hanno
venduto un prodotto o prestato un servizio, nel quadro del perseguimento di
ordinarie finalità amministrative e contabili: costoro, per poter
contattare i propri clienti e proporre nuovi prodotti, erano tenuti, secondo l’assetto
del codice, ad acquisire o meno un consenso a seconda del tipo di strumento
utilizzato.
A norma dell’art. 130, infatti, qualora fossero utilizzati sistemi
automatizzati di chiamata, fax, e-mail, tale trattamento non poteva in nessun
caso prescindere dal consenso. Per strumenti di diversa natura (telefono con
operatore o posta cartacea) operavano invece i principi generali dettati dagli
artt. 23 e 24, potendo dunque il titolare usufruire di uno dei casi di
esclusione previsti dall’art. 24 (ad es: quello previsto dall’art. 24 comma
1 lett. d, esercizio di attività economiche, che rendeva e rende certamente
legittimo il mailing cartaceo nei confronti di professionisti o aziende anche in
assenza del loro consenso preventivo).
Tale assetto era temperato da due ambiti specifici: a) quello previsto dall’art.
130 co. 4, che abilitava al mailing elettronico anche senza il consenso dell’interessato,
purchè finalizzato alla promozione di prodotti o servizi analoghi; b) quello
introdotto dall’art. 58 comma 2 del Codice del consumo (d.gsl. 206/05), che di
fatto, nei rapporti con i consumatori, ed ove fossero utilizzati strumenti
diversi da quelli di cui all’art 58 comma 1, escludeva il trattamento dalla
applicazione delle regole privacy, e dunque anche dalla necessarietà della
acquisizione del consenso.
L’impianto che ne derivava era dunque decisamente variegato, e, con
riguardo specifico all’utilizzo della posta cartacea, si poteva affermare che
per vagliare la utilizzabilità di tale tale strumento a fini promozionali, si
dovesse necessariamente far riferimento al profilo soggettivo dell’interessato
coinvolto, atteso che se si fosse trattato di imprese e professionisti si
sarebbe potuto applicare il citato caso di esclusione dell’ art. 24 comma 1
lett. d); se si fosse trattato di un rapporto soggettivamente riconducibile all’ambito
di applicazione del codice del consumo, si sarebbe potuto fruire della esenzione
prevista dal relativo art. 58 comma 2 (d.lgsl. 206/05).
Il provvedimento di bilanciamento di interessi interviene sulla materia,
spostando l’asse della valutazione su un piano, invece, esclusivamente
oggettivo, e mutuando la dinamica già regolata per il mailing elettronico dall’art.
130 comma 4: le condizioni per poter effettuare il mailing cartaceo nei
confronti dei propri clienti, sono infatti: a) che i dati siano stati acquisiti
in sede di vendita di un prodotto o servizio; b) che l’attività promozionale
riguardi esclusivamente beni e servizi del medesimo titolare e analoghi a quelli
oggetto della vendita.
In tal modo l’area di esenzione dalla acquisizione del consenso per finalità
commerciali perseguite mediante la posta tradizionale, si emancipa dai vincoli
di natura soggettiva, e ferma la sussistenza delle predette condizioni
oggettive, assume caratteri generalizzati, (controbilanciati dalla prescritta
necessarietà della informativa all’interessato in ordine al suo diritto di
opporsi comunque in qualsiasi momento a detti trattamenti, secondo dinamiche
proprie di un sistema di opt-out).
Anche se intervenendo su un piano (quello del mailing cartaceo) nel quale
esistevano già notevoli spazi di esenzione , sotto questo punto di vista si
può dunque affermare che il provvedimento del Garante possa perseguire gli
scopi di semplificazione cui era preordinato.
Un’ultima annotazione: il provvedimento del Garante si chiude con una
segnalazione al Governo, circa la “opportunità” di una modifica normativa
dell’art. 33 del Codice, che rimetta al Garante il potere di prevedere
modalità semplificate di adozione delle misure di sicurezza (primo fra tutti,
il DPS) con riferimento ai trattamenti effettuati per correnti finalità
amministrative e contabili, in particolare presso piccole e medie imprese,
liberi professionisti e artigiani. Vari comunicati stampa hanno annunciato,
all’esito di ciò, una serie di incontri tra il Garante e alcuni membri dell’attuale
governo, che però, almeno allo stato, non hanno condotto agli esiti normativi
ipotizzati dallo stesso Garante.
Diverse, infatti, come stiamo per vedere, sono state le scelte per il momento
adottate dal legislatore.
2. L'articolo 29 del DL 112/08
Il secondo pilastro della descritta spinta semplificatrice, è infatti
costituito dall’art. 29 del cosiddetto "decreto dell’estate",
mediante il quale sono state introdotte alcune novità normative di grandissimo
impatto operativo. Analizziamole.
1. Tutti sappiamo che dal combinato disposto dell’art. 34 comma 1 lett.g) e
della regola 19 dell’allegato B del codice, emerge l’obbligo di redazione
del documento programmatico sulla sicurezza (DPS), secondo le modalità meglio
specificate nella stessa regola 19) a carico di tutti coloro che effettuino
trattamenti di dati sensibili e giudiziari mediante l’utilizzo di strumenti
elettronici. E tutti sappiamo che, in virtù di questa formulazione, per
rimanere coinvolti in tale adempimento, è sufficiente avere alle proprie
dipendenze un lavoratore che invii un certificato di malattia sul modulo INPS
(dunque anche senza diagnosi), trattandosi comunque di dato sensibile, idoneo a
rilevare lo stato di salute.
Ora, il primo e più importante intervento semplificatore operato dal
legislatore nel decreto dell’estate, è stato quello di identificare una
determinata area di soggetti, quelli che trattano soltanto dati personali non
sensibili e l'unico dato sensibile e' costituito dallo stato di salute o
malattia dei propri dipendenti senza indicazione della relativa diagnosi, e
di “sostituire” per tali soggetti l’adempimento del DPS con una autocertificazione,
resa dal titolare del trattamento ai sensi dell'articolo 47 del decreto del
Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, il cui
contenuto potrà limitarsi alla attestazione di trattare soltanto dati
personali non sensibili, che l'unico dato sensibile e' costituito dallo stato di
salute o malattia dei propri dipendenti senza indicazione della relativa
diagnosi, e che il trattamento di tale ultimo dato e' stato eseguito in
osservanza delle misure di sicurezza richieste dal presente codice nonche'
dall'allegato B.
Tale intervento, che si può senza eufemismi qualificare come veramente
rivoluzionario, consentirà di esonerare dal gravoso adempimento del DPS una
fetta enorme di titolari, che potranno limitarsi alla semplice
autocertificazione.
2. rendendo atto della vetustà e della complicatezza del disciplinare
tecnico di cui all’allegato B del codice nella parte relativa al DPS, il
decreto prevede poi un fulmineo aggiornamento della regola 19, rimettendo ad un
decreto del Ministero della giustizia da emanarsi entro due mesi dalla legge di
conversione, il compito di prevedere modalità semplificate di redazione del
DPS, limitatamente, però, alle sole attività amministrative e
contabili. Non si tratterà, dunque, di una revisione generalizzata, ma di
un intervento mirato esclusivamente ai trattamenti che non eccedano le finalità
così descritte;
3. Sempre in linea con l'accelerazione impressa al processo di
semplificazione, il decreto prevede poi un meccanismo abbastanza curioso (che ha
il colore di una sorta di auto-diffida) in forza del quale, qualora il decreto
ministeriale non venga emanato entro il termine previsto, allora la esenzione
totale dall’adempimento del DPS e la sostituzione del medesimo con una
autocertificazione si estenderà anche a tutti i soggetti di cui al comma 2,
e cioè a tutti coloro che da un lato sono tenuti alla redazione del DPS, ma che
dall’altro svolgono trattamenti che si concretano in mere attività
amministrative e contabili;
4. Un ulteriore snellimento riguarda poi l’adempimento della notificazione che
a) dovrà essere trasmessa “attraverso il sito del Garante” (ciò che sembra
indirettamente superare la dinamica della sottoscrizione con firma digitale e
del relativo invio telematico così come prevista dal previgente testo dell’art.
38 comma 2); b) dovrà avere contenuti molto più semplici rispetto a quelli
attuali. Principi, tutti, che dovranno essere trasfusi in un nuovo modello di
notificazione, che il Garante è chiamato ad adottare “entro due mesi dall’entrata
in vigore della presente legge”.
Come è agevole verificare, si tratta dunque di un ventaglio di autentiche
semplificazioni, che cambieranno almeno parzialmente il volto di una serie di
adempimenti.
Certo, il decreto non è esente da alcune importanti criticità. Se ne possono
individuare, a caldo, alcune, che solo la prassi operativa (o eventuali
interventi in sede di conversione del decreto) saranno in grado di fugare.
1. L’autocertificazione dovrà essere reiterata annualmente entro il 31
marzo o no? In altri termini: l’intervento modificativo coinvolge anche il
primo paragrafo della regola 19? Oppure i titolari coinvolti potranno effettuare
una unica autocertificazione a valere anche per gli anni a venire? A prima
vista, se è vero che la norma esenta alcuni titolari dall’adempimento stesso
del DPS, si potrebbe anche ritenere sufficiente una autocertificazione operata
una volta per tutte. Ma sul punto è certamente auspicabile un intervento
chiarificatore;
2. Che cosa si intende per “attività amministrative e contabili”
suscettibili delle semplificazioni da adottare con il decreto ministeriale? Se
si tratta di soggetti che non rientrano nell’area di esenzione prevista dal
comma 1 dell’art 29 del decreto, e che dunque non possono usufruire della
autocertificazione, in che modo gli stessi possono rientrare nella diversa
categoria di chi opera trattamenti a soli fini amministrativi e contabili ?
Anche in questo senso, in assenza di un chiarimento, l’area dei soggetti
coinvolti non dall’autocertificazione, ma dalla mera semplificazione del DPS
rischia di rimanere pericolosamente indeterminata, e ciò anche ai fini della
eventuale estensione della autocertificazione, laddove il DM non venga emanato
tempestivamente;
3. Attenzione: rimanere esentati (o… semplificati) dall’adempimento del
DPS, non fa venir meno il vincolo generale alla adozione delle idonee e
preventive misure di sicurezza previste dall’art. 31 del codice. Redigere
un buon ed equilibrato DPS, anche laddove a ciò non obbligati (prima, perché
non si trattavano dati sensibili o giudiziari con strumenti elettronici; ora,
perché coinvolti dalla autocertificazione), si è rivelato spesso un buon modo
per mettersi in condizione, nell’ambito di un contenzioso civile, di
dimostrare agevolmente la correttezza della propria condotta, a volte con
effetti decisivi per poter scartare la inversione degli oneri probatori imposta
dall’art. 15 del codice;
4. La previsione della sottoscrizione della notificazione con firma digitale,
seppure con tutte le difficoltà che ha creato in sede di prima applicazione, è
stata sempre considerata come uno dei volani più efficaci per consentire la
definitiva affermazione di tale strumento. Superare tale meccanismo, dunque, da
un lato certamente semplifica la vita a tutti coloro che non si erano ancora
dotati del dispositivo di firma; dall’altro, però, rischia di tradursi in una
sorta di retrocessione sulla via del lancio definitivo della firma digitale.
In conclusione: c’è tantissima carne al fuoco. Tanto da discutere. L’auspicio
è che sia in sede interpretativa, sia a livello normativo, si riesca a trovare
una via per far sì che nel semplificare…. le cose non si complichino!
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